“Lamb” di Valdimar Jóhannsson eleva la bestialità dell’uomo e l’umanità della bestia

“Lamb” di Valdimar Jóhannsson è il suo film d’esordio . Si tratta di un horror anticonvenzionale che si allontana dalla volontà di suscitare terrore e paura per avvicinarsi alla sfera più emotiva. C’è un qualcosa di inquietante, perturbante, e insieme stranamente tranquillo e piacevole, quasi idilliaco. Tutto viene visto e accettato così com’è, senza porsi troppe domande. Sembra un sogno, una dimensione reale ma allo stesso tempo irreale. La vicenda fa spazio al folklore nordico, unito all’ambito religioso, fino ad arrivare a quello psicologico e filosofico. Infatti, con “Dýrið” – titolo originale -, Jóhannsson si avvicina alle pellicole di Ari Aster e Robert Eggers.  

«Ada è un dono, un nuovo inizio.» – María 

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“Lamb” di Valdimar Jóhannsson rende scambievole natura umana e animale

Islanda, luogo esteso e desolato. Nebbia e neve. Dei passi e un respiro. Qualcuno o qualcosa spaventa i cavalli e si dirige al fienile. Chi o cosa sia non è dato saperlo, almeno non all’inizio. La pellicola si divide in 3 capitoli, ognuno dei quali svela qualcosa di nuovo.

Il primo, per esempio, soltanto alla fine mostra la vera natura di Ada: un ibrido tra essere umano e agnello. E l’ultimo mostra l’entità che ha dato inizio alla storia a cui lo spettatore assiste. C’è un gioco tra detto e non detto, tra possibile e impossibile, tra realtà e folklore. Eppure il lungometraggio scorre fluido, nonostante la quasi assenza di dialoghi sostituiti da inquadrature significative e dalle grandi distese paesaggistiche, illuminate costantemente da una luce naturale.  

«Non è un bambino, è un animale.» – Pétur 

L’aspetto di Ada mostra la natura di ogni essere vivente: umana e animale. Uno dei messaggi che cela la pellicola è proprio questo. In ogni individuo c’è una parte umana e una parte animale. Una parte razionale e una irrazionale, una “civilizzata” e una selvaggia. La si vede negli occhi della vera madre di Ada, alla ricerca costante della sua piccola. La tenerezza del suo belato quando si trova nel fienile, come se chiedesse alla contadina dove abbia portato sua figlia, e quando chiama la sua bambina alla finestra, sono toccanti.

E la si vede in quelli di María, inteneriti dall’agnellino e infuocati alla vista della madre biologica che vuole tenerla con sé. Questa doppia natura tocca direttamente il tema della maternità e rende evidente come nell’animale sia fortemente presente la capacità di amare, ossia la sua sfera sentimentale, mentre nella donna c’è qualcosa di animale: una brutalità quasi naturale. 

“Lamb” di Valdimar Jóhannsson tra mitologia, religione e folklore

“Lamb” di Valdimar Jóhannsson somiglia a una narrazione folcloristica o mitologica. In numerose storie sono presenti degli ibridi, si pensi alle sirene, ai fauni o alle chimere. E in altrettante diverse tradizioni è spesso presente un racconto in cui una coppia, dopo una perdita o l’impossibilità di avere un bambino, vorrebbe un figlio. Il piccolo può giungere in modi differenti e Jóhannsson lo fa arrivare dal parto di una pecora. Tuttavia il nascituro non è destinato ai contadini, nonostante entrambi si abituino facilmente all’ibrido, quasi come se non ne notassero la particolarità.  

«Cos’è? – Pétur
Felicità. – Ingvar»

Ma cos’è esattamente la piccola Ada? È forse un semidio o il risultato di un atto illegittimo? L’entità che l’ha creata è una divinità? La pellicola non risponde a questi interrogativi, anche se è chiaro il riferimento a una dimensione mitologica. Eppure ci sono anche delle affinità con l’ambito religioso.

Secondo la religione cristiana l’agnello rappresenta proprio il figlio di Dio, simbolo di innocenza e dolcezza. Inoltre è legato alla Pasqua e alla resurrezione di Gesù. Sua madre era Maria, da cui prende il nome la donna del film. Invece il piccolo ibrido viene chiamato Ada dal nome della figlia perduta dalla coppia di contadini – visibile su una croce piantata nel terreno -, come se la bambina fosse tornata in una nuova forma, risorta.

L’egoismo dell’uomo sulla natura

“Lamb” di Valdimar Jóhannsson include in sé numerose interpretazioni pur allontanandosene, poiché non approfondisce in particolar modo nessuna di esse. La particolarità del lungometraggio si ritrova nella sua narrazione atipica, attraverso cui evidenzia diverse caratteristiche dell’animo umano. Si incontra la tematica della diversità seguita da quella della discriminazione (in un primo momento dello zio Pétur) e dell’accettazione (da parte dei genitori della piccola).

L’accettazione all’interno del film potrebbe anche essere sinonimo dell’egoismo umano. I contadini si prendono cura dell’ibrido, ma lo strappano via a sua madre. Non lo fanno soltanto per aiutare la piccola, ma lo fanno per ricreare il nucleo familiare perduto. Ne hanno bisogno così tanto che devono disfarsi della madre biologica, senza tenere in considerazione l’amore e la sofferenza dell’animale per l’allontanamento dalla sua creatura. In questo modo si ha un contrasto tra la bestialità dell’uomo e l’umanità della bestia.

«Ada sa che hai ucciso sua madre?» – Pétur 

Pur se spinti da buone intenzioni, Ingvar e María mettono al primo posto il proprio volere e i propri bisogni. Così diventano immagine dello sfruttamento della natura da parte dell’uomo. Approfittano dei suoi frutti e dei suoi doni, tanto da eliminare ciò che li potrebbe ostacolare. Tuttavia la natura incontaminata, che quasi rifiuta anche la presenza dei due e delle loro abitazioni isolate, risponde a quel gesto. E risponde al dominio e al controllo dell’essere umano su di essa. Probabilmente lo fa proprio attraverso l’entità che tornando dà inizio e fine alla vicenda.  

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