“Labirinto” di Wislawa Szymborska

-e ora qualche passo 
da parete a parete, 
su per questi gradini 
o giù per quelli, 
e poi un po’ a sinistra, 
se non a destra, 
dal muro in fondo al muro 
fino alla settima soglia, 
da ovunque, verso ovunque 
fino al crocevia, 
dove convergono, 
per poi disperdersi 
le tue speranze, errori, dolori, 
sforzi, propositi e nuove speranze. 

Una via dopo l’altra, 
ma senza ritorno. 
Accessibile soltanto 
ciò che sta davanti a te, 
e laggiù, a mo’ di conforto, 
curva dopo curva, 
e stupore su stupore, 
e veduta su veduta. 
Puoi decidere 
dove essere o non essere, 
saltare, svoltare 
pur di non farti sfuggire. 
Quindi di qui o di qua 
magari per di lì, 
per istinto, intuizione, 
per ragione, di sbieco, 
alla cieca, 
per scorciatoie intricate. 
Attraverso infilate di file 
di corridoi, di portoni, 
in fretta, perché nel tempo 
hai poco tempo
da luogo a luogo, 
fino a molti ancora aperti, 
dove c’è buio ed incertezza 
ma insieme chiarore, incanto 
dove c’è gioia, benché il dolore 
sia pressoché lì accanto 
e altrove, qua e là, 
in un altro luogo e ovunque 
felicità nell’infelicità 
come parentesi dentro parentesi, 
e così sia 
e d’improvviso un dirupo, 
un dirupo, ma un ponticello, 
un ponticello, ma traballante, 
traballante, ma solo quello, 
perché un altro non c’è. 

Deve pur esserci un’uscita, 
è più che certo. 
Ma non tu la cerchi, 
è lei che ti cerca, 
e lei fin dall’inizio 
che ti insegue, 
e il labirinto 
altro non è 
se non la tua, finché è possibile, 
la tua, finché è tua 
fuga, fuga- 

Wislawa Szymborska

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