Una donna con un vestitino azzurro a pois corre in un campo, si piega su se stessa, ha i capelli neri mossi sulle spalle, e le sorride la bocca e le sorridono gli occhi. Un’altra cammina per una strada piena di negozi, ma il suo sguardo non è rivolto alle vetrine, è assorto. Porta degli shorts, è truccata e con una mano si accarezza pensosa una ciocca. Nell’immagine appaiono donne in Iran ma anche tre uomini, che passano indifferenti. In un altro scatto si vedono sette ragazze in un parco vestite con colori accesi, qualcuna porta la minigonna. Stanno leggendo o studiando, tutte hanno in mano un libro, nessuna in testa l’hijab.
Le donne iraniane prima della rivoluzione
Sono fotografie di donne iraniane negli anni pre-rivoluzione del ’78-’79; come queste se ne possono trovare moltissime sulle cartoline, sulle riviste di moda. Questi scatti smentiscono l’immagine, oggi tradizionale, della donna mediorientale. Sono ritratti di donne che mostrano il loro corpo e lo fanno con nonchalance, con serenità, quasi con indifferenza. Sono immagini di donne libere.
Nel 1979 l’Iran fu attraversato da una sanguinosa rivoluzione che portò all’attuale regime politico. Le foto di cui abbiamo parlato sopra riguardano un periodo antecedente a quella data, periodo in cui in Iran vigeva la monarchia. Il monarca, o meglio, lo shah (scià) era Mohamed Reza Pahlavi. Suo padre, lo shah Reza Khan, aveva vietato alle donne di indossare il velo nel 1936, ma era stata una misura drastica. Durante il suo regno gli uomini continuarono a conservare tutti i propri privilegi e molte donne, legate al velo per religione o per abitudine, non accettavano di mostrarsi in pubblico senza.
La rivoluzione bianca
Con suo figlio, invece, iniziò un vero e proprio programma riformista e ognuno tornò a potersi vestire come voleva. In quegli anni l’emancipazione delle donne fece un grande passo avanti. Con la rivoluzione bianca del 1963 Mohamed si occupò non solo dell’eversione della feudalità, della redistribuzione delle terre, della nazionalizzazione delle foreste, di un efficiente sistema sanitario per tutta la popolazione, ma anche dei diritti delle donne.
Il processo di emancipazione delle donne iraniane cominciò con estensione del diritto di voto e alla possibilità di essere elette in parlamento, istruzione gratuita e obbligatoria per tutti, libero accesso per le donne all’università. Le riforme proseguirono con la prima ministra dell’istruzione donna, Farrokhroo Parsa, e con la legge sul diritto della famiglia che limitò fortemente la poligamia. Venne rafforzato l’istituto del divorzio, stabilendo che le circostanze dovevano essere giudicate da un tribunale laico, ed aumentò l’età minima per il matrimonio da 15 a 18 anni. Questo stato di cose, però, non era destinato a durare a lungo.
La mortificazione della donna con la rivoluzione del 1979
Lo shah aveva in questo modo scatenato l’opposizione dei mujtahid e degli athollah, le massime autorità sciite, confessione dominante nel Paese. Ruhollah Khomeyni era un religioso sciita che aveva già tentato anni addietro una congiura contro lo shah. Sventato il colpo di stato, era stato esiliato in Francia. Senza dubbio era il più carismatico dei religiosi e godeva di un grandissimo seguito grazie ad audiocassette di propaganda, che negli anni aveva spedito dalla Francia. Fu il leader a capo della rivoluzione del 1979, a seguito della quale venne instaurato un sistema politico basato sulla legge coranica, la sharia. Il nuovo sistema è una Repubblica islamica dominata da organi religiosi, ma dotata anche di istituzioni elettive, come il Presidente della Repubblica e il Parlamento. Un sistema, quindi, repubblicano, ma allo stesso tempo teocratico.
I diritti per le donne furono letteralmente mutilati. L’età legale per il matrimonio fu abbassata a 9 anni, per le donne sposate vigeva il divieto assoluto di istruirsi, hijab fu imposto in pubblico, il ruolo di giudice fu precluso alle donne, l’adulterio e i rapporti sessuali delle donne al di fuori del matrimonio divennero reati punibili con la lapidazione e la poligamia venne ripristinata.
Il vento nei capelli delle donne iraniane
Nel corso dell’ottobre 2018, in via della Rivoluzione a Teheran, una giovane donna, Vida Movahed, è salita su un cubo, si è tolta il suo hijab bianco e lo ha lasciato sventolare nell’aria calda dell’autunno iraniano. Poco dopo, è stata arrestata. Nei giorni successivi quello stesso gesto, in quella stessa via, è stato ripetuto da molte altre donne, che sono poi state picchiate, insultate e arrestate. La protesta è non violenta e non riguarda, precisano le attiviste, il velo in sé, ma la libertà di poter scegliere se indossarlo oppure no.
Masih Alinejad, una donna iraniana, 42 anni, mamma e scrittrice – “The wind in my hair” – esiliata negli Stati Uniti, ha lanciato nel 2014 una campagna social sulla sua pagina “My Stealthy Freedom – La mia libertà nascosta”. L’attivista ha pubblicato una sua foto senza il velo, con i suoi bellissimi ricci al vento e un fiore bianco tra le ciocche. Molte altre donne ancora oggi seguono il suo esempio. E anche molti uomini, attraverso l’hashtag #meninhijab pubblicano foto di loro stessi con in testa il velo, in segno di solidarietà.
Nello splendore di quel velo immacolato sventolato in un giorno di ottobre per una strada dal nome tanto evocativo, si riflette lo spirito delle donne che stanno lottando per la loro libertà.














