Nel 1944 viene pubblicata in Argentina la raccolta di racconti “Ficciones – Finzioni” di Jorge Luis Borges, tradotto nel 1955 in Italia da Franco Lucentini. In Italia l’opera desta da subito curiosità nei lettori, ne conquista l’interesse fino a divenire un vero e proprio classico del Novecento. Artisti e cantautori nostrani come Roberto Vecchioni e Francesco Guccini ne omaggeranno a più riprese non solo il contenuto, ma soprattutto l’imperante aspetto simbolico.
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La raccolta di racconti di Borges tra la filosofia occidentale e la Bibbia
“Finzioni” di Borges si struttura in due parti, “Il giardino dei sentieri che si biforcano” e “Artifici”. Questa divisione è già notevole, poiché chiarisce una delle principali tematiche che fa da sfondo all’opera di Borges: il doppio, il duplice volto dietro ad ogni cosa. Nulla è come viene presentato ed ogni realtà è tale solo apparentemente. Tutto è finzione, appunto.
Per dimostrare tale imprescindibile convinzione, Borges decide di comporre una vera e propria opera omnicomprensiva, una enciclopedia. Tuttavia a dispetto della natura scientifica e insindacabile di una raccolta enciclopedica, quella dello scrittore argentino ne possiede una illusoria e intangibile. Ogni racconto – che sia un poliziesco dalla trama avvincente, una storia fantastica o una dissertazione religiosa o di critica letteraria – sembra offuscato da un velo, una parvenza di realtà. Dietro al velo sussiste un’altra realtà più pura e veritiera. Non a caso lo stesso Borges ammette di essere profondamente influenzato dalla filosofia relativista di Arthur Schopenhauer, per il quale dietro ad una patina ingannevole risiede la verità effettiva. Al contempo non solo la filosofia ispira la letteratura di Borges, ma anche la religione cristiana ed ebraica. L’uso di allegorie infittisce la trama così come la presenza del divino anche nell’incosciente sostrato del sogno culla la lettura. Nel leggere l’opera ci si sente rapiti da simbologie alienanti e trasportati in un universo onirico.
“Finzioni” di Jorge Luis Borges. Illusione, sogno e memoria
Ogni cosa è soggetta alla multiformità e alla molteplicità delle realtà che compone il mondo e con cui la vita cerca vanamente di stare al passo. L’inganno e l’illusione sono dei trucchi che gli uomini stessi mettono in atto contro se stessi. Questi artifici dominano lo spazio, il tempo, i numeri e anche la relazione tra azione e conseguenza, come accade nel racconto “Il miracolo segreto”. Allo stesso modo anche la logica si ingarbuglia e si intreccia coi suoi stessi fili. La mente umana è fallace e creatrice di mondi inesistenti che rispondono a idee altrettanto inesistenti e manipolatrici.
«Poi rifletté che la realtà non suole coincidere con le previsioni; con logica perversa ne dedusse che prevedere un dettaglio circostanziale è impedire che esso accada. Fedele a questa debole magia, inventava, perché non succedessero, particolari atroci; naturalmente, finì per temere che questi particolari fossero profetici.»
Quando la mente agisce su se stessa in maniera tale da creare sovrastrutture illusorie e immaginarie, fa sì che queste medesime finzioni si vestano di realtà. Assumono contorni netti e definiti, prendono attributi sempre più marcati e in un attimo attecchiscono in modo radicato. Nessuno scampa a ciò. Nel racconto “Funes, o della memoria” il protagonista ricorda alcuni dettagli della sua vita, o crede di poterlo fare. Lui stesso sa che la memoria inganna ed è il frutto di una materia deperibile e confusa, la mente umana.
Quest’ultima non riflette fintamente solo su di sé, ma anche sugli altri. Quando in “Tre versioni di Giuda” Borges discute le tesi di chi ha voluto ravvisare in Giuda l’identità del vero salvatore ma sacrificatosi meno platealmente, il lettore riesce a sentirsi davvero confuso. Giuda è il traditore oppure la sua figura è stata mistificata? Dove si inserisce il filtro dello sguardo umano? Ponendo la figura di Giuda allo specchio, quale sarà il suo riflesso? Proprio l’immagine dello specchio guida il lettore tra il labirinto che Borges traccia con giochi di parole illusionistici.
“Finzioni” di Borges. Significato e simbologia del labirinto verso la verità più pura
Un altro efficace simbolo del romanzo è proprio il labirinto. Quest’ultimo non sarebbe tanto fisico, quanto semmai metafisico come ne “Il giardino dei sentieri che si biforcano” o ne “La biblioteca di Babele”. I mondi che Borges crea all’interno di questi due racconti, così come anche nel thriller “La morte e la bussola”, sono un insieme di vie traverse ed incroci in un viluppo di parole ricche di simbologia. Nonostante la tentazione di cedere alla realtà apparente, si para davanti ai protagonisti insistentemente la ricerca della verità fattuale e concreta è più forte.
Il vero tema trainante delle “Finzioni” di Borges è proprio il cammino in vista della forma più genuina di realtà. Se da un lato è un percorso assai accidentato e spesso lungo, dall’altro fa sì che i protagonisti pervengano ad una sorta di epifania finale, che li cambia per sempre nel profondo. “Finzioni” di Borges può esser così definito un monito e al contempo un augurio che uno scrittore afflitto da cecità come Jorge Luis Borges dà ai suoi lettori. Non basta guardare fisicamente la materia che ci compone e ci circonda per comprenderla. La verità rende liberi e finalmente in grado di vedere il mondo con un occhio scevro da influenze esterne.