
Lo scrittore Ahmet Altan è in carcere dal 10 settembre 2016, catturato durante il fallito golpe in Turchia contro Reecep Tayyip Erdogan. Insieme allo scrittore, è stato recluso anche il fratello giornalista e altre 120 persone appartenenti al mondo dei media e dell’informazione, per imbavagliare e controllare la stampa e di conseguenza l’opinione pubblica.
Ahmet Altan: Non rivedrò più il mondo
L’accusa è stato il supposto tentativo da parte dello scrittore di lanciare un messaggio subliminale durante lo svolgersi di un programma televisivo. Intanto Ahmet Altan dalla carcere ha dato alle stampe un libro dal significativo titolo: “Non rivedrò più il mondo“.
«Loro avranno anche il potere di mettermi in carcere, ma nessuno ha il potere di tenermi in carcere. Sono uno scrittore. […] Dovunque mi rinchiudiate, io viaggerò per il mondo sulle ali infinite della mia mente. Inoltre ho amici in tutto il mondo che mi aiutano a viaggiare: la maggior parte non li ho mai incontrati. Ogni occhio che legge quello che ho scritto, ogni voce che ripete il mio nome, mi tiene la mano come una piccola nuvola e mi fa volare sulle pianure, le sorgenti, le foreste, i mari, le città e le loro strade. Viaggio per tutto il mondo da una cella in carcere.»
Nonostante sia caduta l’imputazione di “violazione della Costituzione” secondo la Corte Suprema della Turchia, lo scrittore resta in carcere insieme al fratello giornalista Mehmet Altan e la collega Nazil Ilicak. È quindi in attesa del nuovo processo, stavolta per presunto sostegno all’organizzazione “Feto” di Gulen, considerato la mente del fallito golpe del 15 luglio 2016.
Il caso di Ahmet Altan rimette in discussione la libertà d’espressione in Paesi dove dominano regimi autoritari. Si può ricordare un caso simile con Lu Xiaobo, il dissidente cinese Nobel per la Pace 2010, la cui sedia rimase vuota alla premiazione ufficiale poiché era in carcere e purtroppo non fu mai liberato. Sorte simile spettò a Salman Rushdie, il famoso scrittore indiano naturalizzato inglese sul quale pendeva una “fatwa”. La condanna a morte in quela caso fu per blasfemia, per aver diffamato Maometto da parte di Khomeini per i “Versetti Satanici” pubblicati nel 1988.
Luglio 2016. Il tentato golpe di Gulen ai danni di Erdogan
Si sta ancora indagando sul tentato golpe della notte tra il 15 e il 16 luglio 2016. Erdogan accusa il suo acerrimo nemico Fethullah Gulen, che da anni fa una vita ritirata a New York. Mentre lo stesso Gulen afferma che l’autore potrebbe essere stato lo stesso Erdogan, per rafforzare il suo potere respingendo le accuse che lo indicano come responsabile, giacché vive lontano dalla Turchia da 30 anni. Quello del luglio 2016 è stato un golpe più organizzato di quanto si pensi. I golpisti erano quasi riusciti a prendere il controllo delle telecomunicazioni e ad abbattere l’aereo dove si trovava Erdogan. Ma il Primo Ministro e poi lo stesso Erdogan riuscirono a comunicare con la popolazione.
Ad avviare il colpo di Stato sarebbe stato il generale Mehmet Dişli. Ordinò ai carri armati di occupare le vie di comunicazione principali, i ponti e le reti televisive e arrestare i comandanti dell’esercito. Altri attacchi si verificarono contro le sedi di polizia e intelligence e si stavano preparando contro il Parlamento. Eppure i golpisti non riuscirono a catturare Erdogan, che in quel momento era in vacanza con la famiglia. A fermare le operazioni furono i comizi del Presidente e del Ministro dell’Interno che incitarono le piazze alla ribellione. All’iniziativa militare mancava un’alternativa politica e la totale adesione dell’esercito, due fattori fondamentali per operazioni di questo genere. Così alla fine repressione di Erdogan si è mostrata con circa 290 morti, 1440 feriti, 2893 golpisti arrestati, 2745 giudici rimossi e circa 9.000 cittadini turchi detenuti.