“Il Circolo Pickwick”, il primo geniale romanzo di Dickens!

“Il Circolo Pickwick” di Charles Dickens: recensione e analisi

Nel 1836 viene dato alle stampe “Il Circolo Pickwick” di Charles Dickens, il suo primo romanzo a 24 anni. Le circostanze dell’esordio ci raccontano di un autore per nulla snob, alle primissime armi, che mette tutto sé stesso in un progetto su commissione, raggiungendo un successo incredibile. Pubblicate a puntate da Chapman&Hall, le uscite mensili – «monthly something» per dirlo con la modestia di Dickens – crearono uno dei primi merchandising intorno ad un’opera letteraria e furono la consacrazione per il giovane 24enne. Opera d’ispirazione per Dostoevskij, Kafka e Allan Poe, anche Pessoa disse la sua in merito:

«Una delle più grandi tragedie della mia vita è aver letto “Il Circolo Pickwick” e non poterlo leggere di nuovo per la prima volta».

Fernando Pessoa cita “Il Circolo Pickwick”, il primo romanzo di Dickens

A primo impatto, se non si fosse letto il romanzo, le parole di Pessoa potrebbero produrre quello che una qualsiasi recensione dovrebbe, cioè un senso di curiosità e magari la promessa di acquistarlo e goderne. Ma quando una volta terminata la lettura si rilegge il trafiletto firmato Pessoa, le sue parole assumono un diverso significato. Per comprenderlo, vale la pena fare un piccolo accenno alla struttura del romanzo.

Ne “Il Circolo Pickwick”, Dickens si è dilettato in modo magistrale – ricordiamolo, è un esordio – nell’intessere una trama a maglie talmente larghe da riuscire ad incorporarne tante altre. In un racconto se ne inserisce un altro, narrato ora da un personaggio ora da un altro, prima da un narratore interno e poi da uno esterno. Tra sottotrame e trame, variazioni di registri e polifonie, lo stile dickensiano sembra quello di una danza piuttosto complessa. Per gli amanti dello storie monumentali è il massimo!

La fine è rimandata costantemente, l’ultima pagina sembra non giungere mai. Ed è qui che si torna a Pessoa: la sua più grande tragedia è essere arrivato al termine di una lettura che ne contiene molte altre, su più livelli, ma che rimane comunque fresca e vivace. Finire di leggere “Il Circolo Pickwick” è come arrivare alla fine di un gioco lunghissimo ma sempre divertente.

I personaggi de “Il Circolo Pickwick” di Dickens dinamici e scanzonati

Del tutto diverso dai capolavori che seguiranno questa prima riuscitissima prova, “Il Circolo Pickwick” ha una varietà di colori e toni che nulla hanno a che vedere con le difficoltà e i grigiori dei successivi romanzi. Non solo nella struttura dinamica e dal registro scanzonato, ma anche nella scelta dei personaggi, che sono tanti e tutti così pittoreschi. Chi legge è catapultato in un mondo di cui vorrebbe far parte seduta stante.

Non solo il protagonista, che dà il nome al romanzo, ma anche i suoi compari Snodgrass, Trupman, Winkle e il suo servitore Weller – che indubbiamente è insignito del titolo di “miglior personaggio” – fanno tutti breccia. Ognuno di loro ha un proprio specifico tratto distintivo: la goffaggine di Pickwick e Winkle, la vena poetica di Snodgrass; Weller è eponimo di un certo tipo di umorismo, decisamente inglese.

«Destino di tutti gli autori e narratori è di creare amici immaginari e perderli nel corso dell’opera.»  – Charles Dickens

Questo è quanto, al termine dell’opera, afferma Dickens, che introduce il proprio punto di vista narrante. Anche in qualità di fruitore del romanzo, nel momento in cui è ora di salutare i personaggi che l’hanno accompagnato pagina per pagina, come in un viaggio, chi legge è giù di corda tanto quanto chi scrive. Forse è vero che questo è l’unico scritto di Dickens che non lascia spazio alla mestizia delle classi subalterne londinesi, ma è altrettanto vero che ognuno dei suoi romanzi chiude con un senso di giustizia riconfermata. Ed “Il Circolo Pickwick” non è da meno.

La metafora del viaggio in una struttura complessa e polifonica

La metafora del viaggio, non proprio innovativa, è aderente a quanto narrato nel romanzo. Pickwick e i suoi ne compiono  di molti, ed in ognuno di essi si scontrano con avventure che li calano ancor di più nelle atmosfere della City e che li legano ai suoi abitanti. I contorni sono così ben definiti da far credere a chi legge di avere per le mani un ritratto della Londra ottocentesca. In un continuo peregrinare si giunge alla conoscenza di persone di ogni classe sociale e professione, in un esercizio di osservazione continua e irriverente della vita di tutti i giorni e di quanti popolano le strade della città.

Ed è proprio questo il più grande motivo per cui è tanto difficile giungere al termine della lettura del romanzo. Charles Dickens ci fa mettere comodi, ci strappa più di qualche sorriso e si riferisce a più riprese ai lettori e alle lettrici, specialmente quando è in atto una riflessione interessante. Ci dà del tu e ci introduce ai suoi personaggi senza risparmiare loro nulla: li fa arrestare, ballare, innamorare e sbagliare. Dickens descrive i Pickwickiani come imbranati e goffi e, quel che più conquista, tratta chi legge con un’affabilità rara per essere la sua prima prova con un pubblico vasto.

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