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“La tempesta” di Luca De Fusco dà nuova vita a Shakespeare

By Luca Pinto
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La tempesta di Luca De Fusco, William Shakespeare

Si apre la stagione del Teatro Mercadante di Napoli. Non è un momento qualsiasi, non è un semplice spettacolo, ma una messinscena che segna un confine e più traguardi. Va in scena “La Tempesta” di William Shakespeare nella traduzione di Gianni Garrera, con Eros Pagni e Gaia Aprea, per la regia di Luca De Fusco.

‘La tempesta’ di Luca De Fusco. Un teatro in 4D

All’apertura del sipario, immersi nell’enorme biblioteca che fa da scenografia, si capisce subito di stare entrando in un mondo magico. Più in là si avrà il senso del significato più profondo della parola iper-reale.

Nei testi di saggistica teatrale si legge spesso la considerazione che il teatro possa diventare una realtà aumentata. Questo potenziale del trilatero che ci troviamo di fronte stando in platea non sempre è così sfruttato. Nella rappresentazione di Luca De Fusco invece si utilizzano tutti i mezzi mediatici a disposizione per rompere la tridimensionalità della scena. I libri prendono vita, le parole divengono forme, le forme prendono voce, le luci ombre, le ombre sogni, i sogni verità. E quando si riaccendono le luci di sala resta un profumo dolce nell’animo che porta in sé un magnetismo enorme, quello che invoglia a rimanere lì, tra i velluti rossi delle poltrone, tra il cielo buio e immaginifico della scena, cullati tra le onde del sipario, perché non si vuol tornare più sulla terra ferma.

Dietro le quinte, attraverso la scena

Le maestranze sono la chiave di questo efficace risultato. È grazie al capomacchinista Nunzio Opera e al macchinista Giuliano Barra se gli ingranaggi funzionano alla perfezione. Grazie al disegno di luci Gigi Saccomandi e al datore luci Ciro Petrillo se le ombre evocano fantasmi. Grazie alle installazioni video di Alessandro Papa se in scena balla una sola artista, ma noi ne vediamo quattro. Le scene e i costumi, che cambiano forma a seconda delle epoche da cui i personaggi provengono, sono di Marta Crisolini Malatesta. L’armonia del totale è coordinata dai direttori di scena Teresa Cibelli e Alessandro Amatucci. Sono solo alcuni nomi, ma per comprendere la portata di questa operazione teatrale bisogna andare prima dietro alle quinte, poi passarvi attraverso e in fine arrivare sulla scena.

Il plot è un omaggio a uno speciale visionario neo-novantenne

L’idea di fondo che ha mosso “La tempesta” di William Shakespeare è stata quella di utilizzare un Prosperodeus ex machina sui generis. Un intellettuale agorafobico immerso in un mare di libri incastonati in una biblioteca mediatica e magica. Prospero è interpretato dal grande Eros Pagni, a lui viene affidato un compito doppiamente grave dal momento che parliamo del protagonista dell’opera summa di William Shakespeare e anche di un uomo molto importante per il regista.

Già, infatti, Luca De Fusco ammette di essersi accorto solo dopo avergli dato vita, che il suo Prospero somigliasse tantissimo a suo papà Renato De Fusco, storico dell’architettura che, «dal chiuso della sua biblioteca, ha raccontato di edifici in gran parte dei quali non è mai stato ma che ha avuto la capacità visionaria di immaginare.» Un’idea che aleggia anche nel saggio “Shakespeare. Il teatro dell’invidia” di René Girard – come sottolinea Fabrizio Coscia de il “Mattino” – alla quale Luca De Fusco sembra aderire sicuramente nell’ipotesi che vede il protagonista dell’opera come un autore – magari proprio un regista – che racchiude i personaggi tutti nella sua mente, dalla quale riemergono o vengono sommersi proprio come in un fantastico sogno.

‘La tempesta’ di Luca De Fusco. Mostrami come entri e ti dirò chi sei

Gli ingressi in scena sono un altro momento speciale di questo spettacolo. Una vera e propria chicca. La scenografia si muove come un carillon, al suo interno compaiono di volta in volta gli attori. Ogni tanto c’è un elemento strutturale che sobbalza per creare un ingresso ad effetto. Altrimenti ci si affida ad un nastro trasportatore che incede a passo lento, ma deciso, come tutto lo scorrere dell’opera, che ha una traiettoria ben delineata nella fantastica mente di Prospero.

Dal nastro in stile Beckettiano compaiono Alonso re di Napoli (Carlo Sciaccaluga) Adriano (Francesco Scolaro) Antonio (un Paolo Serra in splendida forma) Gonzalo (Enzo Turrin) Francisco (Alessandro Balletta) Sebastiano (Paolo Cresta). Sono i sei nemici temporanei di Prospero, le loro vicissitudini vengono manovrate dallo stesso, un autore che scrivendo l’opera si vendica dei suoi nemici per poi sublimare il tutto in un catartico perdono finale. Il sestetto è bello da vedere e la bravura degli attori sta nel riuscire a divenire un unico corpo ma dalle fattezze ben delineate. Le singole identità non si perdono mai di vista sul palco, nonostante la compresenza coreografica li veda spesso protagonisti.

‘La tempesta’ di William Shakespeare. Il teatro da contaminare ma non inquinare

Svariati sono i personaggi che si muovono ne “La tempesta” di Luca De Fusco sulle musiche originali di Ran Bagno, cantano sugli adattamenti vocali di Ciro Cascino, eseguono i movimenti coreografici di Emio Greco e Pieter C. Scholten. Il tutto senza tradire la matrice di base: la recitazione. Nulla ne “La tempesta” di Luca De Fusco si discosta da questo parametro: tutto accade, tutte le discipline sono lambite, ma di base il lavoro ha una natura nettamente e squisitamente teatrale.

Miranda (Silvia Biancalana) e Ferdinando (Gianluca Musiu), figlio del re di Napoli, sono incantati dalla freccia di Ariel (Gaia Aprea) lanciata da Prospero. I loro personaggi son per alcuni versi speculari, figli diversi di una stessa medaglia e a suggellare il loro amore sarà Giunone, una maestosa Marilyn incarnata da Alessandra Pacifico Griffini. A condire di ironia partenopea il duetto Trinculo (Alfonso Postiglione) e Stefano (Gennaro Di Biase) accompagnati da un diabolico, ma non troppo, Calibano interpretato ancora da Gaia Aprea.

Per saper esser donna devi saper essere uomo e viceversa

Gaia è stata un’abile illusionista, interpretando Ariel e Calibano come “Jekyll e Hyde“. Ha contribuito a dare un tocco di eleganza a tutta l’opera, sia nei panni di benefattore sia in quelli di cospiratore. Solo una donna poteva avere una tale abilità in due personaggi maschili. Soprattutto ci ha riportato ai tempi in cui il genere sessuale degli interpreti sul palco non era scontato. L’eleganza è stato veramente un altro nastro trainante di tutto lo spettacolo e non mi riferisco soltanto agli appropriati costumi di scena, ma al buon gusto che ha pervaso tutta “La tempesta.”

L’eleganza dei gesti affettati, della recitazione secca ed evocativa, del Deus ex machina supra omnes et intra omnes di Eros Pagni era sicuramente attesa, non è stata mai banale. Eros con l’abilità, la padronanza di palco e l’intelligenza nel saper mescolare e rimescolare il copione, la dizione, la proprietà di linguaggio con cui è riuscito a far fronte a tutto il percorso narrativo, è stato un abile condottiero di una scuola pari solo a quella di Gassman. Una scuola che commetteremmo peccato a definire vecchia, perché sempre attuale nei suoi canoni eterni di recitazione, e le cui pause continuano ad affascinare e avvolgere lo spettatore di magia.

Quando ha pronunciato la fatidica: «siamo fatti della stessa materia di cui son fatti i sogni» con l’equilibrio di chi non trema di fronte a un capolavoro, lo ha fatto con scioltezza, come se dalle sue corde vocali sgorgasse il finale naturale dell’opera, la sua conclusione ultima. Accorato infine il suo appello alla clemenza del pubblico, in puro stile Sheakspeariano, ha trascinato i presenti in un applauso che ha suggellato l’incontro del pubblico con Luca De Fusco, Gianni Garrera,  cast e staff. Non solo, ha segnato il ritorno di una “Tempesta” in una versione che, con rispetto dei suoi predecessori e buon auspicio per quelle che verranno, ha dato un senso alla storia del teatro italiano.

Luca De Fusco

Luca De Fusco prende il microfono a fine spettacolo con voce commossa per tracciare un confine con parole semplici, dirette, lineari.

«Ce ne andiamo perché questo è un mestiere di girovaghi, però non spezziamo la nostra bacchetta continueremo a fare magie e spero di farle insieme a voi.»

A una prima lettura possono non sembrare parole eccessivamente dense di significato. In realtà lo sono tanto. Luca De Fusco ha diretto il Teatro Stabile negli ultimi otto anni e adesso lascia il passante. Gli si può tributare di essere stato un abile timoniere e di aver attraversato una tempesta che non ha scalfito il veliero, anzi l’ha tirato a nuovo. Era doveroso questo grazie da tutti coloro che credono nel teatro come foriero di libertà, cultura, magia e sogno.

Author

Luca Pinto

C'è un amore che viene da lontano, nasce con l'uomo e con la sua capacità di uscire fuori da sé per osservarsi, immedesimarsi e ri-prodursi. Il suo nome è Teatro: gli sono fedele da sempre!

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Intervista a Lucia Sardo. Anima ribelle, folle e generosa

By Luca Pinto
Intervista a Lucia Sardo

Lucia Sardo è un’attrice, regista, sceneggiatrice e insegnante di teatro, nonché esponente di spicco del teatro di ricerca italiano. Negli anni ’80 è tra i fondatori dell’Istituto di Cultura Teatrale a Santarcangelo di Romagna dove dirigerà il Festival di Teatro Europeo. Nella sua carriera Lucia Sardo entra in contatto tra gli altri con Jerzy Grotowsky, Dario Fò e Franca Rame. Si è fatta conoscere sul grande schermo per il ruolo della madre di Peppino Impastato né “I cento Passi” e per il ruolo di co-protagonista nel film di Carlo Verdone “Ma che colpa abbiamo noi.”

Lucia Sardo stata diretta da registi del calibro di Aurelio Grimaldi, Marco Tullio Giordana e Giuseppe Tornatore e ha collaborato con diversi attori tra cui Luca Zingaretti, Penelope Cruz e Nino Manfredi. In questi mesi gira l’Italia con lo spettacolo “La Rondine” per la regia di Francesco Randazzo, che racconta l’attentato del 2016 al bar gay di Orlando in Florida. L’abbiamo intervistata durante la tappa a Napoli della sua tournée italiana.

Intervista a Lucia Sardo

Salve. Lei nasce in Sicilia dove ha vissuto fino al raggiungimento della maggiore età. Come è stata la sua vita prima di trasferirsi e lasciare l’isola?

Francofonte è un paese siciliano. Un paese che non ha il mare al contrario di quanto tutti potrebbero immaginare, sentendo parlare di Sicilia. Invece è in collina. Un paese che vive di agrumeti. Mio padre stesso aveva degli aranceti.

Sono rimasta sino a 18 anni. Poi sono andata via perché a quei tempi era molto difficile per una ragazza stare in Sicilia. Soprattutto per una ragazza molto vivace e sognatrice come me. Abbiamo conquistato tanto e vorrei che le ragazze di oggi sapessero da dove siamo partite noi: noi pioniere. Alla mia età, quando ero ragazza, per le donne era molto molto dura. Nel senso che le ragazze non avevano diritto a tantissime cose.  Intanto era fondamentale che noi dovevamo garantire la dignità e l’onore dei nostri padri e dei nostri fratelli. Io una volta litigai con mio fratello perché lui aveva paura che gli facessi perdere l’onore. Gli dissi: «Perché devo essere io a garantire la tua immagine pubblica?! Ci devi pensare tu alla tua immagine pubblica!» Io ero molto vivace, ero una ragazza piena di energia, di inventiva, ero molto creativa, molto intelligente e gli risposi di conseguenza.

Per la donna di quei tempi era possibile emanciparsi dal marito tramite un divorzio?

Ricordiamoci che il delitto d’onore è stato tolto negli anni ’80. Quindi noi potevamo essere uccise tranquillamente e chi ci ammazzava al massimo poteva prendersi due anni di galera. Questo era il nostro divorzio, la nostra forma di divorzio.

Poi Lucia Sardo si è trasferita a Treviglio…

Si, sono andata a Treviglio perché ho fatto la segretaria in una scuola. Trovare un lavoro era l’unico modo per andare via da casa. Altrimenti mio padre non me l’avrebbe permesso. Quindi feci domanda ed ebbi un incarico a tempo indeterminato a Treviglio. Per cui quando mostrai questo foglio a mio padre gli dissi: adesso me ne posso andare, guarda qui. Perché non c’era altro modo. Per le donne lavorare era una vergogna. Io mi ricordo che quando mi diplomai in estate cercai dei lavoretti. Ero tutta felice e mio padre mi disse: «Ma questo cretino che ti ha trovato un lavoro come si permette?! Ora ci vado e lo rimprovero. E gli dico: Io a mia figlia la posso mantenere. Non abbiamo bisogno di te.» Gli risposi: «Non è che cerco lavoro perché tu non mi puoi mantenere. Cerco lavoro perché voglio essere indipendente.» Ma allora non era prevista l’indipendenza di una donna. La donna doveva dipendere sempre da qualcuno. E io sono stata sempre indipendente!

A Treviglio ha incontrato il teatro?

A Treviglio sono stata molto fortunata perché ho incontrato il Teatro di Ventura. In quel momento era uno dei gruppi più importanti della ricerca italiana. Io ho iniziato con un laboratorio. E dopo il laboratorio, durato un mese, mi chiesero di lavorare con loro. Perché evidentemente avevano notato il mio talento. Dunque io nel brevissimo tempo di un mese ho lasciato il posto statale, il mio fidanzato col quale convivevo. Avevamo un buon regime di vita, io guadagnavo bene, lui era medico e ci permettevamo anche una cameriera. Un mese dopo ero poverissima a fare teatro di ricerca, a fare 10 ore di training al giorno. Ma ero così felice…

È stata molto coraggiosa sotto questo aspetto…

Ma sai tanti mi dicono «Sei stata coraggiosa». Io dico ma tu se scopri qual è la cosa che ti fa felice, che ti rende felice, non sei più schiavo di nessuno e di niente, è coraggio?! Sei stupido se non ci vai! Io prima stavo male, avevo attacchi di panico, non potevo più uscire di casa. All’improvviso sto bene, sono felice. Che coraggio ci vuole? È come dire hai avuto coraggio ad innamorarti di Richard Gere?! Ma ci vuole coraggio?! Se ci vuole coraggio? Sono stata molto coraggiosa!

Poi per diversi anni Lucia Sardo ha organizzato il Festival di Sant’Arcangelo di Romagna, teatro in piazza.

Festival del teatro d’avanguardia, nelle piazze, nei palazzi, nei giardini, nei campi sportivi. Venivano compagnie da tutto il mondo. Era un punto di riferimento per tutta l’Europa. Anche per gli spettatori e gli attori e registi stranieri.

Tra i vari nomi di stranieri mi è balzato subito agli occhi quello di Grotowsky. Ha avuto modo di incontrato?

Assolutamente sì, eravamo pure “amichetti”. Pensa che noi Jerzy lo abbiamo ospitato al Teatro di Ventura perché lui aveva avuto dei problemi col governo polacco e ci avevano chiesto se lo potevamo ospitare. Ospitarlo significava ospitare lui e i suoi allievi e noi lo abbiamo fatto. Per diversi mesi è stato a Sant’Arcangelo. E per ripagarci di questa “gentilezza” ci teneva dei laboratori, degli incontri di lavoro. È stato un maestro per noi.

Nell’immaginario teatrale comune ci sono i tre capisaldi Stanislavsky, Brecht e Grotowsky. Quindi sentire un nome del genere mette un po’ paura. Come ha vissuto questo incontro?

No, con Jerzy è stato un bellissimo incontro. Poi viverci accanto… non era solo il maestro di teatro, ma era quello che ti prendeva per le spalle e ti diceva andiamo a bere qualcosa al bar. Quando lui a un certo punto è partito, la signora del bar centrale mi chiese chi fosse quell’uomo con gli occhialetti neri. Io le dissi: «Signora, guardi che in questo momento lui è considerato il più importante uomo teatrale del mondo». E lei mi rispose: «Ma come? E sono tutti ripartiti ora?!» Io devo dire che ho conosciuto anche l’aspetto umano di Grotowsky ed era una persona molto divertente, o almeno, a me faceva ridere tanto.

Al cinema ha collaborato con Nino Manfredi, Luca Zingaretti, Penelope Cruz, Luigi Lo Cascio e tanti altri grandissimi nomi. Ha avuto una carriera cinematografica molto prolifica…

Io non credo al caso, ma il cinema è comunque capitato nel mio percorso. Sono stata contattata per diversi film. Anche se io non ho mai vissuto con tutta questa enfasi i momenti anche molto positivi che mi hanno vista protagonista. Ad esempio negli anni in cui uscivo con “I cento passi” ero anche co-protagonista del film con Verdone “Ma che colpa abbiamo noi”. Quindi ero presente col massimo della tragedia e il massimo della comicità, della commedia. Appena ho fatto questo film mi sono trasferita nel mio paese. Sarei dovuta essere a Roma, a raccogliere i frutti. C’era la mia agente che mi chiamava e mi diceva: «Ma come c’è Roma ai tuoi piedi e tu te ne stai in un paesino sperduto a fare laboratori teatrali?» Ma quella era la mia vita, quello mi piaceva.

Ci può raccontare qualche aneddoto interessante de “I cento passi” ?

Aneddoti ce ne sono tantissimi. Una cosa che mi ha toccato è questa. Di solito quando col cinema andiamo in un posto, noi siamo adottati e coccolati dalla gente del paese. Le persone ci vogliono bene, ci offrono da bere. Oppure ci invitano a casa o portano piccoli omaggi. Ad esempio mi è capitato anche che mi regalassero uova fresche. Invece tutto questo non è avvenuto a Cinisi, perché le persone avevano una grande diffidenza. Una volta un signore disse: «Mi raccomando trattiamolo bene a Badalamenti!» E questo può dare un po’ la cifra di come una parte del paese stava reagendo. Mentre siamo stati accolti in maniera meravigliosa dagli amici di Peppino. Veramente ci coccolavano, ci proteggevano.

In questi giorni sarà ancora a teatro con “La Rondine” per la regia di Francesco Randazzo. Quanto di lei ritrova nel personaggio di Marta e quanto ha dovuto invece svilupparlo di sana pianta?

Un attore trova sempre qualcosa di sé, magari non in tutta la pièce, ma ci sono dei momenti che sono tuoi. Anche come pedagoga io dico che noi possediamo tutto dentro di noi. Esiste il santo, il diavolo, esiste l’assassino. Bisogna andare a filtrare quella parte di se stessi per poter lavorare bene. Perché noi conteniamo tutto. Un po’ come l’immagine della goccia che contiene tutto l’oceano. Dentro di me c’è tutto, ci può essere anche del razzismo, magari non nei confronti di altre etnie ma degli ignoranti ad esempio. O una parte di intolleranza c’è. Come quando vado in un ufficio pubblico e sono intollerante perché ritengo di non aver ricevuto la giusta accoglienza. Quindi mi vado a vedere quella parte di intolleranza e poi me la sviluppo, nella forma in cui ne ho bisogno per il ruolo che sto andando ad interpretare.

Grazie per la sua disponibilità. Ha l’umiltà delle persone che crescono artisticamente perché nella vita si son messe in gioco emotivamente tanto.

Per me il lavoro dell’attore è un veicolo. Sono più interessata alla parte spirituale della vita. Il veicolo che ho scelto è la recitazione. Ho più possibilità. Posso mettermi nei panni dell’assassino, del santo, dell’intollerante. Quindi ho più possibilità di scoprire perché siamo venuti qui. Alla fine questo è quello che mi interessa più di ogni cosa. Sicuramente fare l’attrice è il mio modo di attraversare la mia esistenza.

Cosa direbbe agli spettatori per invogliarli a vedere il suo ultimo spettacolo, “La Rondine”?

Dicendogli che questo spettacolo, anche se apparentemente ha una tematica, in realtà parla dell’impossibilità di comunicarsi l’amore. Quindi può essere una bellissima lezione perché delle volte poi gli errori fatti li possiamo riparare. Ma se accade qualcosa di irreparabile, se non ci siamo detti che ci amiamo. Non ci siamo dimostrati l’amore e poi succede quel qualcosa di irrimediabile, ci rimane il dolore dentro. E invece questo spettacolo vuole essere un inno alla riconciliazione. Vedere un problema da più punti di vista, vedere anche le motivazioni dell’altro. Anche quando ci sembrano folli, razziste. Però se ci mettiamo in ascolto attraverso l’anima, quello è importante. Mettersi in ascolto attraverso l’anima non attraverso i problemi, che rappresentano un terreno di confronto arido.

Grazie a Lucia Sardo, attrice, regista e insegnate. Una donna che attraverso il teatro ha scavato dentro di sé, diventando consapevole dei suoi punti di debolezza e dei suoi punti di forza, e riuscendo a trattare con semplicità momenti difficili e belli, complicati e importanti della sua vita facendocene dono senza filtri.

“Il borghese gentiluomo”, la commedia parodia di Molière

By Francesca Castellano
Il borghese gentiluomo di Molière

“Il borghese gentiluomo” di Molière è una commedia scritta a Chambord nell’ottobre del 1670 e rappresentata in pubblico a Parigi per la prima volta il 23 novembre dello stesso anno dalla Compagnia del Re.

Molière si serve della sua opera per criticare Luigi XIV come buffone di corte, estendendo la critica a tutti i suoi componenti e alla società che lui stesso aveva creato. Emblema della sua rappresentazione parodica è il protagonista, il signor Jourdain, un uomo che si erge a detentore di un ampio bagaglio culturare che – con il trascorrere delle vicissitudini – si rivelerà estremamente vacuo.

“Il borghese gentiluomo” è una commedia di carattere, storpiata dalla contingente necessità di ospitare musiche, canti e balli, per quanto possibile. È la storia di un uomo, portatore di una ben precisa mania o vizio, che finisce per condizionare tutti gli altri membri della famiglia. Vittima predestinata è sua figlia, che vorrebbe sposare l’uomo che ama ma è contrastata da Jourdain, a soddisfazione della propria considerevole mania.

“Il borghese gentiluomo” di Molière. La parodia e la satira come elementi costanti 

Svariate vicende all’interno dell’opera mostrano chiaramente il carattere di un uomo che detiene nient’altro che la propria pochezza, ma non è l’unico. Nell’atto II, ad esempio, i quattro maestri di cui era solito circondarsi Jourdain per arricchire le sue conoscenze, specializzati ciascuno nella propria arte, iniziano a discutere su quale tra queste si ergesse al valore di “arte suprema”. Una discussione che nasce pacificamente e si trasforma in una vera e propria lite fisica.

«E che cosa dovremmo dire allora della filosofia? A mio parere siete tutti e tre dei bei presuntuosi, a parlare in mia presenza con tanta arroganza e a dare così impudentemente il nome di arte a cose che neppure meriterebbero il nome di mestiere, e che comunque andrebbero accomunate ai miserabili mestieri dei gladiatori, dei canterini, dei saltimbanchi!»

Il maestro di filosofia, sperando di migliorare le cose, finisce per gettare tutta la propria repressione e rabbia contro gli altri due, innescando la breccia che porterà allo scontro fisico.

Intanto Jourdain continua a fare sfoggio delle sue conoscenze, anche di quelle più ovvie, come quando rimprovera la moglie e la serva perchè incapaci di distinguere tra il parlare in poesia e il parlare in prosa. Ogni nuova scoperta è un tassello in più per rendere sempre più alto il suo piedistallo. Tutto ciò non lo aiuta a limare gli aspetti emblematici della sua personalità. La stupidità e la troppa ingenuità lo portano a prestare per lungo tempo i soldi al suo amico Dorante, non intenzionato a restituirli.

Il signor Jourdain e Gaetano Semmolone. Due facce della stessa medaglia

L’aspetto propriamente parodico che si è riscontrato nelle pagine della commedia, trova la sua piena realizzazione anche in un altro personaggio. Si tratta di Gaetano Semmolone, il ricco cuoco appartenente ad una delle commedie che più ci ha fatto ridere: “Miseria e Nobiltà” di Eduardo Scarpetta.

Gaetano è una persona estremamente ricca, crede di essere astuto e intelligente, si prende gioco di alcuni membri della servitù perchè poco celeri nei servizi, ma finisce per mostrarsi non più celere di loro in quanto a ragionamenti. Accetta, infatti, il piccolo Peppeniello come nuovo membro della servitù, credendo che fosse il figlio del suo servo più fidato, e lascia entrare nella sua casa dei “poveri morti di fame” travestiti da nobili. Un escamotage ben organizzato da sua figlia Gemma e dal suo fidanzato, la cui vera famiglia non era ancora disposta a riconoscere Gaetano Semmolone.

Insomma, un giro di parole e sotterfugi, la descrizione perfetta di personaggi che si atteggiano a grandi astuti e si rivelano facilmente raggirabili. Risulta  un po’ azzardato o forse no, paragonare i temi approfonditi in “Il borghese gentiluomo” di Molière alla pochezza della società moderna. Una società in cui meno sai, più credi di sapere. Meno sai e più sei idolatrato. La società della contemplazione del nulla, un nulla da cui si può uscire solo continuando a promuovere la vera cultura.

1 Comment
    Francesco I. says:
    Ottobre 25th 2019, 10:16 pm

    Grande Luca Pinto !

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