
Pochi simboli di culto hanno raggiunto nell’animo umano la misteriosa fascinazione della dea Selene, il silenzioso astro argenteo che, oltre alle maree, influenza gli umori degli uomini e degli animali. Thomas Mann in uno dei suoi saggi definì la luna «emblema dell’arte». Gli antichi egizi la chiamavano l’occhio sinistro del cielo, colei che i greci appellavano Selene “la risplendente” (figlia di Iperione e Teia, sorella del sole Elio e dell’aurora Eos) e i romani Luna dal poetico appellativo di Noctiluca, “lucerna notturna”. Luna ispiratrice, figurazione plastica del vago e dell’indefinito, del mistero dell’algida quiete cosmica.
La sua particolare luce diafana, impalpabile, fredda come un neon, ha toccato l’anima di poeti, romanzieri, musicisti, pittori. Di fronte allo spettacolo di un plenilunio magicamente spettacolare, esternano le loro emozioni persino i cani che, infatti, abbaiano alla luna. Tutti eccetto il Melampo collodiano il quale, colluso con le faine, se ne sta, corrotto ante litteram, buono e zitto per spartirsi le galline razziate nel pollaio.
La Luna ispiratrice di viaggi e avventure
Siamo entrati così nel fertile campo letteratura, dove troviamo il povero caruso Ciaula che nell’omonima novella pirandelliana, una notte si commuove e scopre la luna per lui portatrice di serenità. È la medesima che Manzoni indica come nome della famigerata osteria in cui si rifugia Renzo durante i tumulti milanesi, l’identica luna citata da Dante in ogni cantica. Nell’Inferno – «e già iernotte fu la luna tonda» –, nel Purgatorio la definisce addirittura «fatta com’ un secchion che tutto arda» e infine nel Paradiso – «figlia di Latona incensa».
Non stupiamoci delle metafore forzate. Il materano Tommaso Stigliani, poeta barocco amico del Tasso e del cavalier Marino, la chiamò «celeste frittata celata dalle oscure nubi, materazzi del cielo». Shakespeare in “Romeo e Giulietta” scrive della «gelosa luna, sbiancata e livida di rancore».
Tutti stregati dalla luna, ma… quando l’uomo ha scoperto davvero l’amato satellite? Intanto c’ è da dire che l’astro d’argento non è stato affatto violato dal piede saltellante di Neil Armstrong nel luglio del 1969. Il primo essere umano a sbarcare sulla luna fu Luciano di Samosata nel I secolo d.C. Scrisse nella sua “Storia vera” – primo romanzo di fantascienza al mondo! – di aver raggiunto Selene e di aver conosciuto i Seleniti. Poi di questi viaggi in letteratura se ne sono registrati parecchi.
Vola sulla luna con l’aiuto dei demoni il bimbo islandese descritto da Keplero nel suo “Il sonno della luna”, lo segue il vanitoso Astolfo ariostesco che, in groppa all’ippogrifo, vaga tra i crateri alla ricerca del senno degli uomini… Anche Cyrano de Bergerac raggiungerà l’obiettivo sospinto da un razzo. Così del resto faranno gli eroi di J. Verne nel 1865 quando, nel romanzo “Dalla terra alla luna”, si faranno sparare da un maxi cannone.
La blue moon dei musicisti
Non ci sono più parole vergini per definire il magico astro. Piena, tonda, falce, spicchio, calante, bianca, gialla, verde, rossa, nera, blu e persino rosa, in Garcia Lorca. Blue moon, sussurrerà il grande Frank Sinatra interpretando questo celebre standard a cui fa eco Moonlight Serenade, la struggente melodia composta nel lontano 1939 da Glenn Miller, il re dello swing. Luna ispiratrice, termine evocativo, che può essere nobilitato da titoli d’autore ( “Alla luna” di Leopardi, “La luna dei Borboni” di Bodini, “La distanza della luna” nelle Cosmicomiche di Italo Calvino) , oppure mortificato e banalizzato come nel caso di un ristorante brianzolo che si chiama “La luna e i falò”.
Incanto e magica attrazione fatale per le atmosfere sognanti suscitate da colei che ha commosso i cuori di Beethoven e Debussy – “Chiaro di luna” -, di Leopardi, di Garcia Lorca, di Bodini, di Sandro Penna e di tanti altri ancora. L’astro lorchiano è cangiante: ora è la “luna verde sui campi”, ora è quella “nigra de los bandoleros”, infine è “chiara di pace”. Ad essa risponde la luna del più ispanico dei poeti italiani, il nostro Vittorio Bodini. La felice creatività delle immagini bodiniane riserva alla luna epiteti originali e suggestivi.
«Sotto una luna lumaca / che parodiava il madreperlaceo / della nostra pena | la luna calva e grigia | conchiglia di luna | la luna verde e tonda, come l’ orologio della piazza | la pigra mezza luna nel sole di maggio»
Domande alla Luna, ispiratrice degli animi
L’ umano senso di smarrimento evocato dal placido ed enigmatico riverbero, ha sempre determinato domande senza risposte, interrogativi da porgere, come quello avanzato dal Leopardi nel celebre “Canto notturno” – «Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi che fai,/ silenziosa luna?» -. Anche per Virgilio nell’Eneide la luna era «tacita e dai silenzi sereni».
Ma non è detto che tutti sposino il cliché che la vede silenziosa. Per Ermanno Cavazzoni, autore di un romanzo intitolato “Il poema dei lunatici”, la luna parla. E lo abbiamo anche visto nella “La voce della luna” (1990) , ultimo film di Fellini tratto dal lavoro di Cavazzoni, dove i due stralunati protagonisti, Benigni e Villaggio, girano la pianura padana fantasticando e ascoltando la voce della luna che fuoriesce dai pozzi. Certo, la voglia di interrogare la casta diva è insita nella natura umana, in ogni tempo e in ogni contesto.
Lo hanno fatto in tanti. Dal compositore de “Il paese dei campanelli” che nel noto foxtrot fa cantare «Luna tu, non sai dirmi perché», alla Loredana Berté di «la luna bussò alle porte del buio», dal romantico Buscaglione che invita a stupirsi del mondo «Guarda che luna», al mitico quartetto Cetra che a mezza voce intonava la cover di Blue Moon «Ma tu, pallida luna perché».
La Luna, un’eterna canzone sulle corde del cuore
Un dialogo continuo, quasi un moto dell’animo, irrefrenabile desiderio di complicità con l’astro degli innamorati. «Tu, che mi sorridi o verde luna» sussurrava la beguine della bionda, italianissima, Flo Sanon’s negli anni ’50, mentre ai primi degli anni ’60 furoreggiò Peppino di Capri con “Luna Caprese”, il cui melodico ritornello faceva «Tu, luna luna tu, luna caprese» – e più avanti diventa busciarda -. Qualche anno dopo venne la grande Mina a dissacrare l’incanto intonando una sbarazzina, ironica “Tintarella di luna”.
L’ astro d’argento brilla in “Santa Lucia”, la prima canzone napoletana ad essere tradotta in italiano nel 1849. «Sul mare luccica l’ astro d’argento/ placida è l’ onda, prospero il vento» e sperluccica anche nella “Serenata messicana” proposta all’epoca da Claudio Villa e poi riproposta dal duo Celentano-Santercole – «Stella d’ argento, che brilli nel ciel,/ il tuo splendor mi fa morir di nostalgia» –. Come non ricordare anche lo scanzonato Renzo Arbore che nei suoi concertoni ancora sussurra «E a luna rossa me parla e te/ Io le domando se aspiette a me».
Van Gogh e Magritte agli antipodi della Luna
Abbiamo citato lune cangianti di tutti i colori, ma ne resta ancora una: quella arancione. Una luna ispiratrice dipinta da Van Gogh un’ inquietante “Luna nascente” (1879), un disco di fuoco simile al sole che illumina un campo di grano appena mietuto. Idea e realizzazione completamente diversa a quelle create nel secolo scorso dal raffinato Magritte. Le esili mezze lune del pittore belga non ci parlano di nulla, non ci vogliono dire niente e noi, a queste lunette mute, non rivolgiamo alcuna domanda, perché sono soltanto entità fisiche galleggianti in un freddo cielo senz’anima. Queste fette di luna sono in testa rispettivamente al classico uomo in bombetta ritratto di spalle nel quadro “Maitre d’école”, e alla donna, sempre di spalle, nel quadro “Robe de soirée”. I due personaggi non chiedono niente alla luna, si limitano ad osservarla passivamente.
Ma c’è, tra i lavori di René Magritte, una tela ancora più irreale e inquietante. Mi riferisco alla “Pagina bianca” dove, in un improbabile cielo di cobalto, spicca un’ impossibile luna piena che si staglia davanti e non dietro le grosse foglie di un albero. L’effetto è quello di una goccia di maionese versata su di un letto di spinaci. Geniale creazione artistica straniante, enigmatica, surreale, simbolica testimonianza della crisi che attraversa il ‘900 e della assenza di valori certi che induce alla disperata ricerca della perduta identità, stimolando l’esigenza di reificarsi in qualcosa di nuovo.
Umano ed eterno cruccio
Eppure noi, ancora oggi, siamo a ricercare il significato autentico della nostra caducità esistenziale, interrogandoci nell’animo e, proprio come si faceva già migliaia di anni fa, scrutando il cielo stellato sopra di noi, mentre, dentro di noi, la famosa legge morale latita un po’… E nel guardare lassù in alto, dove qualcuno spera ci sia un Dio salvifico, per nostra buona sorte scorgiamo ancora il nostro affascinante e rassicurante satellite, perché siamo ancora stregati dalla nostra luna ispiratrice e perché, come la buonanima di Achille Campanile, pensiamo che la luna ci porti fortuna.