Ihara Saikaku è il nome d’arte di un rivoluzionario scrittore che, nel XVII secolo, nel Giappone dell’epoca Edo, diviene il capostipite di un nuovo genere narrativo: gli ukyozōshi di Saikaku, letteralmente “racconti del mondo fluttuante”. Aderisce agli insegnamenti più liberali della scuola di poetica Danrin di Nishiyama Sōin. All’inizio si dedica alla scrittura di haikai, forma tipica di poesia giapponese. Finisce presto per passare alla narrativa, trattando tra il drammatico e il comico la realtà delle donne e la fugacità della vita.
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Gli ukyozōshi di Saikaku. Le donne in Giappone
Per Saikaku la narrativa si divide in tre filoni: descrizione del mondo dei samurai, del mondo dei chōnin (mercanti) e la predilezione per il mondo amoroso e del piacere dei sensi. Fanno parte di quest’ultimo le opere più famose di Saikaku. Si pensa a “Vita di un libertino”, “Storia di una donna licenziosa” e “Cinque donne amorose”. Da queste opere, che a una prima occhiata possono sembrare quasi storie di intrattenimento, il poeta delinea invece un quadro realistico della società giapponese di quei tempi.
Si scopre così il ruolo della figura femminile, il contratto matrimoniale, la durezza che imprimeva lo status sociale natìo. Il tutto intriso di un’onnipresente legge karmica buddhista, per la quale ad ogni azione sbagliata corrisponde una relativa punizione in risposta. “Cinque donne amorose”, come si può capire dal titolo, è una raccolta di storie su cinque donne protagoniste. Cinque eroine provenienti da diverse città, ma solo una delle loro vicende, l’ultima, non si concluderà in dramma. Il resto delle fanciulle sono coinvolte in storie d’amore ostacolate, burrascose e spesso adultere. Trovano nella morte l’unico modo di redimersi e di purificare la propria anima o, in alcuni casi, un sollievo per dalle proprie sofferenze.
È bene sapere che nella storia giapponese le donne non possedevano una propria indipendenza. Erano alla mercé della figura maschile di capofamiglia, e il loro ruolo passava da essere brave figlie a brave mogli e madri. In molte di queste storie viene raccontato l’adulterio spesso come formula di evasione da una vita matrimoniale descritta come serena e devota. Non si sa dunque il vero motivo del tradimento di queste donne, che spesso avviene quasi per scherzo o per errore, ma che indubbiamente porta a una tragica fine senza rimedi.
L’influenza del teatro
Qui è chiara l’influenza del teatro sugli ukyozōshi di Saikaku, la drammaticità con cui racconta il finale di ciascuna storia. Anche la sensazione che il filo narrativo – che esordisce con una calma apparente – sterzi bruscamente sul finale, porta il lettore a passare rapidamente dalla speranza alla sconsolazione. Il narratore invece rimane oggettivo, ironico e distaccato, ma con un tono fintamente moraleggiante. Saikaku osserva le disgrazie di queste dame non con pietà, ma quasi con atteggiamento comico, come se non si aspetti mai un finale diverso dal quello prestabilito.
Molto spesso la stessa sensazione di prevedibilità si riversa sulle protagoniste. Hanno spesso sogni premonitori in cui parlano con divinità profetiche riguardo la loro sorte (nella terza storia appare il dio Monju, nella prima il dio del monte Myōshin). Accettano quasi sempre di buon grado il proprio destino. La moglie del bottaio, ad esempio, colta in flagrante in atteggiamenti adulteri decide di togliersi subito la vita. La moglie dell’editore di almanacchi tenta di fuggire, ma con la tetra consapevolezza che chi si allontana dalla via del Buddha non può evitare a lungo la propria punizione.
«Osan pensò: “Non è altro che un mondo di polvere”»
Racconti del mondo fluttuante. Le “Cinque donne amorose”
Si chiama ukiyo, letteralmente “mondo fluttuante”, ed è l’atmosfera delineata da Saikaku all’interno di “Cinque donne amorose”. Ukiyo era la parola utilizzata per descrivere il Giappone nell’epoca Edo. All’inizio il termine si riferiva alla filosofia buddhista sull’evanescenza e la decadenza delle cose materiali. Il significato si allontanò ben presto dall’originale, finendo invece per indicare quel mondo fatto di piaceri carnali, bellezze effimere e vanità in cui erano sorti i quartieri di piacere. La vita in questi bordelli viene descritta come una vita notturna, divergente dalla facciata perbenista che la gente conduceva di giorno. I quartieri di piacere venivano mal giudicati e al contempo accettati dalla comunità giapponese.
Era dunque normale aspettarsi dalle donne alcuni comportamenti, come lasciarsi andare ad impulsi del momento, privi di scopi nobili e profondi. I personaggi vengono visti semplicemente come esseri umani, persone che non sempre scelgono di agire bene. La donna in particolare viene dipinta come un’immagine estremamente umana. Al contempo viene ribadita l’idea che la vita sia estremamente fuggevole e colma di dolore. Molto spesso i personaggi si abbandonano ad esclamazioni come «com’è fuggevole questo mondo!» o «vita di sogno e illusione». Negli ukyozōshi di Saikaku non si lascia mai una concezione troppo irreale degli avvenimenti, quasi come un capo espiatorio volto a giustificare le tragedie che colpiscono le giovani donne. Ciò che l’autore cerca di fare è evidentemente mettere in mostra in modo esagerato e sarcastico, quella che era una situazione realmente disperata per le donne dell’epoca.
Gli ukyozōshi di Saikaku. La celata speranza di un cambiamento
Molte delle situazioni sono portate all’esasperazione, tanto da conferirgli una nota comica. Anche le punizioni per i peccati delle donne sono spesso smoderate, e conducono quasi sempre alla morte. Le fanciulle rappresentano le vere eroine della storia, che hanno il coraggio di opporsi al sistema rigido della morale confuciana. Tuttavia Saikaku non può far a meno di sottolineare che si finisce per pagare a caro prezzo ogni soffio di libertà guadagnato. Le punizioni vengono ironicamente descritte come le ingiustizie della vita, e non del sistema su cui si basava la società giapponese.
L’uomo, ad esempio, se tradito dalla moglie aveva il diritto di cacciarla o addirittura di pugnalarla al petto di propria mano. Per divorziare ad un uomo bastava scrivere tre righe e mezzo su di un foglio. Prima di separarsi, invece, una donna doveva trascorrere tre anni in un convento per far si che il suo animo si depurasse, ma era molto costoso. La morte per suicidio diventava spesso una via di fuga preferibile. Tutto ciò viene raccontato sempre con una velata nota di comicità, tramite un testo colloquiale e ricco di allusioni.
Gli ukyozōshi di Saikaku non mancano di fare un richiamo al senso comune. Descrive l’umanità e la pietà delle persone che spesso si lasciano andare a lacrime e parole commosse, inteneriti dalle vicende. Non tutto è perduto dunque. Fin quando le ingiustizie verranno riconosciute, il cambiamento rimane possibile.
«La vita di Osan, quella vita breve come un sogno mattutino, si dileguò il ventiduesimo giorno del nono mese e nella sua fine non vi fu nulla di disonorevole. Anzi, essa divenne argomento di racconti tra la gente, e tale fu la sua fama che ancora adesso par di vedere l’immagine della veste azzurro pallido che ella indossava quell’ultimo mattino.»
