
Il calcio può essere arte? Se c’è Diego Armando Maradona, sì
Cos’è l’arte? Be’, non c’è sintagma che abbia una definizione più ampia e complessa per connotazione e significato. Possiamo definire l’arte come attività umana produttrice di simboli, arti figurative, messaggi, costruzioni concrete e astratte volte ad indicare una realtà, uno stato d’animo, un sentimento o un’aspirazione, che susciti un impatto emotivo e culturale sulle persone e in molti casi nella storia umana. Ebbene, Diego Armando Maradona è stato espressione artistica ed emblema incontrovertibile del Calcio.
Mercoledì 25 novembre 2020, arriva dall’Argentina una notizia che riesce a bloccare in un’estatica commozione un mondo cristallizzato nell’emergenza Covid-19: Diego Armando Maradona, il più grande calciatore della storia, è morto per arresto cardiaco. Il mondo piange un uomo che con il suo genio creativo ha rimodulato la concezione del Calcio e ha lasciato un’orma indelebile nella storia del Novecento.
La vita di Diego corrobora in sé tutti i tòpoi dell’ascesa e della lenta ma gloriosa fine dell’eroe mitologico. El Pibe de oro nasce il 30 ottobre 1960 a Lanus, quinto di otto figli, cresce in povertà nella città di Villa Fiorito, coltivando due sogni: giocare un Mondiale di calcio e vincerlo. La volontà di riscatto e l’enorme talento saranno la malta in grado di costruire un ponte tra il sogno e il mito.
Il sogno di Pasolini e la rappresentazione della bellezza calcistica di Diego Armando Maradona
Intellettuali e artisti hanno speso parole e commenti sul gioco del calcio. A suggellare il connubio tra calcio e poesia ci pensò Pier Paolo Pasolini, grande appassionato di pallone che affermò:
«Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici, si tratta dei momenti del gol. Ogni gol è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni gol è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la poetica. Il dribbling è di per sé poetico,anche se non sempre come l’azione del gol. Il sogno di ogni giocatore condiviso da ogni spettatore è partire da metà campo, dribblare tutti e segnare. Se, entro i limiti consentiti, si può immaginare nel calcio una cosa sublime, è proprio questo. Ma non succede mai, è un sogno.»
Undici anni dopo la morte di Pasolini, Diego trasformò la lirica calcistica in tangibile affresco, esattamente il 22 giugno 1986, nel corso dei quarti di finale del Mondiale, tra Argentina ed Inghilterra. El Diez raccolse la palla a centrocampo, percorse 60 metri con la sfera sempre attaccata al piede, scartò 6 giocatori inglesi e il portiere depositando il pallone in rete. La vittoria della nazionale Argentina nel mondiale 1986 consacrò Maradona come genio calcistico, eroe e condottiero contemporaneo.
Diego e l’era napoletana: tra scudetti e rivoluzione
Il 5 luglio 1984, Maradona viene presentato allo stadio San Paolo. Il Napoli riuscì ad accaparrarsi l’asso argentino per 13 miliardi di lire dal Barcellona. Ottantamila tifosi salutarono el Pibe, firmando un contratto di amore eterno e incondizionato. Nei sette anni sotto le pendici del Vesuvio (1984-1991), Maradona realizzò l’impossibile. Il Napoli conquistò due scudetti, una coppa Italia, una supercoppa italiana e una coppa Uefa, mai prima dell’arrivo di Diego, né trent’anni dopo la sua dipartita, il capoluogo campano raggiungerà il traguardo di uno scudetto. Il Napoli scelse Diego, si dirà, ma in realtà fu Maradona a scegliere Napoli.
El Pibe guardò al popolo partenopeo con gli occhi di uomo in grado di immedesimarsi perfettamente in quel tessuto culturale ricco di contraddizione, così simile a Buenos Aires, così come egli stesso affermò in una delle sue primissime interviste.
«Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires»
Il calciatore si fece uomo e portatore sano di riscatto sociale, primo a voler plasmare un’idea di Napoli come città da rispettare così come popolo partenopeo. Fu così che, nonostante i ripetuti assalti di blasonate società, come Milan e Juventus, Maradona decise di restare a Napoli e diventare simbolo della rivalsa ed espressione artistica di un’intera città.
Diego Armando Maradona, leader del popolo e portavoce degli ideali comunisti
Diego, quindi, è andato oltre la definizione ontologica di genio del calcio, mostrandosi come uomo del popolo e personaggio politico. Nel corso della sua vita, Maradona ha rappresentato il punto d’incontro tra la lotta proletaria e l’opulente ascesa al successo. Quel successo rese possibile al Pibe di conoscere i grandi leader politici della sinistra come Chavez, Castro e Maduro, trasformando il calciatore in ambasciatore degli ideali del popolo, degli ultimi, di coloro che non hanno voce. El Diez desiderava che gli occhi dei grandi della terra puntassero a salvaguardare i diritti, spesso dimenticati, delle classi sociali meno abbienti.
Come il Pibe raccontò nella sua autobiografia “Io sono El Diego”, quando si recò a colloquio con Giovanni Paolo II chiese al pontefice di agire in maniera concreta per aiutare i bisognosi, donando cospicuamente i beni in possesso. La sola presenza di Maradona è stata la quintessenza della comunicazione assertiva degna di un uomo capace di dribblare i convenevoli e le gerarchie per veicolare il proprio messaggio. Il ragazzo, che dalla periferia di Villa Fiorito è arrivato sulla cima del mondo, non si piegò mai alle logiche legate alla fama, mai dimenticò le proprie origini e non abbandonò mai i poveri che lottano, attraversando con tenacia le difficoltà della vita.
«Così percossa, attonita la terra al nunzio sta»
La risonanza unanime del mondo alla morte di Diego Armando Maradona, ci ha mostrato quanto il calciatore fosse più di un idolo sportivo, ma un’icona immarcescibile, capace di smuovere la realtà dell’esistenza. Capi di governo, musicisti, personalità dello sport e della cultura, tifosi di ogni fede calcistica, padroni e servi, tutti hanno reso omaggio al giocatore che ha pennellato con il suo piede sinistro “la tela calcistica”, lasciandoci un lungo fremito nell’anima.