
“Non vi lascerò orfani”, pubblicato nel 2009 da Mondadori, segna l’esordio letterario di Daria Bignardi. Con una scrittura delicata come l’ala di una farfalla, ironica e commovente allo stesso tempo, l’autrice narra la storia della sua famiglia. Un lungo e appassionante racconto in cui è facile immedesimarsi e dove trovano terreno fertile le più intime emozioni.
«Questo è la morte, oltre alla mancanza di chi non c’è più: è la vita, con tutti i suoi ricordi. E amore. Tutto l’amore che chi se ne va ci ha dato, buono o cattivo che sia stato.»
È una storia che parla di morte, quella raccontata dall’autrice, della morte della sua mamma, di un dolore adulto che non per questo è meno acuto. Una storia che, però, pulsa immensamente di vita e di amore, di quell’amore che è sempre meglio dare. Attraverso l’analisi affettuosa e obiettiva del complicato rapporto madre-figlia, Daria Bignardi mette a nudo la sua stessa vita, attingendo ai ricordi della memoria che tutto salva.
«La mamma era molto, molto ansiosa. Ansia ossessiva, diagnosticò trent’anni dopo lo psichiatra. Ma negli anni Sessanta non si usava mandare le mamme dallo psichiatra, ci si adattava alle loro manie un po’ come si poteva.»
‘Non vi lascerò orfani’ racconta il rapporto di Daria Bignardi con sua madre
Una donna con la testa quotidianamente piena di pensieri negativi, la signora Giannarosa: pessimista, apprensiva, priva di senso pratico. Una donna bellissima, di una bellezza al passo con i tempi che faceva rimanere a bocca aperta chi le passava accanto. Una donna profonda e intelligente, che non era riuscita a laurearsi e che faceva di questa mancanza un fallimento. Una madre di famiglia che non aveva trovato il suo equilibrio quotidiano e che, per tenersi al riparo dalle delusioni, vedeva sempre tutto nero.
«Quand’è che una ragazza profonda, intelligente, vibrante di emozioni, vita, sogni, speranze e innamorata della letteratura, quand’è che una donna bella, amata, amabile, una bomba di donna dagli occhi splendenti, piena di amiche che la adorano per la sua anima generosa e allegra diventa una persona ansiosa, pessimista e sempre preoccupata, schiava del dover fare, schiava delle mille incombenze che non danno più gioia perché insieme sono troppe? La casa, i bambini, il lavoro. E non c’è più tempo di studiare, di leggere e di sognare.»
Sembra di scorgere nella sua figura le innumerevoli sfumature di una vita che non è andata come la si desiderava. Le rinunce, i sacrifici, le mancanze a cui molte donne, purtroppo, sono state costrette e che portano a un’abitudine che, con il tempo, sfocia nella delusione e nell’amarezza. E quando poi la persona viene a mancare, si soffre al pensiero che la sua vita sia stata infelice, e in questa consapevolezza diventa ancora più difficile accettarne la perdita. Eppure, nell’analisi profonda dei propri sentimenti, l’autrice fa una riflessione che non è per nulla banale, ma che aiuta a guardare le cose da un altro punto di vista:
«Ho capito che la vita della mamma è stata più faticosa e spesso più triste, ma non più brutta.»
Un amore che va oltre le difficoltà e mira all’essenziale
I litigi, le discussioni, la mania di controllo non impediscono all’autrice di amare profondamente la madre e di trovare il modo di darle le rassicurazioni di cui ha bisogno, senza farsi condizionare nella vita e nelle scelte a essa legate. Forse, una madre meno pessimista e piena di paure le avrebbe regalato più sicurezza e serenità. Eppure, ancora una volta, l’autrice analizza le cose da una diversa prospettiva, che non suona come rassegnazione ma come profonda maturità e consapevolezza, priva di quell’inutile rancore che spesso guasta la vita di molte persone.
«Mi piace dare un senso a tutto, e immaginare un lieto fine per ogni cosa. Ho sofferto per i nostri litigi, ma quanto mi hanno temprato, e insegnato a combattere: io almeno me la racconto così. Tanto ormai è così che è andata.»
‘Non vi lascerò orfani’ diventa universale nel delicato amore madre-figlia
Continuando il suo viaggio nei ricordi e allo stesso tempo narrando i fatti al momento della scomparsa della madre, Daria Bignardi racconta una storia personale che offre uno spaccato su luoghi e fatti di un’epoca passata, senza mai allontanarsi da quello che rimane il fulcro del libro: il rapporto con sua madre. Una madre che ha amato e che continuerà ad amare, anche ora che non c’è più, e la cui assenza riempie lo stesso la sua vita, tanto da doverla tenere a bada per non esserne sopraffatta.
Al termine della lettura di “Non vi lascerò orfani”, rimane addosso una sensazione di malinconica nostalgia che accarezza l’anima. Al lettore non sfuggirà l’infinito amore che impregna ogni pagina e che porta, inevitabilmente, a scavare dentro il proprio animo e il proprio vissuto grazie anche alla scrittura sorprendentemente lieve e mai stucchevole dell’autrice. Il racconto di famiglia diventa così racconto universale senza perdere la propria individualità. L’infanzia di Daria Bignardi diventa l’infanzia di ogni figlio, l’adolescenza è quella disperatamente meravigliosa di ogni adolescente, la giovinezza, l’età adulta, la famiglia, la società, i valori e i sentimenti… Perché l’amore è amore, è quando non c’è più che capisci quanto ti manca, anche se è faticoso da sopportare.
Breve sinossi
“Non vi lascerò orfani” di Daria Bignardi scava nella memoria dove nulla va perduto e si rivelano legami inattesi. Tutto – persone e luoghi – ha lasciato qualcosa. Tutto è storia individuale, di una famiglia, di un’epoca: tutto ha lasciato un segno e ci ha resi ciò che siamo. Ma ogni cosa gira intorno al rapporto complicato tra madre e figlia che, come spesso accade, è fatto di trasporto e identificazione, ma anche bisogno di separarsi, di quella necessità di scrivere il proprio destino che spesso sta alla base dei conflitti.
Con appassionata nostalgia, in equilibrio tra commozione e divertimento, Daria Bignardi racconta una vicenda dolce e ironica, affascinante come una foto in bianco e nero, viva come un abbraccio: una storia proiettata all’improvviso sullo schermo della memoria quando la protagonista scompare. La storia di un amore più forte dell’assenza, un racconto in cui sarà inevitabile per chiunque, pur nell’assoluta singolarità della voce narrante, riconoscersi.