
Quando “Il libro degli esseri immaginari” di Jorge Luis Borges esce nel 1969 in edizione definitiva e aggiornata, l’autore ha settant’anni. È un intellettuale la cui fama ha superato ormai da tempo i confini del suo Paese di origine, l’Argentina. Uno scrittore visionario e onirico. Un autore di saggi dalla smisurata cultura. Un ex bibliotecario e un uomo che non si arrende di fronte all’incubo più grande per uno scrittore, la cecità. Un esploratore di mondi sconosciuti popolati da esseri fantastici, animali assurdi che abbondano nel suo manuale di zoologia fantastica scritto in collaborazione con Margarita Guerrero.
“Il libro degli esseri immaginari” di Jorge Luis Borges tra realtà e finzione
Che l’autentica realtà si nasconda agli occhi degli uomini in un intricato gioco di specchi e rimandi è tematica ricorrente nell’opera di Borges. Serpeggia nelle pagine dei suoi lavori come un fiume sotterraneo, di cui è difficile misurarne la profondità, figurarsi tracciarne il corso. Chissà dove finisce e chissà se mai, da qualche parte, sarà possibile individuarne l’origine. In questo caleidoscopico spazio letterario che prende forma nella splendida raccolta di racconti dal titolo “Finzioni” Borges crea metafore abbaglianti come una supernova e indecifrabili come miraggi nel deserto.
Metafore che ricorrono in una forma ordinata e didascalica anche nel suo libro sugli esseri immaginari che prende le mosse dal precedente “Manuale di zoologia fantastica” arricchendolo di nuove creature e modificandone il titolo. Non più un manuale, termine caro all’autore al pari di biblioteca ed enciclopedia (ancora metafore ovviamente), ma libro in cui il lettore finisce col perdersi come Teseo dentro il labirinto. Una metafora, di nuovo.
Peschiamo a caso nel libro e scopriamo lo squonk, abitante malinconico della Pennsylvania rurale e il più sfortunato tra tutti gli animali. La sua caratteristica principale è un pianto continuo che lascia una scia di lagrime che lo rende facilmente rintracciabile dai cacciatori. Ma, quando lo squonk si sente minacciato, in pericolo o si spaventa tende a dissolversi con allarmante e inopportuna rapidità, in una pozza di lacrime. Così come per gli altri animali presenti nel libro, Borges aggiunge una traccia, seducente quanto allettante: il libro di William T. Cox “Fearsome Creatures of the Lumberwoods, with a Few Desert and Mountain Beasts” (Creature che mettono paura, del bosco, con alcune bestie del deserto e delle montagne). Realtà o finzione? I cacciatori e agricoltori della Pennsylvania avrebbero puntato sulla prima. Non fosse altro che per spaventare i bambini.
Esseri fantastici, dove trovarli?
Gli esseri enumerati ne “Il libro degli esseri immaginari” di J. L. Borges sembrano viaggiare da un capo all’altro del mondo cambiandosi d’abito. Aggiungono piume o zampe, si arricchiscono di poteri o ne perdono altri a seconda del luogo in cui si trovano. L’immaginazione umana ha costruito specie fantastiche e poi ne ha popolato i territori più remoti, dalle montagne ai deserti. Oggi di questi esseri ci rimangono leggende e tradizioni, manuali come quello di Borges. Ma un tempo queste stesse creature venivano rappresentate sulle carte e le mappe geografiche come oggi trovano spazio le icone di ristoranti e luoghi di interesse.
L’areale fantastico costruito da Borges crea una geografia dell’immaginario che trova rappresentazione in capolavori cartografici come la mappa mundi di Hereford popolata da blemmi e sciapodi, sirene e manticore. Un immaginario, quello borgesiano, che attinge alla tradizione medievale, di un occidente affascinato dai misteri dell’oriente, tanto quanto dalla zoologia fantastica della Cina e dell’India.
Incontriamo così draghi cinesi, rappresentazione del divino e draghi europei, tutt’altro che amichevoli e quasi sempre malvagi. Ogni essere fantastico trova la sua collocazione in uno specifico territorio, mai definito con certezza, ma sempre presente da qualche parte. Come il mitico uccello Garuda, originario dell’India, o il centauro che un tempo abitava le regioni impervie della Tessaglia, in Grecia. I luoghi sulla mappa, abitati da questi esseri, si ridefiniscono col passare dei secoli. Gli animali fantastici scompaiono con la rapidità con cui procedono le scoperte geografiche. Cosa ne resta oggi? Metafore ancora una volta, nell’eterno gioco di specchi dove l’uomo proietta sul mondo che lo circonda le proprie paure e aspirazioni. Un gioco, le cui regole, lo scrittore argentino padroneggia con sicurezza assoluta.
Un manuale, anzi no, un libro di animali immaginari
E il manuale nella nuova edizione del 1969 diventa libro che si arricchisce di 34 nuovi esseri immaginari scovati in diari di viaggio, romanzi, poemi, racconti e saggi naturalistici. Tra le fonti Plinio il Vecchio che descrive il basilisco e Franz Kafka alle prese con un animale simile al canguro, ma con la testa più piccola. Flaubert che racconta di un uccello dal leggiadro piumaggio e con la testa umana e poi la Bibbia e la Cabala, antichi testi cinesi e indiani.
Viene da chiedersi se per Borges sia stato più appassionante il viaggio o la destinazione. Ad ogni nuova voce cresce nel lettore il desiderio di saperne di più, di procedere oltre, verso il prossimo essere immaginario. I rimandi, come in tante altre opere di Borges sono infiniti, travalicano i confini del genere, ammesso che l’autore possa essere riconducibile a un genere, e conducono in territori inesplorati. Il viaggio per chi legge “Il libro degli esseri immaginari” di Jorge Luis Borges non si conclude alla fine del libro, ma prosegue lungo sentieri che si biforcano e dove la meta è solo un concetto apparente.