“La principessa di Clèves” è un romanzo di Madame de La Fayette edito nel 1678. Reputato il primo romanzo psicologico e storico dell’era moderna, l’opera ha tracciato un solco che verrà seguito dai maggiori autori francesi e non del XIX e XX secolo. Ma, al di là di ogni aspetto, certamente notevole, che lo hanno reso un primato, “La principessa di Clèves” necessita di una smitizzazione ai fini di un’analisi ben più attuale.
Le congetture su “La principessa di Clèves” e Madame de La Fayette
Infatti, proprio per evitare al romanzo un futuro polveroso in una teca, sarebbe bene osservarlo sotto una lente che lo conduca al di là del mito e delle congetture su Madame de La Fayette. Ogni qualvolta ci si imbatte in un’autrice si fa il comprensibile errore di trasferirne e adattarne la mentalità dei nostri tempi: pertanto, diventano femministe, indipendenti, reazionarie. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno e di cui ci appropriamo in barba alla probabilità storica. Accade con Saffo, la poetessa di Lesbo, ma anche con Madame de La Fayette, vista quasi come contraria alla corte francese: il che suona proprio come un altro mito da sfatare.
Le critiche dell’autrice, infatti, non sono personali nei riguardi di una classe sociale precisa, per esempio quella aristocratica, bensì colpiscono determinate categorie umane. Inoltre non inserisce per nulla personaggi di più basso rango: ciò ci fa immaginare che fosse ignara della vita che si conduceva tra la nascente borghesia francese o che ne fosse totalmente indifferente.
Nonostante da un lato sia perfettamente allineata con gli schemi sociali dell’epoca, dall’altro il suo scritto contiene dei piccoli punti di rottura con la moda letteraria dei suoi tempi. È, forse, in quest’ottica che “La principessa di Clèves” merita di essere letto.
Di certo la dimensione psicologica è quella dominante, ma le modalità con cui de La Fayette la propone sono ben più originali di quel che si crede. Il testo è tanto semplice e scarno (ma comunque omogeneo) da creare un distacco totale dalla precedente letteratura barocca, così piena e fitta di digressioni e dettagli. Nel romanzo si fa il giro delle corti europee, tra palazzi principeschi e balli di società, tuttavia in chi legge non c’è né l’impressione di una critica verso le ostentazioni sovrane né la pesantezza della società dorata e barocca.
Perciò il romando si mostra originale nella sua asciuttezza, sì, ma senza essere fuori contesto. Ed in più propone una visione realista della società come mai si era vista prima. Ci sono tutti gli ingredienti per far innamorare il pubblico dell’opera – eroi, storie d’amore, intrighi, conflitti -, ma nessun patetismo esasperato o scelte azzardate. Quanto di più quotidiano possibile.
Oltre i primati: società doppia e psicologia in crisi
Madame de La Fayette ambienta il suo romanzo alla corte di Enrico II, tra il 1558 e il 1559, prendendo come modello esemplare di vita l’esistenza che vi si conduceva al suo interno. Anche per questo, al contrario delle riproduzioni odierne delle passate monarchie europee, non sembra opportuno affidare alla scrittrice il peso di una critica al suo stesso ceto.
Anzi, al contrario, nonostante le finzioni e gli intrighi, descrive con ammirazione l’ambiente monarchico, nel quale si convogliano i drammi succulenti e le ribellioni che contano davvero. Non vuole proporre un’alternativa all’ordine vigente. Non avrebbe senso, infatti, dal momento che i crolli e le sofferenze presenti nell’opera non sono appannaggio esclusivo della monarchia, bensì una specifica prerogativa del genere umano.
«Tutti i miei propositi sono inutili; ieri pensavo ciò che penso oggi e oggi faccio l’esatto contrario di quello che ho deciso ieri.»
Partendo da questo assunto che omologa ciascun essere umano, Madame de La Fayette fornisce al romanzo un’impronta nuova nella letteratura europea del XVII secolo. Inserisce ne “La principessa di Clèves” una continua analisi psicologica che la protagonista esercita su se stessa. La presenza dei soliloqui chiarisce l’intento introspettivo, ma produce anche in chi legge l’impressione che, grazie alla narrazione intima, si instauri un dialogo tra l’interno e l’esterno. I sentimenti sono un modo per scavarsi dentro, ma anche per conoscere il mondo fuori.
Tuttavia, la psicologia del romanzo non può che risultare solo accennata e non proprio ben riuscita. La responsabilità di ciò è da imputare per l’autrice ad una società doppia e ipocrita, che sfoggia i suoi migliori sorrisi solo all’occorrenza, e al fuoco troppo divampante delle passioni umane.
“La principessa di Clèves” in una nuova veste
L’analisi sembra quasi venire meno e annullarsi sotto il proprio stesso peso. Vi si aggiunge poi uno stile quasi distaccato, freddo, che vorrebbe fare il paio con la semplicità della lingua, ma che non fa che creare un divario tra chi legge e chi scrive. Anche in virtù di ciò, forse, ci si è accontentati di riscontrare il primato del genere del romanzo, senza notarne le vere rotture con la tradizione barocca ed il punto di vista di un’autrice in armonia con la propria classe sociale.
Il romanzo raggiunge un livello maggiore con il crollo della struttura psicologica. L’autrice riflette sulla reale opportunità di creare una protagonista in un dialogo sincero con sé in una società che tende a preferire chi non pensa e agisce alle spalle, che si fa coinvolgere da drammi amorosi e lascia indietro quanti si interrogano sulle proprie scelte. È soprattutto per quest’ultimo punto che “La principessa di Clèves” può essere definito un classico, cioè un’opera che attraversa passato, presente e futuro senza mai risultare vecchia e stantia, ma sempre al passo con i tempi.