
«Capra! Capra! Capra!», sbraitava con tono a metà tra l’indignato e il giocoso l’ineffabile Sgarbi ai danni del malcapitato di turno, accusato dal nostro di essere testardo e ignorante come l’incolpevole ovino. Ma siamo poi così sicuri che la bestia in oggetto sia così priva di una sua nobiltà animale che gli possa far reggere il passo con colleghi di miglior fama? Vediamo un po’ come stanno le cose.
Intanto gli etologi sostengono che le capre hanno grande intelligenza e disposizione affettiva verso gli umani. Nei fumetti “storici”, la bestiola in questione ha sempre avuto un ruolo positivo. Nella fattoria di Nonna Papera, la capretta Billy era assai benvoluta da tutti. Per non parlare delle dolci caprette di Heidi, quelle che facevano “ciao” alla loro padroncina, almeno a dar retta alla celebre sigla che accompagnava la serie tv (prima messa in onda 1974). Quelle piccole caprette si chiamavano Bianchina, Diana e Fiocco di neve, come vi potrà confermare ogni bambina vissuta in quell’epoca.
Ma iniziamo “ab ovo”, e quindi dalle capre nel Mito
Non è forse stata la capra Amaltea ad allattare l’infante Zeus allorché la madre Rea lo nascose nei boschi del monte Ida, sull’isola di Creta, per sottrarlo al padre, il feroce Crono, il dio che aveva il vizietto di divorare i propri rampolli? (Esiodo, “Teogonia” e Ovidio, “Metamorfosi”). E non fu lo stesso Zeus, una volta divenuto re degli dei, a rendere le sue corna magiche dispensatrici di prosperità e abbondanza (cornu-copia)?
Ricordo che la capra era sacra a Era ed anche a Dioniso -frutto di una scappatella di Zeus con Semele-, il quale da piccolo fu mutato dal padre in un capretto nero per proteggerlo dalla vendetta di Era. A proposito di Amaltea, anche il grande Lorenzo Bernini volle omaggiare la preziosa nutrice scolpendo un gruppo marmoreo, oggi esposto alla Galleria Borghese, che rappresenta la materna Amaltea col piccolo Zeus e un fauno.
A proposito, i fauni, molto amici di Bacco (Virgilio, Eneide,VI), sono gli abitatori dei boschi, i protettori delle greggi e dei pastori. Il loro miglior rappresentante Pan, il dio arcaico figlio di Ares e della ninfa Driope, è famoso per aver inventato il flauto a sette canne (siringa), antenato dell’attuale flauto andino. La mitologia è affare molto complesso, oltre che affascinante, per cui è bene evidenziare che, oltre ai fauni, nel fantasioso mondo dei miti, vi sono anche i sileni e i satiri. I primi, alla lettera “uomini della luna”, hanno naso camuso, orecchie a punta, coda e zampa ora di capro ora di cavallo. Erano bruttini tant’è che, ai tempi di Socrate, il povero filosofo, che non era certo un Adone, veniva così appellato per scherno.
I satiri, sempre con corna e piedi di capra, erano marcatamente dediti al bere e a concupire fanciulle e ninfe. La brutta fama costò loro l’identificazione con i demoni da parte dei cristiani, sempre sessuofobici… Naturalmente i satiri sono presenti in numerosi lavori letterari -penso al “Ciclope” di Euripide e ai “Fasti” di Ovidio), ma anche alle “Cronache di Narnia”– e a diverse opere artistiche –“Venere e Marte” di Botticelli, “Ninfe e Satiri” del Rubens-.
Echi lontani del belato caprino
Torniamo alle “ostinate capre”, come le definisce Virgilio nel libro terzo delle “Georgiche”. Intanto, sono animali così importanti da essere state inserite anche nello zodiaco. Infatti il decimo segno è quello del Capricorno, essere per metà (superiore) capra e per metà (inferiore) pesce. Non mi risulta che la pecora o il tacchino, per esempio, abbiano avuto simile onore. Nell’Antico Testamento, quando cercarono una bestia da sacrificare a Yahweh per l’espiazione delle colpe umane, mica presero un vitello o un porco qualsiasi: no, scelsero appunto il… capro espiatorio.
Anche in altre culture, come per esempio in quella nordica, la capra ha un ruolo di spicco. Nella mitologia norrena il carro del dio Thor non è trainato da un coppia di purosangue, ma da due capre magiche. La dignità letteraria viene riconosciuta a questo piccolo bovide egagro nel IX libro dell’Odissea, allorché il grande cieco fa sbarcare Odisseo nell’”Isola delle capre” (Egadi), facendo dell’itacense il primo turista fai da te nella storia dei viaggi. Del resto è noto che le capre sulle isole ci stanno magnificamente: ad Alicudi, nelle Eolie, il loro numero ha superato quello di residenti e turisti messi insieme…
Ma torniamo alle belle lettere, anzi alla poesia: il poeta triestino Umberto Saba non dedicò una poesia al pollo o al toro, ma alla capra -quel «belato fraterno al mio dolore»-. Quando è stato confezionato il celebre scioglilingua, test fondamentale nei provini per ruoli di speaker, non si è scritto: «Sopra la panca l’ovino campa, sotto la panca l’ovino crepa», ma si è ricorso al suono ostico che produce la parola “capra” (Ka: suono duro + PR: occlusiva bilaterale con vibrante) in gioco allitterativo con il verbo “Crepa”.
Il sommo Aristotele affermava che la tragedia ha origine dal canto e dalla danza dei capri (in greco capro è tragos). Non avremmo avuto la Tragedia Greca senza i caproni, ci pensate! La capra ha una sua dignità, un suo carattere, una ben precisa simbologia. E anche un suo ben definito odore. Mai sentito dire «Puzzi come una pecora!»
Le amate capre di Marc Chagall
Quando il divino Marc Chagall, allenta le briglie della sua colorata fantasia simbolista, disegna mucche e cavalle blu, galli variopinti, e capre: mai una pecorella, solo capre. In bianco e nero (“Autoritratto con capra”, litografia del 1922), o ad olio (“Coppia con capra” ,1911 e “La vita campestre”,1917). “Capra che suona il violino” di Chagall, 1920, giustamente celebre, rappresenta una sposa, un violino ed una capra. La sposa è un omaggio alla povera Bella, la moglie prematuramente scomparsa; il violino ricorda i musicisti ebrei che vagano nel mondo (Chagall era un ebreo russo); la capra simboleggia il dolce ricordo del focolare domestico d’antan. Tutte e tre le figure fluttuano in un vorticoso mare blu che solo “un poeta con le ali di pittore“ (definizione di Henry Miller) poteva inventare col suo lirismo visionario.
«La felicità non è tale senza una capra che suona il violino» – Marc Chagall
Questa frase è stata poi ripresa con fortuna nel film “Notting Hill” (1999) e viene pronunciata da Anna (Julia Roberts) in un dialogo che ha con William (Hugh Grant), diventando quindi una frase di culto molto nota dal popolo del web. Anche nelle ultime opere, c’è una tela, “I Commedianti” di Chagall, 1968, dove addirittura le capre sono due. Visto che siamo in tema di cinematografia, ricordo che il mondo ha avuto la fortuna di godere delle opere dei un geniale regista il cui none era… Frank Capra! Il cognome Capra, del resto, è molto diffuso in tutta Italia.
In coda a questo mio “Elogio della capra”
Non posso non ricordare che presso il Museo archeologico di Napoli è conservato un gruppo statuario “porno” che vede protagonista l’impunito Pan mentre, in modo assai esplicito, si accoppia con una capretta. La scultura fu rinvenuta a metà del 1700 presso la villa dei Papiri di Ercolano e, per oltre un secolo, fu conservata dai Borboni in un armadio segreto perché non arrecasse turbamento e scandalo. Tutto sommato, non avevano poi tanto torto i protocristiani a considerare i capri dei diavoletti…
P.S. dedicato alle signore eleganti
Se questa lettura, tenuta magari all’aperto in una fresca sera d’estate, avesse procurato in voi un certo brividoso senso di freddo, pregate il vostro compagno di passarvi quel morbidissimo scialle in leggero Mohar appoggiato su di una poltroncina lontana, e ricordate che non avreste avuto tale conforto senza l’esistenza delle preziose caprette d’Angora…