Letizia Battaglia incarna il dualismo della Sicilia. Perle e marcio

Letizia Battaglia, fotografa di fama internazionale, ha ricevuto numerosi premi, tra cui il “Premio Eugene Smith, riconoscimento internazionale di cui è stata la prima premiata europea nel 1985, ex aequo con la fotografa americana Donna Ferrato. È stata spesso al centro di polemiche, incensata e condannata, criticata ed apprezzata, soprattutto a Palermo, la città dove è nata e dove sempre è tornata. Dopo periodi trascorsi a Milano e a Parigi, è tornata nella terra sicula alla quale la lega un viscerale rapporto di odio e amore e di cui ha registrato le luci (poche) e le ombre (purtroppo tante). Letizia Battaglia alla Sicilia ha dedicato una fetta della sua carriera, con foto che ne colgono il marcio come lo spendore, attraverso lo sguardo critico e attivo che la contraddistingue.

Letizia Battaglia in Sicilia. Vita da fotografa

Letizia non nasce fotografa, lo diventa a quasi 40 anni, perché è l’unico modo che ha per mantenere se stessa e le figlie. Sposatasi a 16 anni per evadere dalla realtà chiusa di casa sua, il matrimonio si era presto rivelato una gabbia altrettanto soffocante. La fotografia diventerà poi per lei strumento di realizzazione personale, di conoscenza della realtà esteriore e della sua essenza interiore. La fotografia è stata «la soluzione magnifica della mia vita, quella che mi ha permesso di essere, di esistere, di non soccombere». È stata la prima reporter donna – e per molto tempo l’unica – del quotidiano palermitano “L’Ora”, nel quale arrivò nel 1969, ricca della sua esperienza precedente di Milano.

Ha preso a morsi la vita Letizia Battaglia, ed emblematico della sua “fame” di vita è il titolo della sua autobiografia, “Mi prendo il mondo ovunque sia”. Poliedriche le sue attività, ma sempre uguali il suo impegno e la sua passione. Fotografa, editrice e fondatrice di agenzie fotografiche e riviste culturali, ha vissuto l’esperienza cinematografica e teatrale, ha collaborato con diverse agenzie e laboratori. Notevole il suo impegno sociale e politico e di accorata denuncia civile.

Non solo “fotografa della mafia” siciliana

Letizia Battaglia si è trovata a vivere un momento particolare della sua Sicilia. A cavallo tra gli anni ’70 ed ’80, che definisce una vera e propria guerra civile, ha vissuto quel ventennio con «i piedi nel sangue» dei morti ammazzati delle mattanze mafiose. Vittime annegate nel proprio sangue, esasperate dal bianco e nero della sua fotografia. Lei non giudica né critica, mostra la realtà per quello che è, fermando le vite (o le morti) il tempo di chiusa dell’otturatore per documentare la realtà. Sua è la foto di Piersanti Mattarella, esanime tra le braccia dello sgomento fratello Sergio, sotto lo sguardo pietrificato di moglie e figlia che lo hanno visto ammazzare in quella fredda mattina dell’Epifania. Una moderna “Pietà” di michelangiolesca memoria o un compianto medioevale.

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Ma la fotoreporter che ha il dovere di informare ha poi ceduto il passo al silenzioso rispetto. Non ha fotografato Boris Giuliano, ammazzato dentro un bar, per non farlo vedere annichilito dalla morte. Non ha fotografato Falcone e Borsellino martoriati dall’esplosivo -anzi dal 1992 non farà più la fotoreporter, pur non abbandonando la professione-. Nel tempo ha rifiutato totalmente l’etichetta di “fotografa della mafia”. Sarebbe stato limitante per lei, troppo spesso ricordata per i suoi scatti di morte. Ha rivendicato per sé stessa e per gli altri il diritto di vivere con passione. Con le foto della Sicilia, ne ha esposto imparzialmente le luci e le ombre, perché «lo devo dimostrare in qualche modo, lo devo testimoniare e lo devo raccontare».

La fotografia neorealista di Letizia Battaglia

La fotografia deve andare al cuore di una città, di una persona, il fotografo per Letizia Battaglia deve «scavare con l’immagine». Ha definito la sua fotografia neorealista, perché è creazione come il cinema, con la differenza che il cinema opera nella fantasia, la fotografia invece nella realtà. Con il suo iconico caschetto – a fasi fucsia -, gli occhi appuntiti come spilli, che scrutano dentro persone e cose, la macchina fotografica d’antan a tracolla, Battaglia si definisce “una persona che fotografa”, antepone cioè il suo essere al suo fare. La scelta del bianco e nero deriva dall’esigenza di far prevalere l’anima della fotografia, senza la distrazione che il colore può dare.

«Il colore banalizza, il bianco e nero ti permette di vedere cose che il colore non rivela […] (è) più silenzioso, solenne, rispettoso»

Rifiuta anche teleobiettivo e grandangolo, cercando la vicinanza fisica e umana col soggetto che si pone davanti al suo obiettivo.Letizia Battaglia infatti preferisce usare il 35mm se non addirittura con il 28mm. Non a caso le sue macchine fotografiche sono semplici, non cerca l’effetto.

Dalla mafia al sociale e la meraviglia dell’innocenza. Letizia Battaglia tra le strade della Sicilia

Uno sei suoi servizi più noti di tematica sociale ha come protagonista la prostituta “Enza Montoro”. La donna posa con gli stivali alti della moda dell’epoca, la sigaretta, i capelli lunghi sciolti sulle spalle. Letizia non lascia prevalere lo stigma della professione esercitata, che non contraddistingue la donna, e le restituisce in questo modo la sua dignità di essere umano. Potrebbe essere una modella o una cantante, oppure semplicemente una ragazza alla moda.

Di tutt’altro spirito e soggetto la serie di foto siciliane scattate alle bambine in contesti ludici che ha fatto il giro del mondo. Nelle bambine cerca la sé stessa di tanti anni prima, la sua innocenza perduta. Famosa la “Bambina con il pallone”, per lei rappresentativa come la “Ragazza afgana” di Steve McCurry. Bambine, donne in nuce, che guardano con i loro occhi profondi, quasi a mangiarti l’anima. I giochi dei bambini con le armi giocattolo per le strade siciliane, forse proiezione di un futuro inevitabile. Le feste, l’abbandono, lo splendore, le miserie, di una città bellissima e colpita al cuore.

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Nelle sue foto si fondono denunce e sogni, la crudeltà di realtà inevitabili e la meraviglia per quanto ancora c’è di vero e salvo. Documenta le terribili delle mattanze mafiose, ma cerca anche le perle in mezzo al letame, lo splendore che è celato sotto la polvere di una città bella e dannata. Letizia Battaglia incarna in pieno la dualità di Palermo e della Sicilia. Come nella terra siciliana, vita e morte si intrecciano e si confondono. I morti ammazzati rigidi nelle loro pose cedono il posto ai bambini dallo sguardo severo ed a giovani spose in foto fuori dagli schemi.

Osservare per intervenire

Per Letizia Battaglia la fotografia è una missione, mezzo di denuncia, ribellione ma anche di conoscenza e condivisione. La passione abbraccia e coinvolge diverse cause portando all’attenzione la questione femminile, le problematiche ambientali, i diritti dei carcerati, le conseguenze della mafia.

È limpida la volontà non solo di raccontare, ma di intervenire attivamente sulla realtà per cambiarla. Questo motiva alcuni dei suoi reportage di carattere “civile” e “sociale” dedicati agli ultimi, ai disperati, alle donne non rispettate, ai carcerati e ai folli disprezzati ed esiliati. Tutti meritano che sia restituita la loro dignità. Letizia Battaglia non si sente un simbolo o un modello, ma racconta la sua vita e le sue esperienze affinché chi la ascolta, soprattutto i giovani che lei ama tanto, non si faccia abbattere dalle difficoltà ed abbia il coraggio di realizzare sé stesso con i propri sogni.

«Rappresento, in fondo, molto di più di quello che in realtà sono.» – “Mi prendo il mondo ovunque sia”

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