Marceline Desbordes, in nozze Valmore. Une pauvre fleur

Marceline Desbordes
“Marceline Desbordes-Valmore” di Ledru Hilaire

Il 20 giugno 1786 nasceva a Douai – una cittadina del nord della Francia – quella che Charles Bauldelaire definì «donna, sempre donna e nient’altro che donna; ma ebbe un grado straordinario di espressione poetica intrisa di tutte le bellezze naturali della donna». Si tratta di Marceline Desbordes, in nozze Valmore. Questo nome, ignoto ai più, era assai caro ai poeti maledetti. Considerata da questi ultimi un maestro e un emblema di vera poesia.

«Proclamiamo ad alta e intelligibile voce che Marceline Desbordes-Valmore è senz’altro la sola donna di genio e di talento di questo secolo e di tutti i secoli» – Paul Verlaine.

«Marceline ha pertanto conservato il ricordo di un cuore che sente pienamente riecheggiare, lei e le sue parole, lei e le sue poesie, giacché siamo dello stesso paese, Signora, del paese delle lacrime e della miseria.» – Honoré de Balzac

«Mai alcun poeta fu più naturale… mai alcuno fu meno artificiale» –  Baudelaire

Marceline Desbordes Valmore. L’oblio di una vita difficile 

Perché è stata dimenticata? Perché era una donna in un tempo in cui la penna era un attrezzo ancora prioritariamente maschile?

«So bene che le donne non dovrebbero scrivere; ciononostante, io scrivo.» – Marceline Desbordes-Valmore

È riportato tra le sue pagine. Scrittrici probabilmente meno pregevoli sono state ricordate dalla storia, mentre Marceline Desbordes risulta quasi solo un nome nell’elenco dei “Poeti maledetti” di Verlaine.

Al di là degli elogi di grandi scrittori, ebbe una vita sacrificata e movimentata. Con la Rivoluzione la sua famiglia cadde in rovina. Fu costretta a lavorare, e intraprese così la carriera di attrice. I primi soldi racimolati li usò per partire per la Guadalupa con l’anziana madre. In questo nuovo paese, la madre si ammalò di febbre gialla e Marceline, rimasta sola, provò per diverso tempo a ritornare in patria. Il rimpatrio fu turbolento, tempeste e abusi all’ordine del giorno. Già questo basterebbe ad elevarla rispetto alle dame da salotto che fuggivano la noia con la scrittura, ma anche di tanti uomini di lettere che hanno scritto di vite unicamente immaginate. Marceline Desbordes non fu una donna dalla fine istruzione, ha attinto i propri versi principalmente dalla sua interiorità. Tanto è bastato a Verlaine per innalzarla al livello di Saffo e di Santa Teresa d’Avila. Non è stato abbastanza per i posteri?

Gli amori di Marceline Desbordes

Nel 1817 sposò Prosper Lanchantin, detto Valmore. Ebbe un amante, Henri de Latouche, un  poeta e romanziere francese noto per la sua pubblicazione di André Chènier e il rapido incoraggiamento di George Sand – altra autrice francese, contemporanea della Desbordes, indubbiamente più conosciuta -. De Latouche è stato oggetto di poesie passionali sotto lo pseudonimo di Oliver. Una delle sue poesie più note ed affascinanti, di seguito.

«Stamattina volevo portarti delle rose

ma ne ho messe così tante nel mio corsetto

che i lacci troppo stretti non hanno potuto trattenerle.

 

I nastri sono saltati. Le rose sono volate via

nel vento, e sono giunte tutte al mare.

Hanno seguito la corrente per non ritornare più;

 

l’onda appariva rossa, come se fosse in fiamme.

Stasera il mio vestito ne conserva ancora il profumo…

Respirane su di me l’odoroso ricordo.»

– “Le rose di Saadi” di Marceline Desbordes

Tra le altre, probabilmente dedicate all’amante. Tra matrimonio e svariate relazioni ebbe cinque figli, di cui quattro morirono e, il solo superstite, Hippolyte, le fu così legato da non sposarsi mai.

Dal 1825 abbandonò le scene teatrali per dedicarsi unicamente alla scrittura. Fino al 1859 (anno della sua morte) ha composto più di 25.000 versi, pagine in prosa, e circa 3.000 lettere in uno stile, definito, non tradizionale. Anzi, tutt’altro che convenzionale, a Marceline Desbordes si deve il primo utilizzo delle corrispondences, per cui Baudelaire è ricordato come unico referente.

Un’autrice non convenzionale

Tra i tanti meriti riconosciutile, Verlaine le attribuisce il più bel verso mai scritto:

«Seminai la mia gioia in cima ad una canna»

Ripensando alla vita di questa scrittrice, risulta un verso emblematico. Una vita difficile, la cui felicità poteva essere così facilmente in bilico come sulla punta flessibile di una canna che oscilla con l’andamento del vento, delle intemperie, ma anche così difficile a spezzarsi proprio grazie alla sua agilità. C’è invece chi vuole vedere in questo verso una tendenza di Marceline all’autodemolizione della propria felicità. Avrebbe voluto, in realtà, intendere che la sua felicità era stata volutamente posta in un punto in cui potesse vacillare, proprio per l’incapacità dell’autrice ad essere felice. Come in questo caso, un gioco di prospettive permette di interpretare la sua poesia, concentrata principalmente sugli inetti della società, come riflettore sulla miseria umana, o come faro di speranza anche nella povertà.

Al di là delle elucubrazioni mentali di chi, come me, vorrebbe tanto poter capire il cuore di una donna di tale sensibilità, non si può che dire che Marceline Desbordes-Valmore fu una donna libera. Si è fatta strada da sola nelle difficoltà economiche, si è concessa il lusso di amare più di una persona con grande intensità, è sopravvissuta a tutti i lutti disseminatisi sulla sua strada.

«Librati, anima mia, su questa folla ignara,
libero uccello immergiti nel cielo spalancato.
Va a vedere! E torna dopo avere toccato
Il sogno… il mio bel sogno che questa terra ignora.

Quanto a me, sia silenzio, ne va della mia vita.
Mi chiudo dove nulla, più nulla mi ha seguita.
E dal mio nido stretto, che tace il suo lamento,
di fianco alla mia sorte fluire il mondo sento,

quel secolo che fugge ruggendo a queste porte
e via con sé trascina, simili ad alghe morte,
nomi cruenti e voti e vani giuramenti
e puri fiori in treccia con nomi dolci e ardenti. »

– “Il nido solitario” di Marceline Desbordes

Giunti a questo punto sommario, richiediamoci perché l’abbiamo dimenticata. Baudelaire, nel commentare un necrologio in cui si parlava dell’oblio in cui era caduta la Desbordes, scrisse:

«Vi prego, dimenticata da chi? Da chi non sa e da chi non ricorda».

A quale delle due categorie possiamo dire di appartenere?

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