
L’italiano è il nostro registro linguistico quotidiano, lo stesso che siamo soliti alternare a quello dialettale perchè sì, diciamolo: le frasi in dialetto rendono di più il concetto. Tuttavia il rapporto tra italiano e dialetto non è sempre stato idilliaco. Agli albori dell’unificazione nazionale la prevalenza della componente dialettale ha rappresentato un ostacolo alla piena conoscenza della lingua italiana da parte dei cittadini di qualsiasi età.
I rapporti tra italiano e dialetto. La ricerca di un metodo
L’uso dell’italiano conquistato attraverso un sistema scolastico e culturale uguale su tutto il territorio nazionale è stato l’obiettivo generale dello stato unitario e ha preso forma attraverso i programmi scolastici. Nella didattica era giusto che il dialetto fosse rapidamente abbandonato, per garantire un più diffuso processo di apprendimento della lingua comune. Comprendiamo bene che il dialetto, prima dell’unità di Italia, fosse un ostacolo alla piena realizzazione di quest’ultima sul piano linguistico. Difatti, nel XIX secolo ogni regione o distretto presentava diversi bisogni di istruzione e diverse soluzioni sul piano organizzativo e didattico in virtù della presenza del linguaggio dialettale. L’incapacità di conoscere appieno la complessa lingua italiana derivava anche dall’incapacità di insegnarla. L’insegnamento era come frammentato poichè, in alcuni casi, c’era chi insegnava a leggere e a sillabare ma non a scrivere, chi le addizioni e le sottrazioni e non le divisioni e le moltiplicazioni.
Con queste premesse storiche si comprende, senza alcuno stupore, come il problema della formazione dei maestri – in qualche modo – si colleghi alle difficoltà di apprendimento della lingua.
L’imbratto del vernacolo: il dialetto nei programmi ministeriali
«L’imbratto del vernacolo che ci ha lordati fin da bambini, divenuto a noi naturale, difficilmente si può tergere dal nostro spirito.»
Le parole di Antonio Rosmini, frutto di una grande sensibilità degli uomini di politica e di cultura dell’epoca verso la componente dialettale.
Dialetto dunque come linguamaterna e naturale e tuttavia connotata come “cattiva”, un imbratto che lorda lo spirito, e italiano come lingua seconda, “buona”, arte appresa con difficoltà. In un certo periodo che ha preceduto l’unificazione questa risulta essere la posizione di molti studiosi. Un nuovo punto di arrivo, invece, è stato rappresentato sicuramente dalla proposta manzoniana del fiorentino d’uso come modello uniformante, da considerarsi come un punto di partenza per un processo di unificazione linguistica. La “Relazione sull’unita della lingua e sui mezzi per diffonderla” del 1968, promossa dal ministro Broglio, è quella con cui il Manzoni ribadisce in maniera autorevole il nesso tra questione della lingua e diffusione della cultura. Ad ogni modo, la lingua adoperata in Toscana era considerata naturalmente la lingua più “pura” da prendere in considerazione per la realizzazione dell’unità in quanto non inquinata dagli errori di pronunzia dei suoi parlanti.
Il dialetto cambia aspetto. L’obbligo dell’istruzione e la traduzione
Con la legge Coppino del 1877 viene introdotto l’obbligo dell’istruzione elementare, primo passo verso l’acquisizione di un registro linguistico comune. È la grande spinta all’alfabetizzazione, e la scuola si avvia a divenire un riferimento stabile anche per la diffusione dell’italofonia.
«Il dialetto, il tanto aborrito e disprezzato dialetto, che è – e come! – una lingua viva, sincera, piena ed è la lingua dell’alunno e perciò l’unico punto di partenza possibile ad un insegnamento linguistico.»
Un passo importante è stato fatto in quegli anni. Comincia a cambiare la posizione – originariamente rigida – nei confronti del dialetto, che si avvia a diventareforma comune, “un fondo prezioso” della lingua, attraverso la comparazione grammaticale e lessicale condotta con l’osservazione delle eguaglianze.
«Tali raffronti tra lingua e dialetto non devono restringersi alla parte puramente grammaticale, ma estendersi in tutte le classi, anche al vocabolario, cioè a tutto il corpo della lingua. »
Lo sviluppo della chiara coscienza del proprio mondo e l’espressione della persona si deve dunque manifestare con la conoscenza della lingua materna e della lingua nazionale. Il confronto continuo tra italiano e dialetto è il modo per imprimere negli alunni l’indole propria della lingua italiana.
Il dialetto è nei vari paesi una lingua viva. Però diventerà una lingua morta se rimarrà solo a livello orale . Esiste una solo strada per salvare il dialetto, mettere per iscritto il dialetto , a partire dalla fonetica e dal dizionario . Io da alcuni anni sto creando un dizionario della mia lingua madre ovvero del “rolese” , visto che ho vissuto a Rolo (RE) tutta la mia vita. Ho solo trovato un ostacolo l’applicazione operativa delle leggi della fonetica. Comunque spero un giorno presentare il mio libro .”Paròli e foto rulési”. MI sono posto un problema è nata prima la lingua italiana o il rolese ? A questo punto posso dire che il diletto è sicuramene più antico dell’italiano.
Remo Bellesia