
«Poi ho avuto il bisogno di esprimermi…» Questo l’incipit del percorso di un ragazzo preso ad esempio, che potrebbe essere un qualsiasi altro ragazzo, un uomo di mezza età, una donna o un anziano. Scrivere diventa sfogo e senso ritrovato.
«La scrittura è un modo di esprimere se stessi a se stessi, per esorcizzare una parte di sé, anche perché non sempre è possibile esprimersi completamente. La scrittura è un momento di fragilità: puoi cacciare una parte di te, anche costituita dal dolore che normalmente non esprimi.» – continua Matteo Marazzi (24 anni)
Ad un certo punto qualcosa si smuove dentro noi, qualcosa che c’è sempre stata. Altre volte questo qualcosa si appropria di noi all’improvviso, ci divora famelicamente e si prende il posto che crede di meritare nella nostra vita. Andare al di là del proprio processo creativo è complesso come un qualsiasi altro atto di empatia che presuppone di entrare nell’intimità di qualcun altro. Cercare di capire il rapporto di una persona con la propria penna significa entrare nella sua fragilità, con il rischio di macchiarla con il proprio punto di vista.
L’ancoraggio della scrittura
Tolstoj scriveva: «Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». Così ogni momento di fragilità è fragile a modo suo e non può essere trattato in maniera saggistica, non se ne può parlare in maniera schematica ed impersonale. La scrittura non è fatta di istruzioni da seguire per riuscire a raggiungere l’obiettivo “testo”, ma parte dall’intimità di ogni individuo. Quella di Manuel Torre (21 anni) è una di quelle storie in cui la penna ha deciso di appropriarsi di un posto importante nella vita di una persona. Chiedendogli cosa lo avesse spinto a scrivere, ha risposto partendo da un tipo singolare di scrittura, il rap.
«L’avvicinamento ad un tipo di musica che con le parole riuscisse ad esprimere un certo tipo di concetti. Avevo un bisogno di espressione.»
Come ogni altra forma d’arte, getta il proprio occhio personale sul mondo, ma sfortunatamente si propone di farsi capire. Forse “capire” non è la parola più adatta: cerca di farsi accogliere.
«Avevo sempre immaginato che la storia della mia vita, se un giorno l’avessi mai scritta, sarebbe cominciata con un capoverso memorabile: lirico come il “Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi” di Nabokov» – “Firmino” di Sam Savage.
Scrivere in un abbraccio di fogli e parole
L’incipit di questo romanzo, Firmino, tocca il senso di quel “farsi accogliere”. Scrivere la storia della propria vita, che può considerarsi il frutto del più grande e necessario dei desideri di espressione, vuole diventare un modo per essere memorabili nella vita di qualcun altro. Perché? Per Matteo Marazzi è per rimanere in un pensiero.
«Le religioni hanno parlato di paradiso e di inferno, o di un qualche tipo di feedback del tuo comportamento in vita. Io penso che si possa rimanere eterni attraverso un pensiero, ma in questa vita. Scrivere è la possibilità di rimanere in un ricordo, non importa di chi, ma ci sarà sempre qualcuno, un giorno, che potrà conoscerti non dalla tua scheda tecnica (Matteo, cognome Marazzi, nato il… eccetera.), ma tramite le emozioni che hai espresso.»
Il filo conduttore tra queste due risposte è il desiderio di non scomparire, non importa che tu scriva romanzi stampati in tutto il mondo o che tu scriva racconti solo per te.
«Personalmente sono molto distratto, per cui, quando scrivo fisso un pensiero che altrimenti finirebbe nel dimenticatoio. Ho l’ansia di perdere delle sensazioni che altrimenti sfumerebbero, o resterebbero dentro di me senza la possibilità di esprimerli.» – Manuel Torre
Esprimersi diventa un modo di ancorarsi a qualcosa: legarsi al pensiero di un altro tramite quella parte segreta di noi stessi, che non emerge nelle chiacchiere davanti ad un caffè, nemmeno con il più intimo degli amici, che sarà sempre e comunque un giudice meno imparziale di un foglio di carta.
Scrivere nel silenzio
Scrivere diventa «uno spazio senza paura» (Manuel Torre). Capita che questo posto sicuro diventi troppo per rimanere ancorato unicamente a noi. Richard Harrison (poeta canadese classe ’57) disse «at the moment, poems will tell you when they want to meet new friends», perché le parole sanno quando uscire da noi e legarsi a qualcun altro. Ma perché c’è questo bisogno di migrazione? Perché un bisogno di espressione deve trovare i suddetti “new friends”?
«Per quanto mi riguarda l’obiettivo è farmi comprendere, creare una connessione con chi mi legge. Capire cosa può toccare chi mi legge. Quando vedo che questa cosa non riesco a farla, mi sento una voce roca: sto parlando, ma non riesco a farmi capire. Se gli altri non lo colgono, allora mi chiedo quanto sia giusto quello che ho scritto, se sia forzato. Allo stesso tempo subentra anche l’idea che questo è quello che voglio fare.» – Manuel
Perché vogliamo che qualcuno accolga la nostra fragilità. Perché vogliamo legittimare un pensiero, un’emozione. Perché non vogliamo vivere nella solitudine della nostra testa. Scrivere diventa il primo gesto per accettare che quel qualcosa che fluttua dentro di noi esista, che sia qualcosa di concreto. Ci fidiamo talmente poco di noi stessi che per renderlo davvero reale abbiamo bisogno dello sguardo comprensivo del mondo. Ottenuto quello, vogliamo restare su carta.
«Vedendo come leggere mi faccia entrare nella testa degli autori, mi ha fatto desiderare di fare altrettanto. La possibilità di farlo anche io, che ho difficoltà ad esprimere me stesso, mi permetteva di trovare uno spazio senza paura. La scrittura è un’esperienza catartica. Soffochi e scrivendo depositi l’afflizione.» – Manuel Torre
La voce della scrittura
Resta da trovare il tipo di voce da dare a questo flusso di pensieri.
«La prosa mi dà la possibilità di esprimermi. La poesia è sicuramente espressiva, ma è incastonata in un dato attimo. La prosa è un’esigenza di scrivere un verso più lungo, mi permette di parlare di tanti tipi di emozioni e di come le affronto. La poesia ti limita a determinate regole che non sempre appartengono al tuo modo di esprimerti. La prosa mi permette di evolvere il mio pensiero pezzo per pezzo. Riesco ad esprimere come mi sento sempre, tutti i giorni. La prosa include i momenti unici della poesia.» – Matteo Marazzi
Per Manuel, invece, questa voce è proprio la poesia.
«La poesia ha qualcosa di più immediato rispetto alla prosa. Per la prosa ci vuole leggerezza nella sintassi, più che nel contenuto, che io non sento di avere. La poesia è contestualmente più pesante. La rima l’ho abbandonata. Aveva una funzione di chiusura. Ora ho smesso perché sto cercando di svincolarmi da cose già date, di trovare il Manuel scrittore. Voglio entrare in empatia con il mondo che mi circonda.»
Siamo giunti al punto in cui scrivere diventa una presa di posizione identitaria. È cercare se stessi nei pensieri, costruirsi con le parole e gettarsi nel mercato del mondo, cercando di farsi conoscere per le emozioni che hai espresso. La conclusione è che non c’è alcuna conclusione. Non si può mettere un punto ad una necessità grande come quella di cercare se stessi. Non la si può compendiare in un articolo. Se ne può dare una visione parziale, senza alcuna rivendicazione onnicomprensiva. Questo articolo, per cui ringrazio Matteo e Manuel per l’aiuto, vuole essere la tentazione di specchiarsi nelle parole degli altri. È un invito a spogliarsi.
Autore: Fabiana Russo