Lettera a un bambino mai nato. Il doloroso libro di Oriana Fallaci

Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci

“Lettera a un bambino mai nato” di Oriana Fallaci è un libro scritto e pubblicato nel 1975. Si tratta del monologo di una donna che aspetta un figlio e guarda a questa scelta come a un carico dotato di profonda moralità.

«Non sono io la donna del libro, tutt’al più le assomiglio, come può assomigliarle qualsiasi donna del nostro tempo che vive sola, che lavora e che pensa.»

Questo libro, che si annovera tra quelli più coinvolgenti della scrittrice, ruota attorno al tema della vita, così difficile da decifrare e a cui cerca di dare un senso, come ce l’hanno il giorno e la notte, le stagioni, le sofferenze e i dolori. La protagonista del libro è una donna intelligente e forte, che si ritrova ad affrontare una vera e propria sfida con se stessa e con la sua gravidanza. In piena solitudine e inizialmente spietata contro un uomo che si dimostra avverso alla gioia della nascita, apre un dialogo col proprio bambino. Affronta con lui temi sociali che vanno dall’amore all’aborto, dal lavoro alla famiglia.

“Lettera a un bambino mai nato”. Libertà, amore e famiglia

Un dialogo che nasce insieme alle fattezze dell’innocente creatura custodita nel grembo e che sembra correre alla stessa velocità dei pensieri di sua madre, delle sue sensazioni. Si tratta di un dialogo che nasce nella sua forma più buia e scabrosa, in cui tutto appare dannatamente negativo e insormontabile, come il fatto stesso di vivere.

«Tu sei libero come non lo sarai mai più in questo mondo immenso e spietato. Non devi chiedere permesso a nessuno lì dentro. Perché non hai accanto nessuno ed ignori che cosa sia la schiavitù. Qui fuori, invece, avrai mille padroni. E il primo padrone sarò io che senza volerlo, magari senza saperlo, ti imporrò cose che sono giuste per me e non per te.»

In maniera diretta, Oriana Fallaci ci conduce assieme a quell’innocente anima di un bambino in un mondo fatto di soprusi e dipendenze. Un mondo in cui ci sarà sempre un vincitore ed un vinto, in cui la schiavitù più grande è quella degli affetti. Traspare l’immagine di una famiglia ritratta come portavoce di un sistema che non può lasciarci disubbidire, un gruppo di uomini, donne e bambini semplicemente costretti a vivere sotto lo stesso tetto, portando lo stesso nome, odiandosi alcune volte.

La vita e la morte al centro di ogni cosa

Frutto di una visione estremamente realistica e negativa è anche la concezione del lavoro: un’altra menzogna inventata per la convenienza di chi ha organizzato questo mondo. Un lavoro che continua ad essere inteso come perdita totale di libertà. Lavoriamo sempre per qualcun’ altro, mai per noi stessi. E anche nel momento in cui crediamo di soddisfare il nostro piacere coltivando la terra quando e come ci va, non facciamo altro che piegarci alle leggi del sole e della pioggia, del clima e delle stagioni

Ci pieghiamo perennemente a qualcosa di più forte di noi, quasi con naturalezza, la stessa contro cui l’autrice di questo meraviglioso libro si scaglia senza sosta. Un dialogo intriso di amore e di odio, fatica e dolore, spiragli di luce e buio fitto. L’originaria dolcezza di una madre che muore dalla voglia di mettere al mondo suo figlio, finisce per inciampare più volte tra i suoi pensieri più ostili ed egoistici, offuscando la luce della nascita.

Il frequente ricorso alla fiaba come metafora della vita

Oriana Fallaci ha un modo di raccontare la vita in “Lettera a un bambino mai nato” che lascia il lettore assuefatto. L’autrice ci prende per mano e ci porta a guardare l’intricato disegno che – una forza superiore chiamata Dio – ha tracciato per ognuno di noi. Spesso lo fa ricorrendo al racconto di fiabe. La delicata mano di un’incerta e futura madre scrive tre fiabe per suo figlio, quasi come a prepararlo, per aprirgli gli occhietti sul futuro ancora prima che quest’ultimo li abbia formati.

«La magnolia stava in mezzo a un giardino e la bambina passava giornate intere a guardarla.»

La magnolia è il perno indiscusso della prima fiaba. La protagonista si lascia andare al racconto di quello a cui, da bambina, aveva avuto la sfortuna di assistere. L’incontro scontroso tra amore e violenza, tradimento e morte: la morte di una giovane donna che da piccola aveva osservato dall’alto della sua finestra, insieme alla magnolia che tanto le piaceva guardare.

Un giorno il fiore si ritrovò coperto dal corpo della donna incastrato a quello di un uomo, fino a che il sonno prevalse. Però giunse un altro uomo, evidentemente arrabbiato. La donna cominciò a correre e correva anche lui, per agguantarla finché la raggiunse, e lei si aggrappò al fiore. Lo colse e restò ferma lì, morta, col suo fiore tra le mani. Fu a partire da quell’attimo che la bambina cominciò a pensare che per cogliere un fiore si dovesse morire, che per essere felici si dovesse attraversare l’inferno, che, scalando la montagna, si dovesse per forza cadere lungo il tragitto.

Lettera a un bambino mai nato cambia la prospettiva

Risulta piacevole e commovente osservare come – quando l’unica certezza comincia a vacillare – la protagonista del libro cambi completamente prospettiva.
Il bambino è in pericolo e – per salvare la giovane madre – i medici sono costretti a strapparglielo via. Di una immediata dolcezza è il dialogo finale che si apre tra la madre e suo figlio, fatto di speranza, gioia e bellezza.

«Mi devi scusare. La collera, l’ansia, mi facevano vedere tutto buio. E a proposito del buio: è sorta di nuovo in me l’impazienza di tirartene fuori […] Io mi pento di averti fornito sempre gli esempi più brutti, di non averti mai raccontato lo splendore di un’alba, la dolcezza di un bacio, il profumo di un cibo. Io mi pento di non averti fatto ridere mai.»

Parole di profonda speranza, le stesse che forse arriviamo a provare quasi tutti nel momento in cui la vita fa vacillare quello che fino a poco prima abbiamo dato per scontato. Parole a cui si arriva soltanto dopo aver trasportato sulle spalle un grosso carico di dolore e sofferenza. Parole che, per quanto belle, sono arrivate alla creatura gentile troppo tardi, quando aveva già deciso di andarsene:

«Poi crebbero le tue incertezze, i tuoi dubbi, e prendesti ad alternare lusinghe e minacce, tenerezza e rancore, coraggio e paura. Per lavarti dalla paura un giorno attribuisti a me la decisione di esistere […] Non mi raccontasti mai che un fiore di magnolia si può cogliere senza morire, che il domani può essere meglio di ieri. E quando te ne accorgesti era troppo tardi: mi stavo già suicidando.»

Oriana Fallaci rende universali le sue considerazioni sulla vita e la morte

Il bambino mai nato lascia morire con sé anche tutte le paure, le minacce e i rancori, e forse anche sua madre, che nella parte finale del romanzo si pronuncia in questo modo:

«La vita non ha bisogno né di te né di me. Tu sei morto, ora muoio anche io. Ma non conta. Perché la vita non muore.»

È proprio così che ci lascia Oriana Fallaci, con un finale incerto, come la vita che ha faticosamente provato a spiegare tramite parole che smuovono la coscienza dei lettori. Un libro che apre la mente portando alla piena consapevolezza. Scegliere di non combattere è la strada più facile, ma non sempre quella giusta; nello stesso modo in cui scegliere di non nascere, di non mettere alla luce, significa scrollarsi di un peso senza avere il coraggio di provare a sostenerlo.

Un monologo struggente, intessuto di significati che – uniti alla strabiliante abilità di una autrice come la Fallaci – fa di “Lettera a un bambino mai nato” uno dei capolavori maggiori della letteratura. È allo stesso tempo un aiuto e un modo per prepararsi al peggio.

« A chi non teme il dubbio, a chi si chiede i perché senza stancarsi e a costo di soffrire e di morire. A chi si pone il dilemma di dare la vita o negarla, questo libro è dedicato da una donna per tutte le donne.» – Oriana Fallaci.

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