Le ‘fake news’, un fenomeno in costante crescita

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Ci casca più della metà degli utenti in rete, e la percentuale scende di poco tra i laureati, ma aumenta tra i più giovani. Le categorie più colpite sono salute e politica. Stiamo parlando delle fake news.

«Confesso di non sentire per la libertà di stampa quell’amore completo e istantaneo che si prova per le cose sovranamente buone per natura. Io l’amo assai più in considerazione dei mali che essa impedisce che dei beni che produce.» – Alexis de Tocqueville da”La democrazia in America”

C’è qualcuno di voi che ha letto che bere acqua e limone ogni mattina aiuta a dimagrire? Vi è forse capitato di incontrare persone ancora convinte che Renzi non sia stato eletto? O che Assange sia stato accusato di stupro? Qualcuno si ricorda di Luciana Boldrini o di Renato di Maio? Erano tutte bufale. Le fake news che nell’ultimo periodo stanno impegnando considerevolmente il dibattito non solo nazionale, ma anche statunitense. Se ne discute nel Parlamento europeo e persino ai piani alti di multinazionali come Facebook, Google, Amazon.

L’uso che si fa delle fake news nella società

Storicamente l’utilizzo distorto dell’informazione è sempre stato un mezzo di controllo utilizzato innanzitutto da regnanti e governi, ma anche da capi religiosi, organizzazioni terroristiche e componenti antigovernative. Negli ultimi tempi però il fenomeno si è dilatato a dismisura a causa della diffusione di internet, che permette a chiunque di pubblicare qualsiasi tipo di informazione, commento o riflessione. Questo potrebbe essere uno straordinario veicolo di crescita culturale, dibattito politico e divulgazione scientifica. Ma c’è un altro alto dell medaglia: consigli medici dati da chi non ha mai varcato la soglia di una facoltà di medicina, opinioni di esperti confuse con quelle di semplici arroganti, credenze ai limiti della superstizione diffuse e avvalorate e fenomeni ancora più pericolosi.

Paul Horner era uno scrittore e comico americano che collaborava con un sito di fake news. Fu lui stesso a rivelare al “Washington Post” che inventarne gli permetteva di guadagnare fino a 10.000€ al giorno, e a dichiarare che si erano anche rivelate determinanti nelle ultime elezioni americane. Horner fu trovato morto nel suo letto pochi mesi dopo. Senza voler entrare nel merito della spinosa vicenda, si può trarre una chiara conclusione: inventare fake news è estremamente redditizio.

Le informazioni false sono create da società pensate proprio per queste preciso scopo. Vengono diffuse tramite i social usando titoli accattivanti e a caratteri cubitali, menzionando le personalità più in vista e sfruttando sentimenti come indignazione, solidarietà, curiosità o rabbia contro il “sistema”. Gli utenti raramente controllano le fonti e, sdegnati, le condividono rendendole virali. Più persone cliccano sul link, più inserzionisti saranno disposti a pagare. In assenza di contratti diretti con agenzie è Google Adsense ad inserire banner pubblicitari nel corpo del testo. Grandi profitti praticamente a costo zero.

Esiste un modo per rimediare?

Si stanno cercando rimedi da quando si è notato che le fake news possono influire sull’opinione pubblica tanto da poter anche condizionare il dibattito politico. Si sospetta che abbiano influenzato il referendum sulla Brexit, le elezioni di Obama, nonché quelle di Trump.

Ma un altro evento importante ha fatto tremare il mondo economico. Nella primavera del 2017 circa 250 multinazionali – della portata di Johnson&Johnson, Pepsi Cola, McDonalds, General Motors etc. -, hanno sospeso la loro collaborazione con YouTube quando, a seguito di un’inchiesta del “Times”, divenne noto che i loro marchi erano associati a video di istigazione all’odio – hate speech -, propagandistici dell’ISIS o addirittura pedopornografici. In questo modo è stato inflitto alla società controllata di Google un danno che si calcola intorno ai 750 milioni di dollari.

La pressione è alta e la necessità di adottare sistemi di monitoraggio appropriati risulta sempre più urgente. Ma non è così facile come sembra. I governi, infatti, non possono intervenire in maniera drastica, perché la libertà di stampa in un paese democratico è un valore assoluto e non può subire restrizioni senza rischiare di sfociare facilmente nella censura, senza superare il labile confine tra controllo e repressione del dissenso. Non è neanche possibile “delegare” quest’onere alle multinazionali, infatti conferirebbe loro ancora più potere, da esercitare a favore esclusivo del profitto, e il prezzo da pagare sarebbe una normativa il meno stringente possibile in materia di utilizzo dei dati personali degli utenti.

Al di là delle decisioni che potranno essere prese in merito, non bisogna dimenticarsi che le nostre idee sono la cosa più intima e preziosa che abbiamo. Un’attenta analisi al modo in cui si formano, un atteggiamento critico del loro sviluppo è una responsabilità di tutti.

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