
Ci sono canzoni che resistono al tempo, incuranti delle mode del momento. È il caso di “Losing My Religion” dei R.E.M., un pezzo simbolo degli anni ‘90, che sa emozionare anche chi non era ancora nato in quegli anni. Pubblicato nel febbraio 1991, è contenuto in “Out of Time”, settimo album della band formatasi nella cittadina di Athens in Georgia nel 1980. Il brano ha determinato la consacrazione commerciale del gruppo, trasformandolo da una rock band famosa a un fenomeno universale. Alla fine degli anni ’80, infatti i R.E.M. sono in una fase di stallo: troppo commerciali per i vecchi fan, ma non così tanto da sfondare nel mainstream musicale. Dopo l’uscita dell’album niente sarà più come prima. La band dovrà addirittura giustificarsi del successo ottenuto.
“Losing My Religion” dei R.E.M. Un successo nato da un mandolino
Come capita spesso ai più grandi successi, la canzone nasce per caso. Alla fine degli anni ’80, dopo un lunghissimo tour, il chitarrista Peter Buck cerca di “disintossicarsi” da 11 mesi di chitarra elettrica, con uno strumento comprato qualche anno prima: un mandolino. Lo prende, si siede sul divano davanti alla televisione e inizia a strimpellare, incidendo quei suoni disordinati su una cassetta.
«Il giorno dopo ho ascoltato la registrazione. C’ero io che tentavo di imparare a suonare il mandolino, poi quello che è diventato Losing My Religion e infine ancora io che tentavo di imparare a suonare il mandolino.» – Peter Buck
Buck condivide la sua sessione di prova con gli altri componenti del gruppo, che si dimostrano molto entusiasti. Da lì a poche settimane, si danno appuntamento in studio ad Athens e registrano il brano con il nome di “Sugar Cane”. Qualche mese dopo, la canzone viene registrata nella sua veste definitiva a New York e poi eseguita dal vivo alla fine del 1990, al 40 Watt Club di Athens. Nel frattempo, era stata ribattezzata “Losing My Religion”.
La fase di registrazione è abbastanza impegnativa. Buck non vuole separarsi dal suo nuovo strumento, quindi per incidere la chitarra viene chiamato un sostituto, Peter Holsapple, una vecchia conoscenza che aveva collaborato con i R.E.M. in alcune date dal vivo. Il bassista Mike Mills e il batterista Bill Berry cercano di adattarsi ad una musica così insolita e ricercano un ritmo energico e semplice, ma non noioso. A registrazione conclusa, Buck non è ancora soddisfatto: pensa che al brano manchi qualcosa. Convince la band ad aggiungere gli archi dell’Atlanta Symphony Orchestra, per trasmettere più pathos e tensione. A questo punto entra in scena Michael Stipe, che ha voluto prima ascoltare la musica composta dai suoi compagni per lasciarsi suggestionare nella stesura del testo.
Il significato di “Losing My Religion”. Perchè il titolo dà false aspettative?
Probabilmente il titolo della canzone è uno dei più fuorvianti della musica. Infatti, “Losing My Religion” non parla di fede, non tratta tematiche religiose, nonostante Stipe provenisse da una famiglia di ministri metodisti e fosse molto incuriosito dal buddismo. In molti si sono chiesti quale sia il vero significato del brano. È una canzona romantica o di protesta? Mistica o sensuale? La risposta arriva dallo stesso cantante, durante un’intervista al New York Times del 1991. Il testo non è incentrato su una persona che perde la fede. Non è nemmeno un pezzo autobiografico e, sempre a detta di Michael, è ispirato a “Every Breath You Take” dei The Police.
«Per me è un brano pop che affronta il tema dell’ossessione, più o meno come succede in “Every Breath You Take”. Credo che le canzoni migliori siano quelle che possono ascoltare tutti, identificandosi nel testo senza grandi sforzi.» – Micheal Stipe
Il titolo riprende semplicemente un modo di dire usato nella zona meridionale degli Stati Uniti e significa “perdere la pazienza” o “perdere la ragione”. Il testo è strano, non risulta per niente chiaro a un primo ascolto. Complici anche la presenza di parole ingombranti come religion, le continue incertezze del protagonista e i contorti incastri dei verbi (I think I thought I saw you try). Sembra il vaneggiamento di chi non sa come gestire la situazione, trasmettendo una sensazione di pura ansia.
Ma anche se “Losing My Religion” dei R.E.M non parla di religione in senso stretto, si avvicina molto a qualcosa di mistico parlando di devozione e tormento interiore. Forse il tema è l’amore, anche se la parola love non compare mai nel testo, come del resto solo i R.E.M. sanno fare. La sofferenza del protagonista del pezzo può essere interpretata come un amore finito, una delusione, una fiducia riposta nella persona sbagliata, un sogno spezzato o una speranza irrealizzata. Ma indipendentemente dalla causa della sofferenza, si capisce che man mano che il testo va avanti, il protagonista è sempre più stanco, privo di forza per reagire. Si sente all’angolo, intrappolato e sul punto di perdere la ragione.
«Volevo rappresentare la situazione di chi non sa nemmeno se la persona che cerca di raggiungere sia consapevole del suo tentativo, o addirittura sia consapevole della sua esistenza.» – Michael Stipe
Ma qui, le spiegazioni di Micheal si bloccano. Forse ha detto troppo, come recita nella canzone (Oh no, I’ve said too much…).
Il miglior video del 1991
Al successo di “Losing My Religion” dei R.E.M contribuisce anche il suggestivo video, nonostante la presenza di tanti riferimenti pseudo religiosi che alimentano la confusione sul vero significato del pezzo. Diretto dal regista indiano Tarsem Singh, è ispirato, secondo un’idea di Stipe, al racconto “Un signore molto vecchio con delle ali enormi” di Gabriel García Márquez. La storia del libro narra di un angelo caduto dal cielo e mostrato nei circhi per profitto. Il videoclip è il primo in cui il gruppo utilizza il playback. Il protagonista assoluto è il cantante – l’unico componente della band a prestarsi per questo genere di performance – mentre gli altri tre fanno delle fugaci apparizioni sullo sfondo.
Stipe pensa ad un video semplice, sul modello di “Nothing Compares to You di Sinead O’ Connor”, praticamente una semplice esecuzione del brano. Il regista invece propende per una realizzazione in stile indiano, dove tutto deve essere “melodrammatico e ironicamente sognante”. Il compromesso è che il video viene girato in una stanza vuota con una finestra che dà sull’aperta campagna, con Michael in primo piano che canta. Le riprese inizialmente non funzionano. Così, mentre il regista si allontana in preda allo sconforto, Stipe chiese di poter improvvisare delle mosse di danza. E tutto come per magia comincia a ingranare.
Grazie anche all’introduzione di immagini spirituali, ai rimandi su Caravaggio, ai riferimenti al cinema russo sperimentalista di Tarkovskij e alla leggenda di Icaro, il video vince ben 6 Music Awards, fra cui il premio come Miglior Video dell’anno. Nonostante questi riconoscimenti, in un paese cattolico come l’Irlanda l’opera viene censurata per alcune immagini che rimandano con la mente alla crocifissione di Cristo. Comunque, 30 anni dopo, il video ha superato gli 800 milioni di visualizzazioni e resta una tappa fondamentale nella storia del rock.
Un singolo pescato a caso
“Losing My Religion” dei R.E.M. anticipa di qualche settimana l’uscita del settimo album della band. L’idea di sceglierla come primo singolo è molto discussa e controversa. La casa discografica non lo ritiene un brano adatto per le rotation delle radio. Effettivamente il pezzo è lungo più di 5 minuti, senza cori e con un mandolino come strumento principale, assolutamente non adatto ad una canzone rock. Sfida tutte le regole della commercializzazione. Ma una volta lanciato, ottiene subito il favore delle radio americane e vende oltre 4 milioni di copie. È buffo pensare come, con un singolo scelto per caso, i R.E.M. ottengono il loro più importante successo di sempre.
«I balzi netti nella nostra carriera sono stati rari, perché ci siamo evoluti gradualmente. Ma se dovessi nominare una canzone che ci ha cambiato la vita, sarebbe senza dubbio Losing My Religion» – Mike Mills