
In questi mesi di reclusione forzata a causa del coronavirus non ci si deve dimenticare di chi ha condiviso la quarantena con il proprio aguzzino. Se i casi di violenza domestica erano già un problema allarmante, in questo periodo di forte stress emotivo e mentale si sono raggiunti picchi inimmaginabili. Molte donne sono rimaste in trappola tra le quattro pareti di casa senza la possibilità di poter chiedere aiuto. Alcune fortunatamente sono riuscite ad appellarsi ai centri anti-violenza e le richieste d’aiuto sono aumentate del 74,5%, ma c’è anche chi non è riuscito a far ricorso alla rete anti-violenza sotto la minaccia dei compagni violenti.
Lo scorso marzo sono state uccise 11 donne dai loro compagni, 23 dall’inizio dell’anno. Nel periodo compreso tra il 2 marzo e il 5 aprile, i centri DIRE (Donne In Rete contro la violenza) hanno ricevuto 2.867 telefonate. Si contano nell’arco di un anno 19.715 donne che hanno chiesto aiuto, delle quali 15.456 non si erano mai rivolte prima a questo servizio. Eppure questi dati non riportano un quadro realmente preciso della situazione. Basta considerare che sempre meno donne sono riuscite a chiedere aiuto telefonicamente perchè troppo ben sorvegliate in casa.
Ma cosa si è provato a fare per prevenire il peggio?
Si pensa allora a una parola in codice da digitare all’occorrenza per ricevere un aiuto immediato ed evitare in questo modo di farsi notare dal compagno. Grazie ad un accordo tra le farmacie e i centri, se si richiede una “mascherina 1522” si riceve un volantino con i contatti d’emergenza, ma spesso questo dépliant può costituire un pericolo se visto dal partner violento.
Paola Sdao – che insieme a Sigrid Pisanu si occupa dell’annuale rilevazione statistica della rete DIRE – fa riflettere su come l’aumento delle telefonate da parte di donne (1200) che non avevano mai chiesto aiuto prima costituisca un dato importante su quanto questa reclusione forzata abbia acuito situazioni di violenza. I centri anti-violenza per fortuna sono ancora un valido punto di riferimento in questi casi e hanno fatto del loro meglio continuando la loro attività nonostante il lockdown.
Il Dipartimento per le Pari Opportunità ha stanziato dei fondi lo scorso anno, ma le Regioni ancora non si sono attivate. Il piano prevede di investire il capitale nella formazione e nell’inserimento lavorativo delle donne. Il decreto “Cura Italia” mette a disposizione tre milioni di euro, ma sono insufficienti per i centri. La Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese ai primi di marzo si era adoperata insieme alla Ministra per la Famiglia Elena Bonetti per richiedere un monitoraggio alle forze dell’ordine insieme all’apporto dei Prefetti per la ricerca di abitazioni sicure per le donne fuggite dalle grinfie di uomini violenti. Nel frattempo grazie all’applicazione per cellulare “YouPol” della Polizia, ci sono state nell’ultimo mese 117 segnalazioni di violenza domestica.
È stato fatto poco. La denuncia di Paola Di Nicola
La giudice del Tribunale di Roma Paola Di Nicola denuncia che ben poco è stato fatto. Secondo una ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche (C.N.R.) in 228 centri le richieste di soccorso sono calate del 50% e anche i contatti di donne già seguite sono calati del 40%, in drastico calo anche le denunce durante il lockdown (del 50% nelle Procure). Il problema è stata proprio la quarantena, le donne purtroppo non potendo uscire non sono riuscite a chiedere aiuto. La giudice si domanda perché non siano state reperite abitazioni sicure, inoltre chiede come mai l’Art. 384 bis sull’allontanamento dalle abitazioni dei persecutori non sia stato applicato con la dovuta efficacia. Forse in alcune parti del Paese si pensa ancora che il reato di femminicidio sia inevitabile, anche se invece si può agire tempestivamente. È aumentata inoltre la violenza sommersa.
Violenza domestica in tutto il Mondo per la quarantena da Covid
Si vuole istituire una chat del numero 1522, perché un messaggio è meno visibile e più efficace di una telefonata. Purtroppo non è solo un caso nazionale ma mondiale. Così il Segretario Generale dell’ONU Guterres ha posto la questione ai Paesi membri. I dati della United Nations Population Fund hanno ipotizzato l’aumento del 20% di violenza dall’inizio della pandemia nei Paesi membri dell’O.N.U. I ricercatori prevedono 15 milioni di casi ogni tre mesi di prolungamento del blocco, inoltre ipotizzano anche che circa 44 milioni di donne di 114 paesi non saranno in grado di reperire contraccettivi, per cui ci sarà un boom di circa 1 milione di gravidanze indesiderate. L’enorme entità del problema dovrebbe portare ad azioni subitanee per contenere la situazione.