“Il Processo” di Franz Kafka risale al periodo tra il 1914 e il 1915, pubblicato postumo nel 1925. La sua incompiutezza non lo rende privo di una fine, alla quale l’autore aveva comunque messo mano, bensì appare in alcuni capitoli del tutto frammentari. L’assenza di certezze e di una struttura ultimata, anziché rendere parziale la ricezione dell’opera, ne favoriscono l’assorbimento, il disagio.
“Il Processo” di Franz Kafka usa l’incompiutezza come metafora di vita
Se il biglietto da visita dell’autore boemo sono tematiche inquietanti e disturbanti, allora anche “Il Processo”, seppur frammentario, entra di diritto tra le sue opere più rappresentative. Ispirato dalle letture di Dostoevskij – in particolare da “Delitto e castigo” -, nel romanzo Kafka sembra inserire anche gli effetti dei nuovi eventi europei. Compare così la Prima Guerra Mondiale e, forse, anticipa anche gli aliti mortiferi dei futuri regimi totalitaristici.
La violenza, gli ingranaggi soffocanti di una burocrazia sabotatrice e nemica, e ancora la dissoluzione della quiete quotidiana ad opera di un intero sistema fallato. Sono queste le ombre che si estendono per le pagine de “Il Processo” di Kafka. Mai come in questo caso, la mancanza, sia di revisione che di approfondimenti narrativi, si coniuga tanto bene con le tematiche e i personaggi.
I personaggi di Kafka e Joseph K.
Il procuratore bancario Joseph, proprio come Gregor Samsa, il protagonista de “La Metamorfosi”, trova la sua vita sconvolta da un giorno all’altro. Letteralmente. La sera prima va a coricarsi da uomo libero, l’indomani si risveglia in stato di arresto senza una motivazione probabile. Da quest’incipit d’impatto si sviluppa una storia di equivoci e crisi private.
Dell’uomo non sappiamo poi molto, nemmeno il cognome, che rimane puntato per tutto il romanzo – Joseph K. -, il che non fa che acuire il senso di incompletezza già ben presente. Lo stesso accade anche per gli altri personaggi: sono tanti, e tutti vaghi, come sospesi tra un mondo reale e uno di contraddizioni ed incredulità. Il senso di angoscia si manifesta via via più profondo in Joseph K., quando nota la solitudine della sua condizione e la precarietà dell’esistenza umana.
Kafka affronta il dramma della colpa collettiva e dell’imponderabile
Non solo la sua è stata ribaltata in fretta, ma una volta avvenuto il fatto, non può non soffrire. Si trova a fronteggiare da solo un intero sistema malato. Tutto assume forme nuove. Joseph diviene estremamente angosciato in special modo per la sua condizione di abbandono, seppure all’inizio della sua avventura giudiziaria, rifiuti di preoccuparsene. Anzi, si aggrappa più volte alla possibilità di uno scherzo, di cattivo gusto, certo, ma pur sempre uno scherzo.
Ed è qui che Joseph si fa estremamente familiare per chi legge: l’impensabile dev’essere respinto, razionalizzato, attualizzato a tutti i costi. Per lui così abitudinario e regolare, l’ipotesi di un procedimento giudiziario non era prevista nel piano di vita, pertanto ne rifugge ogni idea. Se il mondo si auto-amministra, anche l’esistenza del singolo saprà tornare nella norma da sé.
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La psicologia dell’alineazione nel Processo di Kafka
È proprio in questa psicologia dell’alienazione che si incastra alla perfezione la tematica più disturbante del romanzo, quella della colpa. Kafka la introduce non solo relativamente ai guai processuali di Joseph, ma la assolutizza per renderla comprensibile anche al lettore in generale. Il confine tra colpa e innocenza è sin troppo labile ed offuscato per rendere “Il Processo” un dramma legale, soprattutto perché entrambi i concetti sono estensibili a chiunque.
Tutti sono innocenti e al tempo stesso doppiamente colpevoli, il che rimanda ai conflitti della coscienza e ai suoi enigmi. Siamo colpevoli quando non godiamo delle nostre fortune, e al contrario lo siamo ugualmente pur avendo conosciuto il dolore.
Il tormento del senso di colpa, che si attacca addosso e non lascia scampo, se non fino alla liberazione estrema di ogni male, è la struttura portante de “Il Processo” di Franz Kafka. Al contempo, però, al fianco delle costruzioni mentali della coscienza umana, l’autore pone quella dose abituale di rarefazione e onirismo che contribuiscono ad un’intera opera di paradosso e inquietudine.