
Un tempo era grande più di 15 chilometri quadrati ed esteso per più di 50 metri di profondità; ma Okjökull, un ghiacciaio islandese, ha avuto il destino di essere il primo ghiacciaio a sciogliersi da quando l’essere umano vive sulla terra.
La storia di Okjökull
«Ghiacciai, soli d’argento, madreperla dei flutti, cieli di brace!» – Arthur Rimbaud
Un ghiacciaio per essere definito tale deve avere un “equilibrio di massa” positivo, cioè la massa di ghiaccio accumulata durante l’inverno dev’essere superiore alla quantità di ghiaccio che si scioglie durante l’estate. Inoltre deve potersi muovere sul proprio peso. Ovviamente solo un ghiacciaio con queste caratteristiche può durare, perché quelli che perdono massa di anno in anno sono destinati, prima o poi, a sciogliersi completamente. Questi ultimi vengono chiamati ghiacci morti. E così era accaduto che Okjökul si era ridotto a un chilometro quadrato di estensione e 15 metri di profondità. Quello che era stato uno dei ghiacciai più grandi del mondo nel 2014 aveva perso il suo stato di ghiacciaio ed era stato ribattezzato semplicemente OK. Oggi sta scomparendo del tutto.
Alcuni ricercatori dell’Università Statunitense di Rice, il geologo Oddur Sigurdsson, insieme alla “Società dei camminatori islandesi” hanno deciso di commemorare Okjökull in una cerimonia simbolica dedicandogli una targa. Il 18 agosto 2019, infatti, verrà apposta a Borgarfjorur – un tanto incantevole quanto pericoloso fiordo sulla costa ovest islandese – quella che potrebbe sembrare proprio una sorta di lapide intitolata “Lettera al futuro”. La targa riporta in inglese e olandese le parole di uno degli scrittori più importanti d’Islanda Andri Snær Magnason.
«OK è il primo ghiacciaio islandese a perdere il suo status di ghiacciaio. Nei prossimi 200 anni tutti i nostri ghiacciai potrebbero seguire la stessa sorte. Questo monumento è la consapevolezza di cosa sta avvenendo e cosa deve essere fatto. Solo voi sapete se ci siamo riusciti.» – Lettera al futuro
L’addio al ghiacciaio più grande del mondo e la denuncia del pericolo
La lapide per Okjökull porta la data agosto 2019 e un’annotazione: 415 ppm CO2. L’annotazione indica il contributo di biossido di carbonio (in parti per milione) presente nell’atmosfera oggi, ma è anche un atto d’accusa ai governi di tutto il mondo, un tentativo per ridestare le coscienze. La speranza è che la politica internazionale si mobiliti per contrastare i cambiamenti climatici ed evitare così che l’ecosistema dell’intero pianeta venga alterato. I 400 ppm sono stati raggiunti a maggio 2019. È solo un limite simbolico, ma bisogna considerare che è il livello più alto mai raggiunto da molti milioni di anni. Sicuramente il più alto da quando gli esseri umani abitano la terra. Per celebrare la fine del ghiacciaio è stato anche girato un documentario intotolato “Not ok”.
Le grandi masse di ghiaccio che appartengono alle formazioni nevose rappresentano per i climatologi una sorta di termometro della temperatura media globale del nostro pianeta. Tra il 1550 e il 1850 il nostro pianeta ha attraversato quella che può essere definita la “piccola era glaciale” con temperature medie relativamente basse. Dal 1949 però l’aumento della temperatura del pianeta è resa evidente dall’aumento della quota delle nevi perenni. Tra gli effetti più immediati dello scioglimento dei ghiacciai c’è in primo luogo l’impossibilità di irrigare i campi nelle regioni che dipendono dal deflusso estivo dei ghiacciai. Non bisogna dimenticare inoltre che in alcuni posti, ad esempio sulle Alpi, il deflusso è utilizzato per produrre energia idroelettrica.
Ma le conseguenze più pericolose riguardano, senza ombra di dubbio, l’aumento del livello degli oceani e gli effetti sulla flora e sulla fauna. Si calcola che se si sciogliesse tutto il ghiaccio delle calotte polari, l’acqua degli oceani si innalzerebbe di 70 metri. Lo scioglimento dei ghiacciai mette a rischio molte specie di piante e di animali, la cui sopravvivenza o riproduzione dipende dalle acque che fuoriescono dai ghiacciai (ad esempio il salmone). Indirettamente il surriscaldamento globale nuoce a molte altre specie, come l’orso polare, il pinguino, la tartaruga verde e numerose specie di uccelli che rischiano l‘estinzione.