«Gerti e Carlo: bene. A Trieste, loro ospite, un’amica di Gerti, con delle gambe meravigliose. Falle una poesia. Si chiama Dora Markus»
Così recita il biglietto che Bobi Blazen, intellettuale triestino, invia all’amico Eugenio Montale il 25 settembre del 1928. Un biglietto telegrafico, quasi privo di anima, si direbbe, fatta eccezione per l’impennata erotico-emotiva di quel «meravigliose». Un aggettivo eloquente che l’autore del biglietto non dovette comunque ritenere all’altezza della meraviglia di quelle gambe. Perché, per testimoniarla ancora meglio, Blazen sentì il bisogno di allegare una foto. Ecco come nasce una delle poesie d’amore più belle che siano mai state scritte.
Leggi la poesia: “Dora Markus” di Eugenio Montale
La fotografia alle gambe di Dora Markus
La foto delle gambe di Dora Markus, un’istantanea in bianco e nero di 7,5 cm x 5,2 cm, scattata da Gertrude Frankl Tolazzi (la Gerti del biglietto), è una foto che va dritta al punto. Infatti, di Dora Markus, non si vede altro che questo: due gambe oggettivamente belle, che dal ginocchio in un giù sporgono da una elegante gonna plissé, né troppo lunga né troppo corta. Tuttavia, come scrive Leonardo Rebay, ancora più delle gambe, il particolare che colpisce di più:
«è che il lembo anteriore dell’abito sia nettamente più alto a di quello posteriore, come se Dora, ritta in piedi, lo avesse sollevato di proposito al di sopra dei ginocchi per maggiormente scoprire a beneficio del fotografo quelle sue ‘’meravigliose’’ (…) estremità.»
Eugenio Montale, che di certo non mancava di genio e di eloquenza, avrebbe potuto facilmente cavarsi dall’impaccio con una poesia priva di anima, come il biglietto che gliela commissionava. Una poesia qualunque per un bel paio di gambe qualunque, scritta per gioco e magari controvoglia.
Una di quelle poesie cui, considerata la grandezza dell’uomo che le firma, si possono perdonare sia il fatto di essere riuscita meno bene di altre, sia il fatto di prendere le mosse da “occasioni” poetiche di seconda mano, non vissute autenticamente come tali. Eppure per qualche misteriosa ragione, Montale, nel raccogliere il guanto di sfida che gli viene lanciato, finisce per comporre Dora Markus, poesia che oggi viene ricordata come una delle più belle e delle più celebri della raccolta “Le Occasioni”.
“Le Occasioni” di Eugenio Montale. Storia di uno strano canzoniere sentimentale
Della raccolta “Le Occasioni” (1939) Maria Baudino parla come di un vero e proprio canzoniere sentimentale. Questo perché molte poesie che compongono la raccolta si rivolgono a un “tu femminile” dietro al quale, come dietro a un velo, si nascondono donne che non sempre siamo in grado di identificare con certezza.
E se invece di dire “donna”, si parla di “donne”, è perché Eugenio Montale, quest’uomo meraviglioso e terribile, fu in un certo senso affetto da una curiosa malattia: una febbre d’amore costante e inestinguibile che per tutta la vita lo portò a innamorarsi ferocemente e a intessere relazioni con un numero esorbitante di donne. Inseguì l’amore persino durante la relazione ufficiale con Drusilla Tanzi, scrittrice italiana che dal ’39 ne fu la compagna e che dal ’62 ne divenne addirittura la moglie!
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Moltissime, a giudicare dalle tracce che ha lasciato, sono state le donne da lui amate. Esterina, Clizia, Gerti, Dora Markus e le altre figure femminili che fanno capolino dalla raccolta, probabilmente, non ne sono che una piccolissima parte.
L’amore di Montale per Dora Markus: un caso isolato
Quello che rende quello di Dora o Dorothea un caso isolato, è il fatto che molto probabilmente Montale e questa ragazza austriaca di origine ebraica nella vita reale non si conobbero mai. Basti pensare al fatto che Dora, trasferitasi prima a Londra e poi in America per sfuggire all’Olocausto, non nomina il poeta nemmeno una volta nelle lettere che invia alla loro amica comune, Gerti – altra donna amata da Montale, a cui è dedicata “Il carnevale di Gerti” -.
Eppure, di questa ragazza che vide solo in foto e neppure per intero, Montale le dedica in poesia un ritratto sin troppo particolareggiato. Come se i due avessero avuto occasione di conoscersi intimamente nella vita reale e di interagire a lungo anche al di fuori del porto di Ravenna in cui la prima parte della poesia li ritrae insieme. Com’è possibile?
Chi è Dora per Montale? Amore vero o prestanome
Due sono le ipotesi che più frequentemente sono state tirate in ballo dalla critica. Secondo alcuni studiosi – anche se non è possibile dimostrarlo – Montale e Dora si sarebbero incontrati nella vita reale, perché considerato l’estremo coinvolgimento emotivo dell’autore non potrebbe essere stato altrimenti.
Secondo altri, invece, Montale e Dora non si conobbero mai e il poeta si limitò a prendere in prestito il nome della ragazza per parlare di un’altra donna da lui amata ai tempi. In tal caso dietro il nome di Dora Markus si potrebbe celare Irma Brandeis, se non addirittura la stessa Gerti.
Una terza ipotesi: l’amore ideale
Anche se nessuno si mostra disposto a prenderla davvero in considerazione, ci sarebbe una terza ipotesi. E se la fantasia di Montale, solleticata dalla reticenza e dal mistero di quella foto, avesse partorito il fantasma idealizzato di una donna di cui il poeta di sarebbe effettivamente innamorato senza mai averla incontrata nella vita reale?
Del resto non si può parlare di amore senza una buona dose d’idealizzazione. Perché nel caso di Montale, considerata l’inquietudine sentimentale che lo caratterizza, un’idealizzazione portata all’estremo sarebbe da escludere a priori? Non è quello che, d’altronde, è già successo a Dante, a Petrarca, a Leopardi e a centinaia, a migliaia di poeti prima di lui? È di un sorriso, di un saluto, di una voce che li raggiungeva dalla finestra che questi poeti si sono innamorati.
Come scrive Jacques Lacan, quando ci si innamora «per prima cosa noi amiamo un quadro» e, quando si è disposti a innamorarsi, può capitare che ciò avvenga «anche solo attraverso un contorno, uno strappo». Nel caso di Montale, non è da escludere che tale strappo possa essere stato proprio il lembo civettuolo di quella gonna appena sollevata a vantaggio dell’obiettivo.
È lì, in quell’ammiccamento pudico e indiscreto, in quell’asimmetria da niente che la sua infaticabile fantasia deve essere inciampata.Ed è proprio da quell’inciampo che molto probabilmente nasce Dora Markus.
Dietro una foto, amore e poesia. Questo celano le gambe di Dora Markus
Un fantasma che prende le mosse non dal poco che il poeta vide, ma da tutto quello che non vide. Un fantasma, una donna, con la sua inquietudine e col suo dolore segreto a cui non resta più nulla all’infuori della «matita per le labbra», del «piumino», della «lima» e del «topo bianco d’avorio» che tiene nella borsetta. Una donna che, nonostante tutto, col prodigio e con l’eroismo della propria bellezza e con la militanza del proprio dolore di esule, esiste e resiste.
E per quest’inquieta come certi «uccelli di passo | che urtano ai fari | nelle sere tempestose», per questo volatile aggraziato che freme di vita mentre tutto il mondo intorno muore, Montale costruisce una poesia straordinaria in versi liberi che vuole contenerla, ma non trattenerla. Quello che ci vuole, per una donna così, non è una gabbia, ma una voliera, Montale lo sa bene.
Infatti, nella seconda parte della poesia, «Ravenna è lontana» e Dora è già altrove. Ha seguito la chiamata, ha cavalcato il vento impetuoso della propria «ansietà d’Oriente» e l’uomo, che senza mai averla vista l’ha amata, si è già rassegnato, proprio malgrado, a perderla una seconda volta…