
Nel 1957 viene dato alle stampe “La Ciociara” di Alberto Moravia. La narrazione così realistica delle vicende e dei sentimenti dei personaggi è la base per un’inevitabile immedesimazione totale nella storia, così straziante e così umana al tempo stesso. Le parole di Moravia sono talmente vivide che ispirano scene e dialoghi identici a quelli dell’omonimo film capolavoro di Vittorio De Sica, riadattamento dell’opera letteraria. Non stupiscono dunque le parole dello scrittore francese René de Ceccatty sulla scrittura di Moravia, del quale dice essere «il più grande scrittore italiano del Novecento. È il solo vero romanziere, il solo vero narratore».
Certamente la vicinanza della Seconda Guerra Mondiale, terminata una decina di anni prima della pubblicazione del romanzo, ha contribuito a tracciare un ritratto lucido delle sensazioni e delle emozioni provate in quegli anni. Nonostante ciò, anche a distanza di generazioni, la trama e i dettagli descrittivi di Moravia riescono a colpire nel profondo. Il risultato è pura letteratura. Non solo, infatti, è cronaca verosimile – a tratti reale – dei fatti avvenuti, ma anche immedesimazione e partecipazione alla mentalità e al dolore dei protagonisti. Ne “La Ciociara” le parole servono per colpire chi legge, anche per sconvolgerlo. Servono ad accorciare la distanza tra l’oggi e un passato che a suo modo è anche presente.
“La Ciociara” di Alberto Moravia. Lo sguardo dei civili
Al centro del romanzo non vi è soltanto la vita dei civili negli ultimi anni di guerra, ma anche un’indagine sulla natura umana, su quel che vuol dire essere umano in tempo di guerra. L’autore – o meglio, la narratrice interna, Cesira – spesso sottolinea lo scarto tra il prima e il dopo. Tuttavia, non si sofferma esclusivamente sul dato materiale, sulla mancanza di cibo o beni primari, bensì preferisce chiedersi come sia cambiato l’essere umano insieme agli eventi. Cosa lo ha portato a corrompersi, a guastarsi. Le parole semplici e rustiche e lo sguardo attento della ciociara protagonista interpretano i gesti dei contadini e degli sfollati. Ne ravvisano egoismo e crudeltà, ma talvolta anche purezza d’animo e generosità. Ciò che la guerra porta a galla è il lato più vero e nascosto dell’uomo che galleggia tra l’incertezza e la violenza.
«In realtà le nostre disgrazie ci rendevano indifferenti alle disgrazie degli altri. E in seguito ho pensato che questo è certamente uno dei peggiori effetti della guerra: di rendere insensibili, di indurire il cuore, di ammazzare la pietà.» – Alberto Moravia
“La Ciociara” di Alberto Moravia non è tanto un romanzo di guerra, quanto un romanzo antropologico, che guarda alla guerra dal punto di vista dei civili. Di quelli che più ne soffrono le brutalità e le privazioni. Nel romanzo i personaggi, ognuno a modo loro, subiscono la violenza, che si sviluppa su due fronti differenti. C’è la violenza collettiva, quella che accomuna tutti sotto i fuochi e i rombi dei bombardamenti, e quella individuale. E proprio su quest’ultimo tipo si concentra la parte finale del romanzo, che, esaurita la rappresentazione del microcosmo comunitario delle montagne ciociare, termina con un’inquadratura sempre più stretta su Cesira e sua figlia Rosetta, protagoniste del “La Ciocara”.
Cosa vuol dire essere ciociara? La cruda realtà della narrazione
Quella che è passata alla storia come Campagna d’Italia – l’incursione, cioè, degli alleati sul suolo nazionale dopo l’armistizio del 1943 – è al centro dello scenario dell’intero romanzo, che si muove tra il 1943 e il 1944 per le campagne di Fondi. La narrazione è affidata a Cesira, una donna di umili origini che riporta schiettamente i fatti come li vede. Non c’è presenza di lessico militare né di dettagli tattici. Quelli che Cesira riporta sono gli eventi così come li ricorderebbe e li racconterebbe un sopravvissuto agli anni più difficili e crudeli del XX secolo. Per questo la narrazione, fitta di personaggi dai destini più disparati, indugia sui dettagli geografici del luogo, disegna i contorni delle montagne e le popola di piante e fiori, le cui descrizioni denunciano l’origine contadina della protagonista. Non a caso Cesira è proprio ciociara. Il termine presente anche nel titolo si ricollega, infatti, alla Ciociaria, regione del Lazio meridionale, e poi per estensione ha preso ad indicare generalmente i contadini della Campagna Romana.
Al contempo anche la natura dei popolani e degli sfollati diviene protagonista centrale. In particolar modo, sul finire del romanzo, è la tematica dello sviluppo e del cambiamento dei personaggi a occupare lo spazio maggiore. Con “La Ciociara” di Alberto Moravia sembra di partecipare attivamente al tempo del racconto, ma anche di assistere come spettatori ad una tragedia antica e attuale al tempo stesso. Una tragedia anche inaspettata durante il momento più catartico della storia italiana, la Liberazione.