“Quello che non sai” di Susy Galluzzo è un romanzo che segna il suo esordio con Fazi Editore. L’autrice, nata in Calabria ma trasferitasi a Roma, ha dato alla luce questo racconto dopo la morte della madre con la quale ha sempre avuto un rapporto bellissimo. Un amore profondo, infinito, come può essere il più delle volte il legame tra madre e figlia.
È proprio l’amore tra madre e figlia il tema attorno al quale ruota l’intero romanzo. Un amore intenso, quasi viscerale che finisce però, ad un certo punto, con il consumarsi a poco a poco come la cera di una candela. Così giorno dopo giorno si susseguono sentimenti contrastanti. All’amore simbiotico si sostituiscono i conflitti, i sensi di colpa, i rimpianti di una madre che ha dedicato completamente a sua figlia gran parte della sua vita, annullando se stessa, il suo lavoro e il suo matrimonio.
“Quello che non sai” di Susy Galluzzo. I tulipani
«Quanto adoravi i tulipani! Una delle poche volte in cui ti ho sognata, eri ancora più bella, così sorridente, sembravi quasi ebbra. Eravamo qui, nel soggiorno, e tu eri appoggiata a quella madia di faggio. Eri più giovane e più magra, vestita di grigio, molto semplice. Mi Hai detto: Dove sto ora, ci sono tulipani, tulipani dappertutto, nuoto in un mare di tulipani»
Inizia tutto da un mazzo di tulipani gialli, il racconto di Michela detta Ella. Giallo era il colore preferito di sua madre, che adorava i tulipani. Dopo la sua morte, Ella porta ogni giorno nella sua casa un mazzo di tulipani e acquista un taccuino. Anche sulla copertina del taccuino sono disegnati dei tulipani bianchi. Comincia così a stabilire un contatto, parlando a sua madre come se stesse semplicemente nella stanza accanto.
Madri e figlie
“Quello che non sai” è un diario aperto, dove la sola voce narrante è quella della protagonista Michela. La storia che descrive a sua madre, è la storia di una figlia divenuta a sua volta madre. Ella è infatti madre di Ilaria, un’adolescente irrequieta con la voglia di evadere, ma soprattutto in continuo e violento contrasto con tutto ciò che la circonda. Una ragazza affetta da disturbi ossessivo convulsivi che con il passare del tempo diventano sempre più invadenti, a tal punto da influire in maniera sempre più decisiva sul rapporto madre-figlia. A peggiorare la situazione si inserisce un incidente. Da quel momento in poi nulla sarà più lo stesso.
Come un vaso caduto in frantumi, la vita di Ella diventa un continuo affannarsi per cercare di tenere insieme i pezzi. Ma i suoi sforzi restano vani, perché questi pezzi si frantumano sotto i suoi stessi occhi, uno dietro l’altro. Riaffiorano così vecchi ricordi, conflitti, rimpianti e sensi di colpa. La figlia era improvvisamente diventata un’estranea. Un “compito” da svolgere, per dovere e non per beneficio.
«Sono madre anch’io. Si chiama Ilaria, ha tredici anni, compiuti a marzo. È la mia vita. E anche la mia morte.»
Il fulcro di tutta la narrazione è una componente psicologica complessa, caratterizzata da un alternarsi di luci ed ombre che avvolgono anche il lettore e lo devastano. I dubbi di Ella, sono i tormenti di ognuno. Un lato oscuro con il quale prima o poi tutti siamo portati a confrontarci.
Cosa succede quando non si ha più voglia di essere una madre?
Ma se da un lato lei si mette in discussione, non si può dire altrettanto di sua figlia Ilaria. Arriva ad odiarla a tal punto da estrometterla da tutto ciò che la riguarda e da formare un’allenaza col padre. Ella viene resa sempre più estranea dal nucleo familiare. Perché se una madre è sempre disposta a correre in soccorso di un figlio, un figlio non sempre riesce a perdonare le fragilità di un genitore. Come se la fragilità genitoriale fosse un reato imperdonabile. Ella arriva allo stremo delle forze. È esasperata, delusa, stanca. Ma proprio quando tutto sembra perduto, l’autrice lascia al lettore attraverso il suo personaggio un messaggio di speranza: il coraggio e la forza di ribellarsi al proprio dolore.
«Amo tutto questo. È tutto nuovo, è una nuova vita. Ringrazio ogni giorno che mi sia stata concessa quest’altra possibilità.»