
Scritto nell’estate del 1960 e pubblicato nel 1961 per Einaudi, “Il giorno della civetta” di Sciascia è una testimonianza unica, memoria dell’Italia di ieri e, in parte, specchio di quella attuale.
Quanto lo scrittore siciliano precisa nell’Appendice del 1972 ci illumina sullo scopo della sua impresa. Infatti, notando la quasi totale mancanza di scritti trattanti di mafia, l’autore dichiara di voler intervenire per fornire un punto di vista differente. Lo Stato – che in quegli anni incitava a non credere all’esistenza delle organizzazioni criminali – e i cittadini devono capire cosa accade quando la mafia agisce. Di cosa si parla, cioè, quando si parla di mafia.
L’intento dell’opera è già chiaro nei primi atti della vicenda. Infatti, le righe iniziali evitano giri di parole e descrizioni dispersive, per mostrare ex abrupto il fatto scatenante, e da cui prende le mosse il nocciolo della storia.
‘Il giorno della civetta’ di Sciascia. Una guida interpretativa
Così, Salvatore Colasberna muore, di colpo, alla fermata dell’autobus. Nessun rumore, nessun fiato. Non si sente nulla e, se non fosse per la presenza del cadavere, proseguirebbero tutti con le proprie vite. Il bigliettaio e l’autista bestemmiano nervosamente, il venditore di panelle fugge ed i passeggeri, probabilmente, maledicono il giorno in cui sono saliti su quel mezzo.
Sul posto interviene il capitano Bellodi, un uomo garbato e dall’aspetto “continentale”. Deciso ad insinuarsi tra le pieghe anguste della mafia e a smascherarne la logica, dimostra un approccio metodico e limpido. Il capitano Bellodi è, per giunta, un “forestiero” di Parma. La scelta di Leonardo Sciascia di caratterizzare un personaggio così importante e centrale con una provenienza settentrionale è molto curiosa. Infatti, pare avesse voluto fornire una sorta di sguardo esterno e non autoctono rispetto ad una mentalità criminosa, che ha i suoi effetti anche su semplici cittadini.
Nonostante i testimoni reagiscano con un immediato silenzio, il capitano e la sua squadra identificano la vittima, delineando i contorni della piccola attività imprenditoriale che possedeva. Agli ostici interrogatori condotti dal capitano, rallentati ulteriormente da momentanei e casuali blackout degli indagati, si intrecciano dei fili narrativi che formano un gomitolo intricato e, forse, indistricabile. All’interno vi confluiscono personaggi di varia natura, ma appartenenti tutti allo stesso puzzle di omertà e reticenza: il confidente Parrinieddu, Don Mariano e i fratelli di Colasberna.
Lo sguardo alla politica contemporanea
Inoltre, la storia parallela dell’improvvisa scomparsa di Paolo Nicolosi trova convergenze con l’omicidio Colasberna. Ciò convince ancor di più Bellodi a seguire la strada dell’omicidio per ragioni di mafia, non prendendo affatto in considerazione la via d’uscita consueta del motivo passionale. Tuttavia, il punto di vista totalmente realista e veritiero di Sciascia introduce nel racconto anche un altro interessante dato, nel momento in cui il capitano si forma, inevitabilmente, dei nemici. Perciò, a più riprese, la storia raggiunge anche gli ambienti borghesi di Roma, dove anonime personalità politiche si trovano a confrontarsi sul Bellodi e sul suo operato in Sicilia. Dalle loro conversazioni per altro si allude ad un partito politico ben mirato, forse la Democrazia Cristiana. Infatti gli atteggiamenti loschi e complici vengono mascherati da una facciata devota e retta.
Questo frequente spostamento dalla Sicilia a Roma racchiude una fondamentale chiave di lettura de “Il giorno della civetta” di Sciascia: la mafia riguarda tutti, tutta l’Italia da Nord a Sud, ed ogni ambito. A trent’anni dalla morte di Sciascia – avvenuta il 20 novembre del 1989 -, leggere le pagine del suo racconto, nato come una lucida rappresentazione cronachistica, mostra un’assoluta originalità e audacia. Già dal titolo si evince il mutato meccanismo in cui la mafia agisce. Come una civetta, è abituata ad operare e vivere al buio; tuttavia già da molto non è più costretta a farlo, perché ha dalla sua garanzia e protezione e può oggi trafficare alla luce del giorno.
Un gioco di specchi. Lo stile di Sciascia e le molteplici verità
Una volta spogliato della veste di romanzo giallo, “Il giorno della civetta” di Sciascia ha tutte le ragioni per esser definito un racconto di denuncia. Non solo si ispira all’omicidio, per mano di Cosa Nostra, del sindacalista Accursio Miraglia, ma alza i riflettori sulle vicende mafiose, che si preferiva insabbiare. L’analisi così chiara e competente non solo acquista valore con una storia sapientemente intessuta e imbevuta di veridicità, ma si esprime in modo molto credibile tramite frasi brevi e secche, o dialoghi allusivi e che giocano con le parole. Come se l’autore avesse potuto osservare da lontano gli atteggiamenti tipici di un criminale, le sue mosse, i suoi toni espressivi e le movenze del volto.
La Sicilia e l’Italia di Sciascia sono terre in mano ai potenti e ai prepotenti, che tirano le fila di un grande spettacolo teatrale o che giocano una perenne partita a scacchi a scapito di semplici cittadini. L’autore confonde, presentando più verità. Questa non è assoluta e univoca, perché, pur sembrando sotto gli occhi di tutti, viene nascosta e occultata da abili giochi di prestigio.