Milano, Manzoni e il Risorgimento
Potenza espressiva e grandiosa struttura musicale: a questo pensiamo quando ascoltiamo la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, che è senza dubbio un’opera religiosa, ma immaginata e scritta in modo del tutto eccezionale, non solo perché l’autore non poteva né voleva dirsi fedelmente praticante, ma anche perché composta ed eseguita sulle basi di un precedente progetto già ideato per le esequie di Rossini (morto a Passy nel 1868) e poi rielaborato per quelle di Alessandro Manzoni a un anno dalla scomparsa del grande letterato.
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Si tratta di un’opera che, del Verdi, unisce la sua devozione quasi filiale per i due artisti scomparsi a quella sua tipica sensibilità operistica che non possiamo non definire, ormai, “verdiana”. Una creazione volutamente non ieratica, però: del resto, i cantanti solisti per i quali Verdi aveva fin dal principio pensato la partitura erano proprio voci d’opera!
La prima esecuzione della Messa da Requiem avvenne il 22 maggio 1874 di un venerdì che, nonostante la primavera inoltrata, gli storici ricordano come una «mattina grigia e piovosa». Fu durante la messa delle ore 11, nella chiesa di San Marco, che i milanesi ascoltarono in anteprima l’opera. Le cronache dell’epoca, registrate dal giornale “La Lombardia”, scrissero:
L’area del tempio rimane divisa in tre parti: quella destinata al clero, quella alla musica, e quella concessa al pubblico. Al clero è riservato il presbiterio in cui sarà celebrato il rito funebre. (…) La musica occupa l’intero spazio sotto la cupola, compreso il braccio sinistro della crociera. I musicisti sono quasi per intero collocati a sinistra e dall’opposto lato i cantori, uomini e donne; per queste ultime fu convenuto l’intero vestito nero e il capo coperto da un ampio velo di lutto.
Nel cuore di Giuseppe Verdi
Verdi stesso diresse l’esecuzione, con 120 coristi, 100 orchestrali e quattro celebri solisti del Teatro della Scala (Teresa Stolz, Maria Walmann, Giuseppe Capponi e Ormondo Maini).
Il Maestro decise personalmente dove collocare i musicisti, lasciando al centro l’altare e il celebrante, che per l’occasione indossava paramenti liturgici definiti dal più acclarato critico del tempo, Edoardo Spagnolo, «magnifiche vesti». Spagnolo, tuttavia, era un ateo impenitente, che restò quasi infastidito davanti alla sontuosità cui assistette, tant’è che decise di recensire il Requiem solo dopo averlo riascoltato la sera successiva al Teatro Alla Scala, in un contesto decisamente meno religioso, e così scrisse:
ecco perché non ne ho parlato subito, e parlo invece adesso dopo aver udito la Messa al teatro alla Scala, non più in luogo dove si adora il Salvatore (…) ma tra le profane pareti d’un teatro dove la luce pallida e melanconica dei ceri è surrogata dalla luce brillante delle fiammelle a gas, dove non sento i profumi dell’incenso ma quelli plastici della bellezza che si mostra dai cento palchi; e la mia intelligenza è più libera e i sensi non intorpiditi.
Verdi stesso si dichiarava ateo, ma per i funerali di Alessandro Manzoni sembrò andare oltre la propria convinzione e sondare, con la Messa da Requiem, gli angoli più mistici che abitano l’essere umano, e a maggior ragione in sincero omaggio a quella profonda fede sempre espressa e documentata nei suoi scritti dal Manzoni defunto. Ma oltre la forma e la categorizzazione del brano, và detto che l’ulteriore particolarità dell’opera sta nella sua stessi genesi: la “Messa da Requiem” si colloca nel periodo in cui il Maestro aveva già deciso di abbandonare la composizione per il teatro d’opera. Nel 1871, infatti, reduce dal grande successo ottenuto con l’Aida, Verdi si era preso una lunga pausa dalle scene teatrali, pur continuando a comporre musica e accarezzando da tempo il progetto di realizzare proprio una Messa da Requiem.
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Pochi anni prima, del resto, ne aveva già pensata una per la morte di Gioachino Rossini: una composizione che sarebbe stata una sorta di collage realizzato da 12 musicisti. Verdi aveva riservato per sè la sola sezione conclusiva, il Libera me. Ma questo interessante progetto fallì per sopraggiunti motivi politico-economici, che comunque non gli impedirono poi di comporre proprio quel Libera me e inserirlo successivamente nella Messa da Requiem integrale del 1874.
La scomparsa del Manzoni colpì profondamente il musicista, che condivideva col poeta tutti i valori risorgimentali fondamentali della libertà e della giustizia, principi cardine dell’Unità d’Italia. Perciò Verdi si attivò immediatamente per attuare il suo progetto già dal giugno del 1873, come conferma una sua lettera all’editore Ricordi:
Vorrei dimostrare quanto affetto e venerazione ho portato e porto a quel grande che non è più, e che Milano ha tanto degnamente onorato. Vorrei mettere in musica una Messa da morto da eseguirsi l’anno venturo per l’anniversario della sua morte. La Messa avrebbe proporzioni piuttosto vaste, ed oltre ad una grande orchestra ed un grande coro, ci vorrebbero anche quattro o cinque cantanti principali. Tuttavia, Voi capirete meglio di me che non bisogna cantare questa Messa come si canta un’opera, e quindi i coloriti che possono essere buoni al Teatro, non mi accontenteranno affatto.
La venerazione di Verdi per Manzoni: dal lutto alla gloria
La venerazione di Verdi per Manzoni nasceva da un sentimento di vicinanza allo scrittore milanese per il quale il Maestro nutriva, fin da giovane, una vera e propria venerazione. I due protagonisti del Risorgimento si incontrarono il 21 maggio 1867, e il resoconto fedele dell’evento ci è stato trasmetto da Giuseppina Strepponi, la seconda moglie (nonché mezzosoprano) di Verdi, in una lettera indirizzata a Clara Maffei (celebre patriota e mecenate italiana). Verdi ricevette un invito in cui gli suggerivano: «Se poi andrai a Milano, ti presenterai a Manzoni. Egli t’aspetta». E quindi la Strapponi racconta alla Maffei:
Pouff! Qui la bomba fu così forte ed inaspettata, che non seppi più se dovevo aprire gli sportelli della carrozza per dargli aria, o se dovessi chiuderli, temendo che nel parossismo della sorpresa e della gioia non mi saltasse fuori! È venuto rosso, smorto, sudato; si cavò il cappello, lo stropicciò in modo che per poco non lo ridusse in focaccia. Più (e ciò resti fra noi) il severissimo e fierissimo orso di Busseto n’ebbe pieni gli occhi di lagrime, e tutti e due commossi, convulsi, siamo rimasti dieci minuti in completo silenzio.
Ne risultò che la prima nella chiesa milanese di San Marco ebbe un tale successo che si tennero subito altre tre esecuzioni al Teatro alla Scala. E a quel proposito il musicologo Francis Tovey, che vi partecipò, scrisse:
La Messa era arrivata nella sua vera casa (…) dove il pubblico, che non doveva badare alle convenzioni ecclesiastiche, poté dare sfogo al proprio entusiasmo, con esuberanza tipicamente italiana.
La cosa dovette gratificare parecchio il Maestro, che non aveva certo intenzione di riservare la sua Messa a rare o solenni commemorazioni: del resto, la qualità drammatica e la sfumatura operistica del Requiem non sono pedissequamente adatte all’utilizzo regolare in chiesa, tantomeno il compositore l’aveva mai pensata come liturgia. Anzi: Verdi aveva ideato il suo Requiem per l’esecuzione, non per la devozione. Desiderava che il suo lavoro fosse complementare alla popolarità di Manzoni, per mostrare al mondo la cultura italiana. Convincimento che fu tradotto in realtà: sulla scia di questa velleità, infatti, Verdi portò personalmente il Requiem in tournée a Parigi, New York, Londra e Vienna.
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Che ne sai del Requiem…
Proprio come l'”Ein deutsches Requiem” di Johannes Brahms, il Requiem di Verdi esprime un dolore personale che si serve della forma musicale presa in prestito dalla liturgia sacra. Neanche Brahms, proprio come Verdi, era particolarmente devoto. Per entrambi i compositori, dunque, le parole della Messa da Requiem sono semplicemente quelle più adatte ad esprimere le emozioni naturali che sorgono alla morte di una persona cara: dolore, perdita, rabbia, paura del giudizio divino e speranza di pace, tanto per i defunti quanto per chi è in lutto.
Va dunque smitizzata la celebre critica di Hans Von Bülow, che definì il Requiem verdiano «la sua ultima opera in veste chiesastica»: molti riportano un Verdi agnostico, o finanche ateo, che nella sua Messa contempla con sguardo laico i sentimenti dell’uomo di fronte alla morte. Anche il noto critico musicale Eduard Hanslick lo percepì, quando scrisse che «nessun momento del Requiem è futile, falso o frivolo. Ciò che appare così passionale e sensuale nel Requiem di Verdi deriva dalle tradizioni emotive della sua gente e gli Italiani hanno tutto il diritto di poter parlare a Dio nella loro lingua!». E le parole della stessa Strepponi aiutano a chiudere l’annosa diatriba sul presunto ateismo del Verdi: parlando del marito, Giuseppina infatti dichiarò:
è una perla d’onest’uomo, capisce e sente ogni delicato ed elevato sentimento, con tutto ciò questo brigante si permette d’essere, non dirò ateo, ma certo poco credente, e ciò con una ostinazione ed un calma da bastonarlo. Io ho un bel parlargli delle meraviglie del cielo, della terra, del mare, ecc. ecc. Mi ride in faccia e mi gela in mezzo del mio entusiasmo tutto divino col dirmi: siete matti! e sfortunatamente lo dice in buona fede,
Messa da Requiem di Verdi: guida all’ascolto in viaggio dall’inferno al paradiso
Sono 16 le parti in cui è suddivisa la Messa
- Requiem et Kyrie (quartetto solista, coro)
- Dies Irae (coro)
- Tuba Mirum (basso e coro)
- Mors stupebit (basso e coro)
- Liber Scriptus (mezzosoprano, coro)
- Quid sum miser (soprano, mezzosoprano, tenore)
- Rex tremendae (solisti, coro)
- Recordare (soprano, mezzosoprano)
- Ingemisco (tenore)
- Confutatis (basso, coro)
- Lacrymosa (solisti, coro) – rielaborazione del Lacrymosa del Don Carlo
- Offertorium (solisti)
- Sanctus (a doppio coro)
- Agnus Dei (soprano, mezzosoprano, coro)
- Lux Aeterna (mezzosoprano, tenore, basso)
- Libera Me (soprano, coro)
Requiem et Kyrie
Le prime parole, “Requiem aeternam dona eis, Domine” sono intonate sommessamente dal coro, mentre l’orchestra parte con note raccolte. Poi i quattro solisti si uniscono al canto per uno stentoreo Kyrie eleison, che pure inizia sottovoce, rievocando anime imploranti davanti a un giudice.
Dies Irae
Il Dies irae che segue il Kyrie è sempre il momento più atteso e memorabile del Requiem, che esordisce con un sontuoso boato tanto orchestrale quanto corale: musicisti, coristi e cantanti solisti producono ripetute esplosioni sonore, mentre ottoni, percussioni e legni sono tirati allo stremo. Intanto le voci del coro gridano sgomento e dolore, man mano che gli archi crescono d’impeto e intensità. Ai suoni strazianti del coro fanno ecco i colpi delle grancasse. La potenza esibita da orchestra e coro, portati al limite delle loro possibilità tecniche, sono voluti da Verdi per illustrare in musica gli scenari apocalittici. La stessa scelta del tipico canto gregoriano è affascinante: il materiale musicale di questo intimorente Dies irae torna poi spesso lungo tutta la Messa, dipingendo un quadro da Giorno del Giudizio. Anche per questo motivo l’opera è stata equiparata all’affresco della Cappella Sistina: un’opera cupa e drammatica, ma con intermittenti, brevi e violenti lampi di luce.
Recordare
Al Dies Irae segue poi il Recordare, duetto tra soprano e mezzosoprano che è un inno d’amore a Gesù, e il Lux Aeterna, in cui la luce emanata da Dio è espressa dal tremolo iniziale dei violini e dal canto del mezzosoprano, mentre basso, timpani e ottoni evocano l’idea che la punizione divina arriva per tutti. In altre sezioni, come il Kyrie Eleison, il Recordare, l’Ingemisco e in alcuni versi del Lux Aeterna e del Libera me, Verdi si concentra invece sul sentimento individuale, che emerge nel modo più caloroso tipico della matrice operistica.
Lacrymosa
Nel Lacrymosa, invece, Verdi fa risaltare quella disperazione suggerita fin dall’inizio dagli archi che paiono anime dolenti: qui il movimento cadenzato dei violoncelli e dei contrabbassi amplifica lo stato d’animo dei dannati, consapevoli della pena eterna che li attende. Tutto il Requiem è un sottile gioco di richiami tra medesime pulsioni, e questo dona massima unità all’intero spartito: lungo l’intero svolgersi della composizione si è sospinti e quasi braccati dal primordiale. Si oscilla tra il terrore del Dies Irae e il grido di fede del Libera me, che irrompono a più riprese nel tessuto musicale, senza mai perdere quel loro vigore innato.
Verdi riesce a cullare l’ascoltatore tra l’inferno profondo (con timbri e registri bassi) e la salvezza eterna, fino ad approdare alla gioia del Sanctus. Tutto il dramma e l’angoscia delle sezioni precedenti ritorna fino al Libera Me, come se Verdi volesse lasciare un senso di incertezza universale di fronte alla speranza intangibile del riscatto divino.
Questo Requiem sembra costruito sui temi cardine della spiritualità: dalla ricerca della fede alla paura della morte, passando per i dubbi che ci attanagliano pensando all’aldilà. Del resto, Verdi compone quest’opera proprio durante una fase non semplice della sua vita: lontano dalla fede, diversi lutti lo spingono a porsi domande sulla morte e sul trascendente, allontanandosi dalla creazione musicale ben più operistica degli anni passati.
Giuseppe Verdi tra fede e ateismo: l’eterno dubbio romantico
La Messa da Requiem rispecchia quindi questa dicotomia tra ricerca di spiritualità e scetticismo della fede. Ne risulta un sommo messaggio espresso da una voce laica, perfettamente intrisa di pensiero ottocentesco europeo: la voce di un artista che, nonostante la gloria, ancora sa percepire la propria fragilità davanti al mistero della morte.
E l’ambiguità latente tra sentimento collettivo apocalittico e ripiegamento intimistico è forse l’elemento di maggior fascino del Requiem: così, nella sequenza del Dies Irae (scritta da Tommaso da Celano) le voci soliste entrano ben in anticipo rispetto alla prima persona singolare, che si presenta solo alla settima stanza col “quid sum miser”.
E la trama psicologica risuona anche nel ritornare imprevedibile e incontenibile delle medesime pulsioni del fraseggio musicale, come a voler sentirsi risospinti indietro, attanagliati dal mistero primordiale: sia il clamore del Dies Irae che il grido di fede del Libera irrompono più volte in tutto il Requiem con forza immutata, attraversando inscalfibili i secoli e gli uomini.
Il romantico Verdi percepisce tanto il rischio dell’ateismo quanto quello del convenzionalismo cattolico. Il suo intimo rifiuto della fede è l’atteggiamento di chi non accetta tanto formalismo del credente fariseo quanto il rispetto becero delle regole sociali, riuscendo a rappresentare tutta la decadenza morale, politica e sociale che il grande musicista avvertiva intorno a sé. Se non fosse stato così, non chiameremmo tuttora Verdi col nome che gli spetta: il genio della musica lirica romantica.
Dove e come ascoltare la Messa da Requiem di Verdi
Dopo aver inaugurato la stagione concertistica del Teatro Regio di Torino, potremo ascoltare l’esecuzione dal vivo della Messa da Requiem di Giuseppe Verdi anche al Teatro dell’Opera di Roma il 15 febbraio 2023.
Le incisioni discografiche ritenute migliori dagli esperti, invece, sono le seguenti:
- Orchestra Sinfonica della RAI, direttore Claudio Abbado, tenore Luciano Pavarotti, 1970 – Roma
- Orchestra del Teatro alla Scala, direttore Herbert Von Karajan, tenore Luciano Pavarotti, 1967 – Milano
- Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, direttore Antonio Pappano, tenore Rolando Villazon, 2009 – Roma
- London Symphony Orchestra, direttore Leonard Bernestein, tenore Placido Domingo, 1970, Londra
- Orchestra sinfonica della NBC, direttore Arturo Toscanini, tenore Giuseppe Di Stefano, 1951 – New York