“Cent’anni di solitudine” di G. G. Márquez. Il dono di uno zingaro

Cent'anni di solitudine di Gabriel García Márquez

Sarebbe pretenzioso cercare di creare un preambolo per parlare di un romanzo che non si concede tale lusso: “Cent’anni di solitudine” di Gabriel García Márquez. Le fondamenta della narrazione vengono poste nello sguardo di un uomo che malinconicamente ricorda il giorno in cui, bambino, con suo padre scoprì il ghiaccio.

«la più grande invenzione del nostro tempo»

Melquiades a Macondo. La città-mito in cui nessuno muore

A questa immagine, che risulterà emblematica per la comprensione del romanzo intero, segue la presentazione di Macondo. Si tratta di una città immaginaria della Colombia. Tuttavia, non è questa l’immagine riduttiva che ce ne dà l’autore. Macondo, personaggio anch’esso del romanzo, è un paesino che nasce come in un mito, per la fuga di un Enea codardo, José Arcadio Buendia, dal fantasma di Prudencio Aguilar. Macondo viene fondata perché l’aver dubitato delle capacità sessuali di José Arcadio, ha macchiato di sangue le mani del primo Buendia. Da questo tragico evento fiorirà una città presentataci come quasi incantata, in cui tutti hanno meno di trent’anni, nessuno muore. Il mondo e il suo tempo resteranno fuori dai suoi confini. Paradossalmente, il mondo irromperà nella vita degli abitandi di Macondo senza che questi se ne rendano conto. Lo farà sulle spalle del vecchio Melquiades, uno zingaro che, come i Buendia, sembrerà almeno inizialmente sfuggire alle regole del tempo.

In questo personaggio si può incarnare la genesi della solitudine della famiglia Buendia. Gli oggetti fantastici che porta nella città di Macondo durante le sue visite innescheranno l’isolamento di José Arcadio. Proprio lui, chiusi gli occhi sulla realtà, li aprirà nuovamente solo quando la sua famiglia sarà ormai cresciuta. Tutto ciò che ha potuto fare è stato portare i propri figli a “scoprire” il ghiaccio degli zingari. Melquiades conosce bene il destino che toccherà alla discendenza del suo amico José Arcadio. Tutto è scritto così bene da saper racchiudere cent’anni nel tempo di un istante.

«irripetibile da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra»

Una figura quasi messianica, che consegna agli abitanti di Macondo una finestra sul mondo, ma dona anche loro la morte e la profezia di un tempo già scritto: ancora tutto da vivere, eppure già vissuto.

“Cent’anni di solitudine” di Gabriel García Márquez. Il tempo

Il tempo è il grande nemico del lettore di questo romanzo. È un tempo che accelera, frena e torna indietro, salta, si dilata fino quasi a scomparire. Macondo, i Buendia, lo seguono inconsapevoli, trascinati da una corrente che non riescono propriamente a gestire, perché a stento consapevoli della storia che li circonda. Ogni personaggio vive il tempo in maniera personale e completamente distaccata dagli altri. L’unico vero contatto tra di loro è il sesso. L’albero genealogico dei Buendia mette radici nel rapporto incestuoso tra Ursula e José Arcadio, e crolla su quello di Amaranta Ursula e Aureliano Babilonia

I Buendia non sono gli “anelli di una catena” alla maniera verghiana, e sono forzatamente costretti al mito dell’ostrica dalla capofamiglia – per usare un’altra immagine del maestro siciliano -. Infatti Ursula li incatena tutti nella propria casa, continuamente in cantiere, rattoppata, che lei si rifiuta di consegnare all’usura del tempo. Figli, nipoti e pronipoti, vivono le proprie vite attraversandosi come fantasmi o consumandosi in passionali amori nei meandri di questa casa che scomparirà con la stessa rapidità con cui è apparsa, assorbita dalla stessa ciclicità che caratterizza la storia della famiglia che vi abita.

Questa concezione presente in “Cent’anni di solitudine” di Gabriel García Márquez del tempo continuamente uguale a se stesso è evidente anche negli atti più genuinamente quotidiani. La moglie di Aureliano Segundo, Fernanda, noterà questo particolare nella “mania del fare e disfare” propria dei Buendia. C’è chi fonde oro per ricavarne pesciolini dorati da rivendere per fondere l’oro delle monete e ricavarne altri pesciolini dorati; chi tesse e ritesse; ecc. Questo tempo continuamente ripiegato su di sé si interrompe solo quando uno dei personaggi prende consapevolezza della condizione di solitudine assunta come normalità fino a quel momento. Così non resta loro che diventare essi stessi un fantasma, come quello da cui fuggiva José Arcadio, guardarsi indietro con malinconia e ricordarsi di quando il padre li aveva portati a vedere il ghiaccio, inghiottiti dalla jungla che li aveva partoriti, protagonisti di un triangolo di tempo che sembra non essere mai esistito.

 

Autore: Fabiana Russo

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