
La letteratura francese medievale è un meraviglioso labirinto di temi e vicende. Talvolta divergono, eppure sono così vicini. “Il Romanzo della Rosa” di Guillaume de Lorris – almeno i primi quattromila versi sono suoi – e Jean de Meun – la continuazione con più di diciottomila versi – è la grande opera in cui culmina la lunga e variegata storia dell’allegoria.
Secondo un’accurata definizione di Winckelmann, è «la rappresentazione delle cose invisibili passate e future». È proprio in questa ricca tradizione che si colloca “Il Romanzo della Rosa” che, con la sua prima parte più elegiaca e sognante e la seconda di tipo mitologica, cosmologica e burlesca, si conquista un vastissimo pubblico fino al Rinascimento, restando uno dei bestsellers della letteratura medievale. La stesura del “Romanzo della Rosa” di Guillaume de Lorris risale e Jean de Meun ai primi decenni del XIII secolo, in un momento in cui la scrittura allegorica appare essere un procedimento possibile per rinnovare le maniere della percezione e della narrazione.
La grande novità sta nell’aver trasposto radicalmente il modello dell’allegoria cristiana in ambito profano, amoroso, e cortese; nell’aver fuso in maniera impeccabile il motivo del sogno con quello della coerenza autobiografica. Il romanzo si apre con una vera e propria dichiarazione di poetica tramite la quale Guillaume definisce il suo itinerario nella prospettiva della verità, senza rinunciare al fascino della visione.
«C’è gente che dice che nei sogni/ non ci sono che favole e menzogne;/ ma si possono sognare dei sogni/ che non sono per nulla fallaci,/ ma che si realizzano in pieno.»
La fanciulla Rosa e le tante personificazioni dei sentimenti
Sotto la finzione del viaggio e della visione traspare la verosimiglianza di un’avventura amorosa, l’incontro e la tentata conquista di una Fanciulla Rosa. La rosa è il più perfetto e misterioso dei fiori, e Rosa si chiama la donna amata dal poeta, a cui è dedicato il romanzo.
«[…] è colei che ha tanto pregio/ ed è così degna di essere amata/ che deve essere chiamata Rosa.»
Levatosi all’alba, il narratore nel suo sogno esce dalla città, segue il fiume, finchè arriva a un giardino chiuso da un grande muro caratterizzato da immagini lungamente descritte: sono Odio, Fellonia, Villania, Avidità, Avarizia, Invidia, Tristezza, Vecchiaia, Ipocrisia, Povertà. Questo intreccio, intessuto di elaborate e preziose personificazioni allegoriche che assumono un atteggiamento e portano avanti un’azione, raccoglie e fonde insieme diverse tradizioni. Il Giardino di Deduit (Piacere) è un locus amoenus – alberi rari e rigogliosi, ruscelli cristallini, fiori di ogni sorta, canto meraviglioso di uccelli – in cui si ritrovano tracce del Paradiso Terrestre e dell’esordio primaverile della lirica trobadorica. La meraviglia del giardino è anticipata da un gioco di sottili corrispondenze, in tutta la parte iniziale del romanzo.
«Mi sembrava che fosse maggio/ sono passati cinque anni o più,/ di essere a maggio sognavo,/ nel tempo amoroso pieno di gioia; / nel tempo in cui ogni cosa si allegra…»
I codici dell’innamoramento con la Fontana di Narciso, la morte e la magia
Anche la descrizione dell’innamoramento appare estremamente codificato. Il desiderio è visto come una forza indipendente, esterna e aggressiva – frecce, arco, ferite -, proprio come nella lirica e nel romanzo cortese. La sottomissione ad Amore si esprime attraverso il codice feudale e ne riprende i gesti (cerimonie, omaggio).
«Allora trasse dalla sua borsa/ una piccola chiave ben fatta,/ tutta di oro puro:/ Con questa, disse, chiuderò/ per unica garanzia, il tuo cuore.»
Un momento decisivo della storia è l’apparizione, nel bel mezzo del giardino, della Fontana di Narciso. La Fontana segna il momento dell’innamoramento ma anche l’irruzione del mito e della morte. Il testo offre suggestioni meravigliose e accostamenti inesauribili. La magia delle pietre preziose permette di scorgere quello che prima era rimasto invisibile nel giardino: l’apparizione del boccoli di rosa è quasi un mistero rivelato e si sprigiona dai cristalli uno scintillio pieno di colori.
«Quando il sole, che vede ogni cosa/ getta i suoi raggi nella fontana/ e la sua luce vi discende/ allora appaiono più di cento colori/ nel cristallo, che per il sole/ diviene azzurro, giallo, vermiglio./»
La meraviglia però, procede di pari passo con la melanconia, sottesa quasi invisibilmente a tutta la metaforicità e l’allegoria di cui il romanzo si compone.
“Il Romanzo della Rosa” di Guillaume de Lorris e Jean de Meun. Un romanzo incompiuto
A un certo punto della narrazione, l’autore dice di attendere ancora un compenso dalla sua dama: è forse da questa sfasatura tra compimento dell’amore – implicito nell’intreccio – e l’attesa reale dei favori della bele che nasce l’interruzione del romanzo. Risulta piuttosto affascinante l’ipotesi che si giochi proprio sull’incompiutezza del suo romanzo. Tutta la sua storia, infatti, potrebbe essere letta sulla scia della fine lasciata in sospeso, nel segno della sospensione, dell’incertezza. All’entusiasmo per essere stato accolto nel giardino di Deduit, fa seguito, nell’animo del protagonista, lo sgomento per essersi imbattuto nella Fontana di Narciso, che è la fontana dell’amore, del desiderio, dell’attesa e anche della morte, ma anche dello sguardo. Si può infatti concludere che il romanzo, sia incentrato e si nutra completamente di un’estetica dello sguardo.