“Gli anni” di Annie Ernaux. La sua voce si mescola con la storia

"Gli anni" di Annie Ernaux

Gli anni” di Annie Ernaux viene definito dalla stessa autrice “un’autobiografia impersonale”. La Ernaux si pone di fronte al senso di smarrimento che assale osservando una foto del passato. Un ingorgo di stimoli e visioni si pongono davanti al presente prima ancora di tramutarsi in pensieri. Eppure, quelle foto sono quanto resta: brandelli del flusso continuo e inesorabile chiamato vita.

“Gli anni” di Annie Ernaux tra tempo e memoria

In questo romanzo non ci sono né dialoghi né personaggi. La narrazione si snoda sotto forma di flusso di coscienza, in cui fatti di vita personale si mescolano ai grandi avvenimenti della storia di quegli anni. La Ernaux parte dal racconto del secondo dopoguerra ad oggi, dando vita ad un canto indissolubile in cui la sua voce si mescola con quella della storia. Annie Ernaux convoca la Liberazione, l’Algeria, la maternità, l’emancipazione femminile. E ancora l’avanzata della merce, le tentazioni del conformismo, l’avvento di internet, l’11 settembre. La descrizione di fotografie, poi, scandisce ogni cosa, immergendo l’esistenza nel mare della storia con un’inedita pratica della memoria, a cui è affidato il compito di mantenere vivo tutto ciò che è destinato a finire nell’oblio della morte.

Annie Ernaux, pur essendo il soggetto di questo romanzo, riesce a compiere un’ottima pratica di estraniamento parlando di sé in terza persona e alternando con estrema cura gli accadimenti della propria vita con quelli di carattere propriamente storico. Svariate sono le visioni e i punti di vista di una donna che cresce sullo sfondo di avvenimenti importanti, destinati a forgiare il suo modo di rapportarsi alla vita.

«Nell’insostenibile della memoria c’è l’immagine di suo padre in agonia, del cadavere vestito con un abito indossato in un’unica occasione – quando si era sposata lei – fatto scendere dalla camera al piano terra in un sacco di plastica attraverso una scala troppo stretta per il passaggio di una bara.»

La memoria, la fotografia e la scrittura legate da un filo sottile 

Un senso di nostalgia misto curiosità spinge a ritrovare vecchie foto. Inevitabilmente le persone ritratte non esistono più. Nessuno corrisponde alla sua versione passata, cambiati da vita ed esperienze. Che cosa resta di noi quando non ci siamo più? Sembra essere questa la domanda rivolta dall’autrice. 

«Tutto si cancellerà in un secondo. Il dizionario costruito termine dopo termine dalla culla all’ultimo giaciglio si estinguerà. Sarà il silenzio, e nessuna parola per dirlo. Dalla bocca non uscirà nulla. Né io né me. La lingua continuerà a mettere il mondo in parole. Nelle conversazioni attorno a una tavolata in festa saremo soltanto un nome, sempre più senza volto, finché scompariremo nella massa anonima di una generazione lontana.»

La verità che giace al fondo è la convinzione che non si possa fermare il flusso del tempo. L’uomo lo crede possibile. Tuttavia, ciò che una fotografia riesce a catturare e a fissare su carta è soltanto l’esteriorità, il dinamico modo che ha l’uomo di occupare lo spazio. E intanto si è già passati oltre, ben al di là di quelle movenze, inevitabilmente condotti lungo strade diverse da pensieri, esperienze, studi e formazione, gioie e sofferenze. “Gli anni” di Annie Ernaux ne tengono traccia servendosi, più che della fotografia, della scrittura.

La memoria e il dolore si intrecciano

Un dolore sottile e acuto pervade le pagine del romanzo.

«Ha paura che, invecchiando, la memoria torni a essere nebulosa e muta come nei primi anni dell’infanzia – anni di cui non si ricorderà più.»

L’unica, sola certezza che Annie Ernaux dimostra di possedere è la consapevolezza della morte. L’idea sicura che tutto, prima o poi, finirà nei meandri dell’oblio. Un’affannosa voglia di salvare la memoria di quanto è stato pervade l’intero romanzo, e affidarsi al potere della scrittura, alla salvezza delle parole, sembra essere l’unica soluzione. C’è il desiderio di riconoscersi all’interno di una collettività, di sentirsi parte di un tutto, per unire con un abbraccio il mondo intero.

«Di ciò che il mondo ha impresso in lei e nei suoi contemporanei se ne servirà per ricostruire un tempo comune, quello che è trascorso da un’epoca lontana sino a oggi – per restituire, ritrovando la memoria della memoria collettiva in una memoria individuale, la dimensione vissuta della Storia.»

Una forte e struggente sensazione di dolore che, inevitabilmente, pone l’uomo di fronte al suo stesso senso di finitezza. Si diventa consapevoli che, quasi sicuramente, nessuno sarà in grado di lasciare una traccia duratura del proprio passaggio in questo mondo.

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