
Quando nel 1974 Elsa Morante pubblica il romanzo “La Storia”, lo accompagna ad un sottotitolo molto conciso: “Uno scandalo che dura da diecimila anni”. E così, già da queste poche righe, si comprende a pieno il punto di vista autoriale: gli ultimi scrivono le loro stesse vicende, le compongono e ce le consegnano per depositarle nella nostra memoria.
Il racconto prende avvio da un freddo pomeriggio di gennaio del 1941, quando un barcollante soldato tedesco di nome Gunther girovaga per le strade di Roma, tra le vie del quartiere San Lorenzo. Vaga finché i suoi occhi azzurri non si posano su Ida Ramundo, vedova Mancuso, una maestra elementare e madre dello scapestrato Nino. Si introduce di prepotenza nell’abitazione della donna, scagliandole contro la sua rabbia inferocita, e in un attimo avviene la violenza. Dallo stupro nascerà Useppe, un bimbo piccino e indifeso dai grandi occhi chiari.
“La Storia” di Elsa Morante entra nel cuore dei personaggi
Nel momento in cui la Morante descrive l’abuso, si apre un’ampia digressione sulle origini di Ida, così da mostrarci la causa profonda della sua remissività ed impenetrabile chiusura. Da bambina soffriva di un male oscuro, con tutta probabilità l’epilessia, che la lasciava senza forze e le conferiva in cambio un forte senso di disappartenenza, di distacco.
«Aveva la sensazione, cioè, che solo a emettere un lamento, dietro a questo, come alla rottura di un argine, le proromperebbero delle urla incontenibili, e che urlando sarebbe impazzita.»
In aggiunta a ciò, la sua famiglia aveva scelto di tenere nascoste le discendenze ebraiche della madre, “Noruzza”. Questa reticenza salva Ida dai rastrellamenti nel ghetto della capitale, dal quale tuttavia non riesce a stare lontana: vi si reca saltuariamente come una sonnambula, preda di un richiamo ancestrale più forte di lei.
Il realismo della Morante e il mancato senso di futuro
Le vite di Ida, Nino e Useppe vengono sconvolte dai bombardamenti che radono al suolo San Lorenzo. Da quel momento, il primogenito si unirà ai Fasci per difendere il Nord dai partigiani, mentre la donna ed il piccolo rimarranno a Roma, passando da un rifugio ad un altro.
Da sfollati, conosceranno anche altri cittadini nelle loro stesse condizioni, fino a creare un unico grande nucleo familiare. Elsa Morante si sofferma a descrivere le loro vicissitudini durante gli attacchi, perché “La Storia” è a tutti gli effetti un romanzo corale. Le molte voci dei vecchi, dei bambini e delle loro madri, dei reduci e degli anarchici rappresentano la Storia, quella vera e più cruda. Assieme a quello di Ida, sono personaggi che, anche dopo la liberazione del 1945, non possono essere davvero liberi. Esistono, sopravvivono, vanno avanti, ma non c’è in loro il sentimento di libertà.
Anche a guerra terminata il romanzo procede e mostra il prosieguo delle vicissitudini della famiglia di Ida, fino al definitivo compimento. Questa scelta della scrittrice è assolutamente significativa: gli orrori e gli scandali bellici sono fantasmi che seguiranno per sempre chi li ha subiti e vissuti. Non c’è una resa né una speranza di risoluzione lieta, perché dopo un trauma epocale l’idea di un futuro è assurda e illusoria. Così, la Morante traccia il solco profondissimo di una vera e propria soglia, e ci costringe ad una sorta di inevitabile ricatto.
Componendo una grande tela dal paesaggio distrutto e a pezzi, mostra al lettore i fatti così come sono: la vita tra le macerie, la lacerazione interiore dovuta alle perdite, il dolore lancinante dei feriti ed il boato delle bombe, a cui segue un silenzio che buca l’anima.
Le similitudini e le metafore nel personaggio di Useppe
“La Storia” di Elsa Morante palesa tutti gli orrori della guerra e del post-conflitto mondiale, facendo un viaggio dentro l’animo di uomini e donne: persino del soldato Gunther conosciamo i recessi più cupi del suo intimo. A questa grande caratterizzazione umana, però, si accompagnano anche frequenti similitudini animalesche, com’è consueto nell’autrice. La guerra, la fame, portano l’essere umano ad abbassarsi a livelli infimi o a perdere totalmente il senno e la ragione. Eppure, il realismo antifrastico per cui la pace non reca alcun sentimento positivo, si scontra con l’elemento onirico, piccolo squarcio d’evasione di Ida, o con lo sguardo sognante e fanciullesco di Useppe.
Quest’ultimo è il vero protagonista del romanzo, perché sintetizza in sé la purezza e la bontà, così rare in tempo di guerra, tanto quanto le fragilità del periodo storico. Useppe somatizza gli sconvolgimenti storici, nonostante la fanciullezza e l’innocenza che lo caratterizzano. Inoltre, è il mezzo di un ulteriore accorgimento stilistico dell’autrice, la metafora: i suoi occhi limpidi rendono tale tutto ciò su cui si posano, così che grazie a Useppe, frequentemente, il lettore può godere di un momento breve di pausa dal grave tono generale.
La consegna de “La Storia” ai posteri, depositari di memoria
Infatti, ne “La Storia” di Elsa Morante non c’è vittoria, e non c’è liberazione. L’unica cosa che sopravvive al termine della lettura è la ricerca della memoria, lo sforzo di perpetrare a raccontare e a testimoniare. Nonostante sia un romanzo doloroso e brutale, dev’esser letto e vissuto in tutta la sua sofferenza, poiché inquadra chiaramente il senso dei fatti avvenuti. I grandi epocali momenti della storia sono vissuti e subiti solo dagli ultimi, da quelli a cui non viene mai data la voce per raccontare, ma che più di tutti hanno autorità per farlo, al fine di conferire dignità alle loro sofferenze.
bella e attenta rappresentazione del romanzo della Morante