Se qualcuno sostiene che la musica sia Dio che sorride agli uomini, nel caso della sonata a Kreutzer Dio deve aver proprio deciso di ridersela. E anche tanto, e bene, nonostante sia la trama musicale sviluppata da Beethoven che la narrazione letteraria ideata da Tolstoj non siano di certo incentrate su temi poi così ilari.
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Due giganti dell’arte uniti nella bellezza di un solo mito
Dunque ciò che molti chiamano semplicemente “Kreutzer“, unisce musica e letteratura – Beethoven e Tolstoj – i due indiscussi giganti delle passioni espresse nell’arte universale. E di gigantesca passione riflettiamo, essendone circondati, sia ascoltando la sonata che leggendo il romanzo. Beethoven terminò quest’opera eccezionale nel 1803, e morì nel 1827. L’anno dopo nacque Tolstoj, che scrisse il suo romanzo (omonimo della sonata) nel 1889. Ma andiamo con ordine, e concentriamoci prima sul capolavoro musicale.
Tra il 1802 e il 1803 Beethoven stava componendo la Sinfonia n.3, l’Eroica, quando per una serie di motivazioni che cercheremo di scoprire insieme decise di scrivere un altro capolavoro, l’Opera 47 – sonata a Kreutzer, destinata a travalicare ogni limite della musica da camera fino ad allora conosciuta. Sul frontespizio del suo manoscritto il Maestro riportò:
Sonata per il pianoforte ed un violino obligato, scritta in uno stile molto concertante, quasi come d’un concerto.
E in effetti davvero si tratta di un dialogo ad armi pari tra pianoforte e violino, cosa di per sé rivoluzionaria a quei tempi: infatti allora il violino non era considerato lo strumento principe nelle sonate per pianoforte, come insegnano soprattutto le sonate che Mozart scrisse per questi strumenti.
Pianoforte e violino: sfida o amore?
Questa sonata, invece, stravolge le regole conosciute: considerata tra le sonate più difficili da eseguire di quelle di Beethoven (specialmente considerando la partitura del violino) essa dà pari dignità a entrambi gli strumenti e lo fa non solo creando un’opera corposa, ma finendo per rivelarsi ben più lunga dei parametri del tempo (circa 40 minuti di musica).
A causa delle proporzioni, la difficoltà non è solo tecnica, ma anche di tenuta globale. Si considerino i caratteri molto diversi che la compongono: un inizio lento e poi veloce, seguito da un tema e dalle sue variazioni, con una tarantella finale punteggiata da inserti di calma assoluta. Il rischio che diventasse qualcosa di frammentato o rapsodico era alto, tant’è vero che all’epoca non fu né capita né amata, ma il grande compositore riuscì a tenere tutti questi episodi sotto un’unica grande forma, dilatando le dimensioni usuali della forma-Sonata.
E Beethoven amplia la visuale un pò in tutto ciò che crea: le forme classiche mozartiane non possono più contenere i suoi bisogni, e gli strumenti stessi devono evolversi. Questa Sonata è l’esempio reale di quanto Beethoven volesse e potesse superare i limiti allora precostituiti, elemento che è del resto tema cardine dell’intera poetica beethoviana.
Un’attrazione magnetica, quindi, tra pianoforte e violino, che influenza anche il pubblico. A partire anche dal titolo, dalle sillabe dure, quasi rabbiose, fredde come lame che incupiscono la dolcezza della parola “sonata”, richiamata a indicarne il genere ma non il contenuto. La «torreggiante potenza» di questa sonata, per dirla come il celebre musicologo Walter Rietzler, ha contribuito a sancire la singolare fama di quest’opera. Ma non da sola: fin dalla sua genesi, la Kreutzer è legata ad un dramma intimo di amore e gelosia.
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La storia dietro la Kreutzer: Beethoven tra amore tradito e amicizia finita
Ci sono diverse versioni sui reali accadimenti che sottostanno alla stesura del brano. Per alcuni fu un pressante bisogno di Beethoven di esprimere la sua passione per la cognata, moglie del fratellastro cadetto Kaspar, donna libertina e astuta che seminò non pochi scandali in famiglia; altri invece inseriscono la pulsione creativa della Kreutzer nell’infelice innamoramento del Maestro per una delle sue allieve pianiste, che allora fu data in moglie ad un nobile più vecchio di lei di oltre 30 anni, lasciando talmente sgomento il nostro Ludwig da fargli interrompere la composizione dell’Eroica per creare questa perla. Ma la genesi più accreditata sembra invece rintracciabile nell‘amore di Beethoven per la donna che sarebbe poi stata sedotta proprio dal giovane violinista con cui egli stesso suonò questa Sonata la prima volta.
George Bridgewater, così si chiamava il suo accompagnatore musicale con cui spesso Beethoven deliziava le orecchie degli invitati dell’ambasciatore Bernadotte a Vienna. La Sonata fu da entrambi eseguita il 24 maggio 1803 nella sala concerti dell’Augarten, un elegante caffè del Prater. Bridgetower non aveva potuto studiare in anticipo le variazioni perché Beethoven le aveva terminate solo alla vigilia del concerto, e lesse la sua parte direttamente dal manoscritto. Nonostante ciò, durante l’esecuzione il violinista improvvisò persino due piccole cadenze virtuosistiche, cosa di cui Beethoven fu talmente felice che lo abbracciò. Quindi Bridgetower avrebbe più che meritato la dedica della Sonata.
L’intrigo d’amore di Julie Guicciardi e Ludwig van Beethoven
a nel 1805, quando l’Opera 47 fu pubblicata, il nome del dedicatario non era più quello di Bridgewater, ma quello dell’altrettanto celebre violinista francese Rodolphe Kreutzer, che Beethoven aveva conosciuto nel 1798 all’ambasciata francese d’Austria. Si trattava esattamente del notorio rivale diretto di Bridgewater, e la cosa risultò essere un ben riuscito smacco nei suoi confronti, colpevole nel frattempo di aver sottratto a Beethoven la donna amata: era Julie Guicciardi, un’italo-austriaco nella cui dimora Beethoven aveva eseguito la sonata facendosi accompagnare proprio da Bridgewater, che ne divenne presto l’amante nonostante fosse a conoscenza della passione dell’amico per la stessa donna. Le cronache narrano che Rodolphe Kreutzer, cui fu ri-dedicata l’opera, non solo si rifiutò di eseguirla ma la giudicò «scandalosamente incomprensibile» – definizione sulla quale, nel 1830, erano concordi quasi tutti i musicisti parigini (come riportò in seguito Berlioz). Ma Kreutzer non fu il solo a sdegnare questa sonata.
L’Allgemeine Musikalische Zeitung tacciò Beethoven di essere un «adepto del terrorismo artistico», e considerata anche la difficoltà tecnica del brano, quasi nessun violinista dell’epoca osò eseguirla in pubblico. Fu solo grazie a Tolstoj e al suo omonimo romanzo che la sonata a Kreutzer raggiunse la fama indiscussa che tutto il mondo oggi le riconosce.
Guida all’ascolto: tecnica, passione e leggi di Ludwig nell’Opera 47
Sul piano tecnico, il primo movimento dell’Opera 47 si apre con un’introduzione lenta che mette subito violino e pianoforte in contrapposizione, ciascuno con la propria pronunciata individualità. Il successivo Presto esaspera questa logica dialogante, grazie alla dialettica strumentale tipica della forma a sonata. I solisti possono liberare i rispettivi virtuosismi, grazie all’impronta drammatica del contenuto, così pressante in questa parte del brano, per poi stemperare la tensione nel successivo Andante, di impronta contemplativa, con quattro variazioni più una coda che rievocano una calibrata compostezza, se non anche un sottile manierismo. Il Finale vuol essere un contraltare alla netta tragicità del primo tempo: un moto perpetuo dal ritmo sostenuto, indice di una forza propulsiva dalle sfumature edonistiche e trascinanti, acutizzate dalle molte sospensioni prima della rapida conclusione.
Tracce e rivelazioni nelle “Lettere all’amata immortale”
Se Beethoven cercava una forma univoca per esprimere la passione che allora lo tormentava, di certo la Sonata a Kreutzer è diventata la sua migliore espressione musicale, capace di rievocare la passione in sé per sé. Del resto, proprio dalle tante lettere scritte di suo pugno sappiamo che il Maestro preferisse comporre piuttosto che scrivere, come annotò nei suoi diari nel novembre del 1820 «Io scrivo piuttosto 10000 note che una lettera dell’alfabeto», o ancora nel dicembre del 1826:
Spesso ho la risposta già pronta in testa, tuttavia quando poi voglio metterla per iscritto, il più delle volte butto via la penna, perché non sono in grado di scrivere quello che sento.
E nell’epistolario oggi noto a tutti come “Lettere all’amata immortale”, la bellezza poetica del genio di Bonn non è inferiore a quella delle sue composizioni musicali, raggiungendo note di struggente intensità:
[…] l’amore esige tutto e ben a ragione, così è di me per te, di te per me; dovunque io sia, tu sei con me […] non è una creazione del Cielo il nostro amore? – e, quel che più conta, altrettanto salda che il firmamento celeste? […]Il tuo amore ha fatto di me il più felice e il più infelice dei mortali.
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La sonata letteraria di Lev Tolstoj
A tale potenza espressiva molti si sono ispirati nei secoli a venire, ma chi ha dato vera risonanza mondiale alla Sonata, traghettandone il mito ben oltre l’ambiente dei musicofili, è stato Lev Tolstoj. Il suo romanzo breve (o racconto lungo) fu pubblicato circa 80 anni dopo la pubblicazione della Sonata, e apparve subito tanto geniale quanto drammatico, proprio come il brano musicale, grazie ad una prosa di ineguagliabile forza che sembra costringere il lettore a godere fino all’ultima pagina di un’architettura letteraria che tocca gli identici vertici di bellezza già raggiunti da Beethoven.
Due passeggeri si incontrano su un treno, e durante tutto il viaggio uno racconta all’altro come abbia deciso di uccidere sua moglie. Due passeggeri, quindi: come due sono gli strumenti che suonano la Sonata. Ma se l’incipit è sconvolgente, altrettanto lo è l’intreccio narrativo, misto al rigore ideologico di Tolstoj che non evita di tracciare una lunga invettiva contro la corruzione sessuale, passando dalla condanna del matrimonio come matrimonio ormai privo di ogni purezza evangelica alla critica della donna come pernicioso oggetto di lussuria.
Tolstoj affida quindi la narrazione ad un assassino, minato da evidenti nevrosi, e ad incalzare il racconto c’è un passeggero che condivide con lui la lunga notte in viaggio: un pianoforte ed un violino che dialogano, quindi, come nel dinamismo infuocato del primo movimento della Sonata. Ma non basta: l’uxoricida (Pozdnyšev) rievoca il Presto iniziale della sonata con i suoi stati d’animo esasperati, stigmatizzati nella celebre affermazione riportata nel racconto
La musica mi trasporta di colpo, istantaneamente, nello stato d’animo in cui si trovava colui che l’ha scritta … m’immedesimo spiritualmente con lui…ma perché lo faccio ? Non lo so…
Guida alla lettura: assonanze tra musica di Beethoven e letteratura di Tolstoj
Si noti che le assonanze volute da Tolstoj sono evidenti anche nella figura dello stesso Pozdnyšev, che a molti sembra ricalcare quella di Beethoven: è un ricco possidente in piena ascesa sociale, che per accelerare la propria carriera decide di prendere moglie, pur controllando che lei possa mai prendere qualunque sopravvento su di lui.
Beethoven, lo riportano i biografi, intendeva il matrimonio proprio come qualcosa di necessario alla completa espressione sociale di un uomo di successo, e soffrì tutta la vita per non essere riuscito a raggiungere anche quel traguardo. Dunque il Pozdnyšev di Tolstoj realizza un classico matrimonio borghese ottocentesco, completo di prole e di una bella casa. Ma i demoni della gelosia sopraggiungono a rompere l’idillio quando la moglie si dedica con eccessiva premura ad un ospite fisso della famiglia: un violinista con cui lei si esercita al pianoforte. Più della passione, a urtare l’amor proprio del protagonista sembra essere la mancanza di rispetto della consorte nei suoi riguardi, vissuta come un atto di totale ribellione e finanche di irriconoscenza. Proprio come Beethoven, del resto, aveva trattato non solo Bridgewater, ma tutte le sue molteplici innamorate che finirono comunque (tutte) per preferire altri uomini a lui.
Come accadde per la Sonata musicale, anche la Sonata letteraria fu accolta molto tiepidamente dal pubblico: i critici furono stizziti dagli argomenti trattati, così scandalosi e inusitati, se non scabrosi, e dovette intervenire lo zar Alessandro III per consentire che la stampa diffondesse l’opera. Ma il parallelismo più evidente tra l’opera di Beethoven e quella di Tolstoj sta nella narrazione di quest’ultimo: la moglie dell’uxoricida si abbandona al tradimento proprio suonando al pianoforte la Sonata a Kreutzer, accompagnata dal suo amante violinista. Il rivale in amore del protagonista, quindi, è proprio un violinista. Come Bridgewater lo era per Beethoven. Anche per questo l’intero fluire della narrazione è volutamente viscoso ed emotivamente turbinoso, proprio come l’Opera 47, che i biografi di Tolstoj sanno essere tra le opere più ascoltate dallo scrittore.
Tanto intensa era la predilezione di Tolstoj per questo brano, che nella primavera del 1888, dopo un’esecuzione dal vivo della Sonata in casa di amici, lo scrittore propose ai presenti di dare una forma artistica alle emozioni suscitate dalla sonata: e nacque così il romanzo in questione. L’uxoricida definisce la sonata «una cosa spaventosa»: dunque la sonata era una cosa spaventosa per lo stesso Tolstoj? Il romanzo continua, nelle parole di Pozdnyšev, sul treno:
Ricordo come lei aveva sorriso, debolmente malinconica e beata, asciugandosi il sudore dal viso accaldato quando io mi ero avvicinato al pianoforte. Già allora si sfuggivano entrambi con lo sguardo e solo a cena, mentre lui le versava dell’acqua, si erano guardati sorridendosi appena. In quel momento mi sovvenne con terrore quel loro sguardo che avevo colto e quel sorriso appena percettibile. “Sì è accaduto tutto”, mi diceva una voce.
L’ascesa spirituale del perdono in note e parole
Il risultato di questi suoi oscuri pensieri sfocia nel gesto fin dall’inizio preannunciato: l’assassinio della moglie, che avviene mentre nella mente dell’uomo si affollano ancora le note di quella “spaventosa” sonata.
E la riprova è costituita dall’utilizzo della parola «crescendo» nel descrivere gli istanti prima di affondare il coltello nella donna. La narrazione finisce per diventare un atto di penitenza, una disperata richiesta di perdono: quasi al termine del viaggio, dalle labbra stanche dell’uomo una sola parola chiude il racconto, la stessa con la quale si accomiata dal suo confessore che ha ascoltato la sua confessione per tutta la notte: «Perdonate».
Chissà se anche Beethoven avrebbe mai voluto o saputo pronunciare questa identica parola. E rivolto a chi? Alle sue donne, che lo tradirono e sdegnarono, oppure al suo amico traditore, ripagato con un’offesa che è diventata ormai leggenda? Questi sono gli slanci della passione, potenza universale parimenti cara sia all’autore tedesco sia a quello russo, che ben seppero suggellare il connubio tra musica e scrittura unendo i loro nomi nel fenomeno artistico che per sempre ricorderemo come tra i più eccelsi mai prodotti dalla storia dell’umanità. Con buona pace di Monsieur Kreutzer.
Beethoven Violin Sonata No. 9 "Kreutzer"
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