
«Pictura, poesis: erit quae, si propius stes, / te capiat magis, et quaedam, si longius abstes. / Haec amat obscurum, volet haec sub luce videri, / iudicis argutum quae non formidat acumen; / haec placuit semel, haec deciens repetita placebit.» La luminosa concinnitas del latino è affascinante, ma passiamo all’italiano. «Una poesia è come un dipinto: ci sarà quella che, se ci stai davanti, / ti cattura di più, e qualcuna (che ti cattura) se te ne allontani. / Questa predilige l’ombra, quest’altra vuol essere vista alla luce, / e non teme l’arguto acume del critico, / questa è piaciuta solo una volta, quest’altra piacerà anche se ci torni dieci volte.» – Orazio, “Lettera ai Pisoni”, alias “Ars poetica”, vv. 361- 365
Sono i versi che ci fanno conoscere la straordinaria intuizione di Quinto Orazio Flacco, non solo poeta ma intellettuale tout court, in merito alla stretta correlazione tra le due arti.
Poesia. I primi teorici del tema
Il tema affrontato dall’illustre venosino era già presente in altri autori preesistenti. Si pensa a Simonide, lirico greco del VI sec. a.C. («la pittura è poesia silenziosa, la poesia pittura che parla»), Platone, Aristotele e Pseudo Longino, il quale, nel cap. XIII del suo trattatello “Sul sublime“, concorda con Platone sul concetto di poesia vista come mìmesis, cioè imitazione, non solo della natura ma anche delle grandi opere del passato ( per esempio quelle di Omero ), ed anche quindi come emulazione perfettamente lecita. Aristotele poi, nella sua “Poetica”, amplia il concetto.
«il poeta imita il reale come il pittore o lo scultore»
Quindi oltre alla mìmesi, egli esalta anche la metafora. Non la intende come sterile esercizio retorico, bensì come strumento conoscitivo utile per mettere in connessione termini altrimenti inconciliabili. Su questi temi anche Leonardo ha scritto pagine interessanti. È ben nota la frase che, riprendendo il concetto di Simonide, sintetizza il suo pensiero: «La pictura è una poesia mutola e la poesia è un a pictura cieca».
Giambattista Vico, su questi argomenti, ha prodotto un testo di grande acume. Nel “Commento” alla citata epistola oraziana, scrive «Ottimo poeta è colui che esprime sentimenti con idee sensibili percepibili dagli occhi dell’intelletto dei lettori». Anche per Vico, come per molti filosofi greci, pensare consiste nel vedere qualcosa. Il filosofo napoletano è in sintonia con Orazio anche a proposito del concetto di ” verosimile”.
«Quando inventi per suscitare meraviglia, sii pur sempre prossimo al vero» – scrive il Maestro latino
«La materia essenzialmente propria della poesia è l’impossibile vedibile […] La finzione è necessarissima a costituire un poeta» – Vico in un passo del suo Commento
Il poeta fingitore e la modernità
Il poeta è quindi un fingitore, disegna mondi che non esistono nella realtà, come il pittore. – È ovvio che questa concezione estetica non aveva fatto i conti con quello che sarebbe venuto, il realismo e il verismo, da Caravaggio a Verga -. Sempre a proposito di finzioni, Fernando Pessoa ha lasciato questi versi.
«Il poeta è un fingitore/ Finge così completamente / che arriva a fingere che è doloroso / il dolore che davvero prova.»
Jorge Luis Borges ha scritto otto racconti editi col titolo di “Finzioni”, tutti giocati sul filo della commozione, dell’allusione, della metafora, del sogno e della memoria. Prosa intensamente poetica che induce a vere sinestesie in cui, chi legge, vede davanti agli occhi le immagini di ciò che la mente percepisce.
«C’è un’ora della sera in cui le cose sembrano stiano per dirci il loro segreto; però non lo dicono mai o forse lo dicono all’infinito e noi non lo capiamo o lo capiamo ma poi non lo possiamo esprimere con un concetto, perché esso è intraducibile come la musica» – un breve scorcio da “Finzioni” (ecco l’”ineffabilità”, uno dei temi principi della filosofia della musica trattati da Bergson, Adorno e soprattutto da Vladimir Janchelevetich )
Il ponte gettato tra le due arti continua nella storia di tutte le culture europee, fino ai giorni nostri. Come esempio di massima, ricordo il forte legame che unì Michelangelo alla poesia. Lo stesso connubio interessò Arrigo Boito e i suoi compagni di scapigliatura milanese negli anni 60 e 70 del XIX secolo (poeti- pittori e poeti musicisti). A proposito di musica, non posso non citare due grandi compositori in sintonia con la concezione onnicomprensiva dell’arte: Giacomo Puccini e a Richard Wagner. Il Primo affermava che le sue musiche, così evocative, nascevano dalle scene che si animavano davanti agli occhi. Non note quindi, ma immagini. Di Wagner è altrettanto nota la concezione artistica globale che considera scena, musica e libretto poetico un tutt’uno.
Poesia visiva
Tornando all’800 e ai poeti, è d’obbligo menzionare Mallarmé e il suo famoso “Coup de dés”, creazione di una poesia visiva realizzata dipingendo il foglio di carta come fosse una tela. Questa strada nei primi del ‘900, porterà ai “Calligrammi”di Apollinaire. – Famosa la “Lettera Oceano”, la cui prima lirica- cartolina riporta parole a cerchi concentrici ispirati alle onde radio. – In seguito si giungerà alle poesie di parole e immagini dei dadaisti e dei futuristi, opere d’avanguardia che corredano il testo poetico con intersezioni di foto, disegni, lettere di stampa, collage ed altro. Ricordo anche Baudelaire, che con Gautier ed altri amici, avevano messo su a Parigi “L’Hashish Club” per costruire un paradiso artificiale che meglio favoriva visioni e combinazioni sinestetiche.
«Esistono profumi freschi come/ carni di bimbo, dolci come oboi/ e verdi come praterie» – “Corrispondenze” di Baudelaire
Un altro classico esempio di lirismo visivo è quello fornito dal Vate Gabriele D’Annunzio, come asserito in numerosi studi. Tra questi primeggia il saggio “L’amore sensuale della parola in D’Annunzio” scritto nei lontani anni ’20 da quel grande critico letterario e d’arte, nonché sommo anglista, che risponde al nome di Mario Praz. In un altro suo testo, “Mnemosine”, analizza i rapporti tra arti visive e letteratura. Per inciso, va ricordato che l’Immaginifico si cimentò con il pennello e con le matite da disegno, senza però raggiungere nemmeno livelli minimi di dignità pittorica.
Ma, a proposito di tele, a volte anch’esse si coprono di qualche parola significativa. È il caso del quadro del surrealista Magritte dove, pur essendo rappresentata una pipa, l’immagine è poi ironicamente smentita dalla bella epigrafe in corsivo che recita «Ceci n’est pas une pipe».