Giorgio Morandi ebbe il potere di trasformare una semplice natura morta in elegie sull’esistenza. Il grande maestro della pittura del ‘900 fu artista estremamente sensibile e fine, riuscì a tracciare un percorso artistico personalissimo e assolutamente riconoscibile, senza mai distogliere l’attenzione dalla realtà culturale che lo circondava. Lo studio degli illustri pittori del passato e la conoscenza dei pilastri fondamentali dell’arte contemporanea furono gli strumenti con cui l’artista mise alla prova se stesso e la propria espressività. Si notano infatti influenze degli interpreti del primitivismo quattrocentesco e in particolare Cézanne fu certamente il suo più importante punto di riferimento.
Squisitamente introspettiva, quasi spirituale, l’opera scava sotto la superfice del visibile alla ricerca di qualcosa di superiore e supremo. Giorgio Morandi come soggetto per le sue opere ed incisioni predilesse bottiglie, vasi, scatole, ciotole, caraffe e lucerne; non sono mai semplici utensili. Celano un significato molto più sottile e profondo, che è possibile rintracciare oltrepassando i confini dell’esteriorità. Nell’intimità del suo studio, Giorgio Morandi portava avanti la propria battaglia personale contro l’effimero, l’inconsistenza e il superfluo, con una ritualità e una cura sacrale. Attraverso le meravigliose nature morte non intendeva creare asettiche rappresentazioni della realtà sensibile ma proiezioni di una realtà più profonda, trascendentale rispetto la materia e verso l’essenza.
La natura morta di Giorgio Morandi oltre il sensibile nella ritualità
Gli oggetti, carichi di una potenza evocativa totemica, popolano le sue tele. Ricoprono sempre un ruolo ben preciso e determinato nell’economia delle sue opere. Ogni natura morta di Giorgio Morandi, per quanto semplice e apparentemente casuale possa sembrare, è il risultato di un articolato processo creativo che poteva durare anche diversi giorni. L’artista amava aggirarsi tra mercatini e rigattieri per ampliare e aggiornare la propria collezione di cocci, contenitori e bottiglie dalle forme e i colori più svariati. Li sceglieva con cura e dedizione, e li portava nella sua casa-atelier in via Fondazza a Bologna, dove viveva e lavorava completamente immerso nel suo universo di suppellettili.
Come un grande regista, Morandi immaginava tutte le possibili soluzioni formali realizzabili con i suoi cari oggetti, valutando anche le più sottili relazioni tra figure e colori, pieni e vuoti, luci e ombre. Il silenzioso dialogo tra l’io pensante dell’artista e le cose reali si faceva sempre più serrato man mano che il maestro si avvicinava alla concezione finale dell’opera. Al termine di questa comunicazione meditativa, la distanza tra l’io e le cose si era talmente assottigliata che l’immagine rappresentata dall’artista diventava allo stesso tempo la sua autorappresentazione e sintesi.
La ritualità della pittura di Morandi non si limitava al processo creativo dell’opera, ma si estrinsecava anche nei gesti materiali del pittore. Era solito macinare e realizzare da solo i propri colori e le tele su cui lavorare, così da avere maggior controllo sulla resa ed essere certo di riuscire a riprodurre fedelmente l’opera che aveva creato nella sua mente. Quando l’idea da realizzare era ben delineata e i materiali da utilizzare pronti all’uso, l’artista si poneva finalmente davanti all’”altare” allestito di fronte al suo cavalletto e iniziava a dipingere.
Le nature morte mefasiche di Morandi
«Guarda un gruppo di oggetti sopra un tavolo con l’emozione che scuoteva il cuore al viaggiante della Grecia antica allorquando misurava boschi e valli e monti ritenuti soggiorni di divinità bellissime e sorprendenti.» – Giorgio de Chirico
Giorgio Morandi, personalità dal temperamento riservato e solitario, trascorse la sua vita prevalentemente tra Bologna e Grizzana – comune del bolognese che in suo onore ha cambiato il proprio nome in Grizzana Morandi –. Tuttavia non imbrigliò mai la sua visione dell’arte ad una realtà provinciale. Dopo la sua prima formazione, fortemente condizionata dalla sobrietà delle immagini e dall’essenzialità compositiva di Cézanne, l’artista, affascinato dal lavoro portato avanti da De Chirico, Carrà e Savinio sulla rivista “Valori Plastici”, aderì per un periodo alla Pittura Metafisica ( realizza nel 1918 di almeno dieci nature morte metafisiche).
La “Natura morta” del 1918, conservata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, mostra una scatola spaziale al cui interno fluttuano alcuni oggetti. Lo sconcerto causato da questi oggetti sospesi nel vuoto è accentuato delle proiezioni delle loro ombre. Mentre l’ombra della sfera si profila perfettamente sul fondo della scatola – secondo le norme della visione prospettica quattrocentesca – l’ombra del fermaporta affusolato non corrisponde alla sagoma dell’oggetto e quella del frammento di cornice è addirittura inesistente. La metafisica morandiana da un lato reinterpreta il senso enigmatico e spettrale della pittura di De Chirico, ma dall’altro se ne distacca, realizzando forme talmente immateriali e irreali da sconfinare non tanto nel meta-fisico, quanto nel non-fisico.
Verso l’astratto
Pur rimanendo sempre fedele a se stesso, Giorgio Morandi non rimase mai immobile sulle medesime suggestioni artistiche. Approfondì nell’arco della sua vita diverse soluzioni formali. Se le opere degli anni ’20 sono caratterizzate da una certa resa naturalistica, quelle degli anni ’30 si animano di un tratto pittorico più vibrante e tormentato. Esemplificativa di questa fase pittorica è la “Natura morta” del 1932, oggi alla Galleria comunale d’Arte Moderna di Roma. In quest’opera tutti gli oggetti sono rappresentati in primissimo piano, snelli e proiettati verso l’alto. Sembrano quasi sul punto di sciogliersi e liquefarsi come cera calda.
Nella sua ultima stagione produttiva, la pittura morandiana virò sempre più verso l’astratto. La “Natura morta” del 1960, appartenente alla collezione privata di Antonello Trombadori, è caratterizzata da una pennellata diversa, molto larga e materica, che deforma le sagome degli oggetti conferendogli un aspetto ultraterreno e surreale. Morandi spese tutta l’esistenza a rintracciare con il proprio pennello l’essenza delle cose e persino la propria essenza, arrivando a far coincidere vita e arte. Le sue opere, più che semplici nature morte, sono specchi del suo pensiero e del suo spirito che proiettano la sua personalità oltre la finitezza dell’esistere.
«Per me non vi è nulla di astratto: per altro ritengo che non ci sia nulla di più surreale e di più astratto del reale.» – Giorgio Morandi



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