Gerusalemme: la città santa macchiata dal sangue

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Centro nevralgico del mondo, visto come luogo d’attrazione delle tre religioni monoteiste, ebraismo, cattolicesimo, islamismo, Gerusalemme è localizzata su una collina lontana dal mare, da quasi 70 anni area calda di un conflitto mai sopito tra palestinesi ed israeliani e riesploso con prepotenza in occasione dell’inaugurazione dell’ambasciata americana sul suo suolo.

La cerimonia è stata solo un’appendice alla giornata di sangue del 14, con la morte di 62 palestinesi, 2771 feriti, di cui 27 in gravi condizioni, e 6 minori tra i deceduti. Molti innocenti sono stati uccisi a Gaza ed in Cisgiordania in particolare a Betlemme ed Hebron. L’esercito israeliano sostiene di aver sventato un attentato a Rafah nel sud dell’enclave e di essersi misurato con 35000 dimostranti violenti. Le autorità di Gaza hanno chiesto all’Egitto aiuti medici immediati e la possibilità di trasferire quelli più gravi. Gli ospedali di Gaza hanno lanciato numerosi appelli alla popolazione affinché si andasse a donare il sangue. Amnesty International sostiene che tra i quasi 2400 feriti molti sono stati colpiti alla testa e al petto e denuncia “una ripugnante” violazione dei diritti.

Gerusalemme: inaugurazione dell’ambasciata statunitense

L’inaugurazione dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme è avvenuta lo scorso 14 maggio in concomitanza dei festeggiamenti d’Israele per i settanta anni dalla nascita dello Stato d’Israele. Alla cerimonia hanno partecipato Ivanka Trump e Jared Kushner, l’ambasciatore David Friedman, presenti inoltre il segretario di Stato Usa John Sullivan e il segretario al tesoro Steven Mnuchin. In prima fila anche il premier israeliano Benyamin Netanyahu che ha ringraziato gli Usa per aver mantenuto la loro parola, riconoscendo Gerusalemme capitale d’Israele. Assente il presidente Trump che su Twitter ha lanciato un messaggio, riconoscendo il 14 maggio come un grande giorno, dichiarando di fatto, nel video lanciato per la cerimonia, che la capitale dello Stato d’Israele è Gerusalemme. Il grande vincitore è senza dubbio Israele. Ha visto di fatto riconoscersi dalla più grande potenza del mondo la città contesa come capitale del suo Stato.

La comunità internazionale ha reagito con sdegno alle sanguinose immagini degli scontri. In prima battuta il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres è apparso molto preoccupato per la situazione sul territorio isrealo- palestinese. Il presidente palestinese Abu Mazen ha dichiarato che a Gerusalemme non è stata aperta un’ambasciata, ma un avamposto americano, e che la nazione a stelle e strisce non rappresenta più un mediatore in Medio Oriente. Ha proclamato tre giorni di lutto ed ha annunciato lo sciopero generale. La Turchia ha affermato che la Palestina non è sola, e che la giustizia e la verità prevarranno. Erdogan ha dichiarato che Israele è uno Stato terrorista che sta compiendo un genocidio. L’ambasciatore israeliano in Turchia Eitan Naeh è stato convocato al ministero degli affari esteri turco ad Ankara e gli ha chiesto di lasciare il paese “a causa dei morti a Gaza”.

Proclamati tre giorni di lutto nazionale

Forte condanna nei confronti d’Israele anche dai rivali in Egitto, che mediante un comunicato ha espresso appoggio totale ai diritti legittimi del popolo palestinese, in cima ai quali vi è la creazione di uno Stato indipendente con capitale Gerusalemme Est. L’Iran, nella persona del ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif, ha affermato che Israele massacra a sangue freddo innumerevoli palestinesi, che manifestano nella più grande prigione a cielo aperto del mondo. Forte condanna anche dal nemico storico egiziano. Il primo ministro libanese Saad Hariri ha dichiarato che l’inaugurazione dell’ambasciata a Gerusalemme è paragonabile alla catastrofe del 1948 in seguito alla proclamazione dello Stato d’Israele e la fuga di 700.000 profughi palestinesi. Anche l’Europa in particolare Francia ed Inghilterra hanno condannato gli episodi di violenza accaduti il 14 maggio.

Il bagno di sangue e i 55 morti degli ultimi scontri sembrano solo l’inizio di un conflitto che porterà strascichi dirompenti per i prossimi mesi, e segnerà il sottile equilibrio in Medio Oriente, messo già a dura prova dal conflitto siriano.

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