Kitchen di Banana Yoshimoto. Solitudine e lutto con toni da shōjo

"Kitchen" di Banana Yoshimoto

“Kitchen” di Banana Yoshimoto oltre la trama e i personaggi. Le sfumature del lutto

Nel 1991 esce in tutto il mondo l’esordio “Kitchen” di Banana Yoshimoto. Già noto dal 1988 in Giappone, patria dell’autrice, il romanzo viene tradotto in 20 lingue e diviene in poco tempo uno scritto di successo, da cui si sono tratti ben due film. Un ottimo riscontro per un primo romanzo! Quello di Banana Yoshimoto è un vero e proprio caso editoriale: autrice molto prolifica dalle vendite assicurate e trame mai banali. La sua modernità e creatività narrativa hanno rappresentato una svolta per il panorama letterario giapponese, una vera e propria ventata d’aria fresca.  

Uno degli spunti per il romanzo della Yoshimoto è il mondo dei manga tipici giapponesi. Per lo più sulla linea dello shōjo manga – manga per ragazze – si estende la spina dorsale di “Kitchen”, una storia in cui la crudeltà quotidiana lotta con elementi di magico romanticismo. Lo shōjo manga infatti contribuisce con una netta preferenza del sentimento e dell’idealizzazione della realtà. Tuttavia l’esordio della Yoshimoto non presenta solo tematiche di svago ed evasione: un successo simile è dovuto alla presenza di argomenti forti e toccanti, di immediata immedesimazione.

La singolarità del lutto e la solitudine

Il dolore del lutto è ciò attorno cui ruota la costruzione dell’intero romanzo. Come esorcizzarlo, affrontarlo e accettarlo diventa il percorso della narrazione. L’analisi degli stadi della sofferenza e delle modalità di superamento dei momenti bui è il primo tema caldo in “Kitchen”. Nonostante ciò il romanzo non è un manuale per l’uso in cui si elencano degli step fissi per ritrovare la felicità perduta. Non è nulla di tutto questo. Nessuno stereotipo emotivo. Così, per scongiurare ogni tipo di ovvietà sull’argomento, la Yoshimoto unisce diversi personaggi e vite, afflitte dallo stesso senso di mancanza e di vuoto. Tutte le anime del romanzo sono ugualmente sofferenti e tentano di supportarsi l’un l’altra.  

Ne risulta quindi che la vera tematica portante di “Kitchen” è la solitudine. Come immediata conseguenza del dolore o di una crisi personale, la solitudine ha la forza di scatenare nei protagonisti reazioni contrastanti e conflittuali. Da un lato un paziente silenzio affiancato da una speranza futura, dall’altro lato un’improvvisa e inspiegata reazione rivoluzionaria. In questo spaccato sul senso di abbandono si inserisce quel filone più profondo e intimo, in cui la protagonista riflette sulla possibilità del rapporto tra l’io e l’altro dopo una serie di sofferenze. Si chiede se sia ancora possibile aprirsi agli altri, costruirsi un nuovo mondo e vivere degnamente in una nuova dimensione. La risposta risiede unicamente in noi.

«Quanti anni avevo quand’ho capito che su quel sentiero buio e solitario l’unica luce possibile era quella che io stessa avrei emanato? Anche se sono stata allevata con amore, mi sono sempre sentita sola.»

“Kitchen” di Banana Yoshimoto. Il genere dello shōjo manga

È tra le pieghe delle tenebre della protagonista che la Yoshimoto inserisce le caratteristiche dello shōjo manga. La decisione quasi assurda di trascorrere giorno e notte in cucina e quell’aura sentimentale che circonda la sua cupezza mitigando la dura quotidianità spiccano sullo sfondo di temi seri e difficili. Una lente rosea che filtra le impurità senza rischiare di conferire al romanzo una superficialità intollerabile. Al contrario dà la leggerezza necessaria per poter continuare a navigare anche in un mare in tempesta.  

La scrittura lieve e sottile infonde un senso di terapeutico recupero di sé e di puntellamento delle piccole certezze personali. Proprio per questo “Kitchen” di Banana Yoshimoto è davvero un romanzo che scandaglia i lati di una solitudine silenziosa e di una nostalgia sospirata verso un passato ormai concluso. Proprio perché non è un manuale d’istruzione, l’autrice sebbene avanzi l’idea di una speranza finale non ne definisce perfettamente i contorni e non ne indica il percorso per raggiungerla. Più semplicemente la speranza è quella di riacciuffare un briciolo della agognata felicità, della quale viene detto che è «non accorgersi che in realtà si è soli», per dirlo con le parole di Mikage.

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