
«Non c’è niente di più comico dell’infelicità» scrisse Samuel Beckett. Volendoci dare una parvenza esistenzialista, potremmo dire che sì, l’infelicità è qualcosa di talmente ridicolo da saper generare la più profonda delle risate, forse anche la più piena. A rifletterci, ridere di altro è un’impresa davvero estenuante per il nostro povero cervello. Se dovessimo – che so? – ridere di un amico perché è caduto – tanto per non citare un elemento comico abusato fino allo sfinimento – dopo subentrerebbe una sorta di senso di colpa: chi sono mai io per ridere di questo povero disgraziato che è caduto? E se si è fatto male? Che amico sono? Nemmeno gli sto dando una mano… E d’improvviso non ridiamo più. E se invece ridessimo dei difetti fisici di qualcuno? Questa supposta superiorità che ci permette di giudicare uno sfortunato con il nasone dall’alto della nostra perfezione non ci farebbe cadere nella più profonda delle crisi esistenziali sul nostro becero narcisismo? E le barzellette? La gente intelligente mica ride più alle barzellette! Sapete questo a cosa mi fa pensare? Che la storiella di Democrito e Ippocrate in “Racconti da ridere” di Marco Rossari racchiude la più grande verità messa in bocca ad un uomo come Democrito, che autorevole è dir poco.
«[…]ridere degli uomini è inevitabile, perché in loro si trovano ogni follia e ogni ridicolaggine.»
E più cerchiamo di darci un tono, più dobbiamo scontrarci con l’assurdità della vita; tanto vale riderne.
“Racconti da ridere” di Marco Rossari. Modi di ridere e soggetti del riso
I racconti non sono ordinati in maniera cronologica, bensì tematica in cinque sezioni: “La gentilezza del divertimento –Ridere con stile” che ospita cinque racconti, “La moderna proposta – Ridere con Rabbia” con altrettanti racconti, “Fu l’ultima volta che le presi – Ridere di sé” con due racconti, tra cui Charles Bukowski, autore molto caro al Rossari, “Le peripezie del sen – Ridere di te” con tre racconti, e “Il nonsenso dell’umorismo – Ridere dell’imperscrutabile” con otto racconti.
Partendo dall’epilogo, nelle diverse sezioni, vengono presentati diversi modi di ridere e far ridere, attraverso la voce di nomi autorevoli come Mark Twain, Cechov, Stefano Benni, e di altri meno noti. Nell’ultima delle sezioni si ride per l’assoluta mancanza di senso dei racconti: un uomo che perde il naso, un conte che ha bisogno di una preparazione tutt’altro che umanamente possibile per riuscire a “portare a compimento” i propri coiti, facendo pesare il prezzo della sua lussuria sulle spalle dei contribuenti, una ragazza che è stata l’amante ipotetica di tutti e fisica di nessuno e un dinosauro con nessun altro desiderio che quello di andare a Disenyland.
Scorrendo indietro, arriviamo al “Ridere di te”, alla parodia di Umberto Eco della Lolita di Nabokov, del politically correct di Margaret Atwood, e della Bibbia di Mark Twain. Il racconto della Atwood, pubblicato inedito in questo volume è una critica tutt’altro che velata alla paura moderna di catalogare ogni cosa o di farlo nel modo sbagliato. Anche raccontare una favola può essere un’impresa estenuante se ci si deve fronteggiare con una femminista per cui parlare di una povera ragazza, bella e buona, vuol dire stigmatizzare il ruolo della donna. E poi vogliamo parlare delle influenze passatiste della nostra società riscontrabili nella ormai antiquata formula “C’era una volta…”?
La comicità dell’essere umano
Bene ridere degli altri, ma Marco Rossari mostra con Tiziano Scarpa e Charles Bukowski quanto sia importante saper essere autoironici. A prendere la vita troppo sul serio, ci si avvelena: tema che si accompagna molto bene alla satira della seconda sezione. L’umorismo sa essere un mezzo molto tagliente nei confronti di una società apparentemente aperta ad ogni novità o diversità, ma profondamente radicata nelle sue convinzioni. Un lupo retrograda vestito da pecora accogliente.
Vorrei risparmiare questo articolo dalla banale visione della risata come unica via d’uscita in un mondo che fa di tutto per diventare il palcoscenico di una tragedia. Io appartengo alla generazione di chi è cresciuto a cattive notizie di telegiornale e black humor, per cui la cronaca nera diventava l’argomento delle battute da fare nel proprio gruppo di amici. Questo non sottrae importanza alle catastrofi, ma le demistifica. La risata ha un potere desacralizzante e inattaccabile. Per cui prendersi una pausa per leggere il libro di Rossari, anche come spunto per le proprie personali tragedie umoristiche, non sottrae nulla alla figura da intellettuali che vorremmo molto spesso dipingerci addosso, anzi, chi ride della vita, ma soprattutto di sé è per l’Ippocrate della storiella di Rossari.
«il saggio tra i saggi, il solo capace di render savi gli uomini.» – “Racconti da ridere” di Marco Rossari
Marco Rossari
Marco Rossari è uno scrittore e traduttore, ma soprattutto un italiano che è in grado di non prendersi troppo sul serio. In un’intervista per Rai Scuola, proprio a proposito dell’uscita del volume “Racconti da ridere”, Rossari spiega che gli scrittori italiani hanno la tendenza a parlare delle proprie opere “di profilo” per suggerire autorevolezza, tendono a prendersi troppo sul serio, temendo la trivialità dell’umorismo, mentre è, suggerisce Rossari, una cosa altissima, una scuola di pensiero. All’inizio della suddetta intervista, viene citato anche Woody Allen, il quale diceva che per rilassarsi scriveva una tragedia, mentre la commedia ha meccanismi molto più complessi da seguire. E così che nasce l’idea di questa antologia della risata: una panoramica.
«personale e selettiva sui grandi classici e sulle perle minori della letteratura» – Marco Rossari
Autore: Fabiana Russo