La storia dello “Stabat Mater” di Rossini. Da opera indesiderata ad acme del successo

Che cosa vuol dire “Stabat Mater”? Il significato

Diciamolo subito: Rossini non aveva alcuna intenzione di comporre uno “Stabat Mater”. Ma le cose andarono diversamente. Il titolo “Stabat Mater” si riferisce al primo verso dell’inno, “Stabat Mater dolorosa” che letteralmente significa “La madre stava addolorata”. Indica tecnicamente una precisa forma di sequenza musicale, tratta da una preghiera medievale così celebre che finora sono più di 400 i compositori che hanno voluto (o dovuto) dare prova della propria abilità cimentandosi in questa tipica creazione.

«Stabat Mater dolorósa iuxta crucem lacrimósa, dum pendébat Fílius»

Questo l’incipit delle più classiche delle messe da requiem. Le parole sono attribuite al beato Jacopone da Todi, che sembra abbia scritto la lunga preghiera in onore della Madonna nel XIII secolo. Maria, ai piedi della croce, piange la morte del figlio Gesù e 4 voci protagoniste scambiano accorati lamenti.

Gli stili dello “Stabat Mater” di Rossini

L’opera prevede l’esecuzione di dieci movimenti.

1. “Stabat Mater dolorosa” – introduzione, coro e solisti
2. “Cuius animam” – aria per tenore
3. “Quis est homo” – duetto per soprano e contralto
4. “Pro peccatis” – aria per basso
5. “Eia, Mater” – recitativo per basso e coro
6. “Sancta Mater” – quartetto e solisti
7. “Fac ut portem” – cavatina per contralto
8. “Inflammatus et accensus” – aria per soprano e coro
9. “Quando corpus” – quartetto e solisti
10. “Amen, in sempiterna” – finale e coro

Chi ha musicato lo Stabat Mater sulle parole di Jacopone da Tobi?

Per la sua obiettiva bellezza, l’opera fu introdotta nel messale romano fin dal 1474, ed era quindi naturale che artisti di ogni estrazione ne avrebbero poi voluto creare ciascuno una propria personale versione. Specialmente lo vollero i musicisti: tra questi anche Dvorak, Bellini, Boccherini, Vivaldi, Liszt, Haydn, Paisiello, Scarlatti, Salieri – che ne scrisse una per il proprio funerale – e Mozart – per cui rappresentò l’ultimo spartito scritto prima di morire -.

Tutti vollero cimentarsi, tranne Rossini. Ancora oggi gli esperti sostengono che il migliore “Stabat Mater” mai composto sia quello di Pergolesi, e così la pensava anche Rossini. Il suo iniziale rifiuto a comporre una personale versione dello Stabat, dicono, era dovuto proprio alla profonda ammirazione che Rossini nutriva nei riguardi di Pergolesi. Ma la storia, lo ribadiamo, volle andare diversamente.

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Rossini aveva deciso di non comporre più, e invece…

Nel 1829 Gioacchino Rossini era l’operista più celebre e acclamato al mondo, e proprio nel 1829 decise di cessare per sempre la sua attività. Non aveva neanche compiuto 38 anni e già tirava i remi in barca. Depressione? Delusione? Non lo sapremo mai, ma pensò comunque di impiegare il suo tempo a viaggiare, cercando di divertirsi per scacciare quella malinconia che da qualche tempo si impossessava gradualmente del suo animo geniale.

Così a febbraio del 1831 si calò nei festeggiamenti del Carnevale di Madrid, ospite del ricchissimo banchiere Alejandro Maria Aguado. Perfino la regina Maria Cristina lo trattò da suo pari, arrivando a organizzare in suo onore un concerto al Real Conservatorio di Madrid. A pranzo e a cena Rossini era spesso nel lussuoso palazzo di Don Manuel Fernandez Varela, gran protettore delle arti e investito dalla Corte del pregiato titolo di “Comisario General de Cruzada”.

Sarà per familiarità acquisita, o sarà per latente senso di dovuta gratitudine, che quando Don Manuel Varela chiede a Rossini di musicare uno “Stabat Mater” e di tornare così a comporre, il nostro Gioacchino non saprà dire di no. La sua decisione di non comporre mai più si infrange davanti alle insistenze e alle lusinghe del suo magnanimo e assai facoltoso ospite.

Lo “Stabat Mater” di Rossini. I successi di un requiem inatteso

In breve tempo Gioacchino trascrive in musica le prime 20 terzine del celebre testo di Jacopone, entrando nel Club di quanti ci avevano già provato. I suoi viaggi in Europa continuano ma, appena tornato nella sua dimora parigina, Rossini riprende la stesura dello “Stabat Mater”, che dovrà interrompersi per l’avanzamento della sua lombaggine. Che si trattasse di una forma psicosomatica di profonda crisi nervosa sembra ormai assodato, grazie ai diari prodotti dai suoi biografi.

Meno chiaro, invece, è il motivo per cui Rossini continuerà strenuamente a difendere il completamento del suo “Stabat Mater”. Impossibilitato a farlo di persona, il Maestro decide di lasciare che fosse Giuseppe Tadolini, suo vecchio compagno di studi, a terminare l’opera. La prima partitura completa nel marzo del 1832 arriverà sulla scrivania di Don Manuel Varela.

Nonostante l’assenza di ulteriore corrispondenza tra i due, sappiamo che la prima esecuzione dello “Stabat Mater” di Rossini fu realizzata il 5 aprile 1833 nella chiesa del monastero di San Felipe El Real proprio grazie a Varela . Il convento madrileno dei monaci agostiniani sorgeva nei pressi di Calle Mayor, vicino a Puerta del Sol. Questo splendido monastero oggi non esiste più, ma i cronisti dell’epoca narrano che per assistere a quell’evento ci fu una tale calca che molti riportarono traumi e contusioni severe. Eppure, il clamoroso successo spagnolo non scuote Rossini, che continua a vivere mestamente a Bologna senza più scrivere mezzo spartito né suonare alcunché.

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Un testamento scomodo dai risvolti imprevedibili

Nel 1837 muore Don Manuel, lasciando ai suoi eredi il manoscritto dello “Stabat Mater” di Rossini, dono personale del compositore. Gli eredi decidono di venderlo al miglior offerente e allora si fa avanti l’editore parigino Aulagnier, che chiede a Rossini l’autorizzazione a pubblicarlo. Il Maestro lo blocca minacciando di perseguirlo legalmente «fino alla morte» se avesse osato farlo.

Tuttavia le condizioni psicofisiche di Rossini remano contro i suoi momentanei slanci di vigore. Nel 1841 il musicista Francois Joseph Fetis, preoccupato dalle voci che si rincorrono sulla salute del Maestro, si reca a fargli visita trovandolo molto invecchiato, privo di energie e alquanto scorbutico. Sembra addirittura che al suo ospite belga, Rossini abbia bruscamente ricordato di «non occuparsi più di musica e non essere più musicista».

Si narra che sia stato proprio Fetis a contattare l’editore Troupenas, da sempre negli anni al fianco di Rossini, per cercare di risvegliare la vis creativa del Maestro, soprattutto con la questione aperta del “manoscritto Varela” e degli avidi eredi di Sua Eccellenza.

Finalmente il 24 settembre 1841 Rossini spedisce a Troupenas alcune parti scritte di suo pugno che andranno a sostituire pezzi della precedente partitura di Tadolini. Lo “Stabat Mater” di Rossini è completo. Troupenas realizza a Parigi un’esecuzione privata – però con accesso consentito alla stampa – presso la prestigiosa Salle Herz, per pianoforte solo e voci.

Il silenzio di Rossini, durato 13 anni, finalmente è spezzato. I melomani sono in fibrillazione e attendono di ascoltare la sua nuova opera e, nell’ansia crescente, viene annunciata la prima esecuzione ufficiale dello “Stabat Mater” per il 7 gennaio 1842 al Théâtre italien de Paris, con vicino orchestra completa.

Rossini in lacrime al suo “Stabat Mater”

Nonostante il tutto esaurito, Rossini non si presenterà. Il Maestro non lascia la sua Bologna, città nella quale comunque si svolgerà la prima esecuzione italiana integrale dello “Stabat Mater” di Rossini il 18 marzo 1842. Un’esecuzione integrale dell’opera avverrà solo nell’Aula Magna dell’Archiginnasio, sotto la direzione di Gaetano Donizetti e con le voci (allora celeberrime) di Clara Novello, Nicola Ivanoff, Clementina degli Antoni e del conte Pompeo di Belgiojoso.

L’equilibrio psicofisico già precario di Rossini accusa però il colpo. Non partecipa né alla prima né alla seconda rappresentazione, nonostante le continue acclamazioni popolari che tengono sveglia Bologna anche di notte. Solo grazie all’insistenza di Donizetti, Rossini finalmente sarà all’Archiginnasio per la terza esecuzione, il 20 marzo. I presenti riportano che abbia pianto, commosso di gioia.

In quell’anno sono 29 le altre città italiane che replicano lo “Stabat Mater” rossiniano. Gli apprezzamenti furono universali, ad eccezione di alcune pesanti critiche avanzate da Richard Wagner e dal critico musicale Ferdinando Casamorata. Lo definirono «non classificabile come musica sacra ma come musica da camera».

L’acme di Rossini: Stabat Mater, Quando Corpus

Senza dubbio lo “Stabat Mater” rossiniano raggiunge note difficilmente ascrivibili nella più classica formalità del requiem. La passionalità espressa dalla parte strumentistica, l’originalità degli assoli affidati ai cantanti lirici, che diventano veri protagonisti dell’intera composizione, l’incedere inconsueto e maestoso del coro – che ha ben poco della tipica dolorosa lamentosità degli altri “Stabat Mater” – collocano l’opera rossiniana in un empireo musicale difficilmente categorizzabile. Come del resto accade per quelle rare espressioni artistiche che sembrano traslare il Divino nell’Umano.

Ad ogni modo, nel 1860 Wagner incontrò casualmente Rossini e non poté trattenersi dal riconoscere che egli stesso non avrebbe mai potuto scrivere nulla di migliore del “Quando Corpus”, il nono dei dieci movimenti di cui si compone lo Stabat Mater. Rossini, conservando l’umiltà e il tono dimesso che aveva sempre dimostrato negli anni, minimizzò la cosa definendola «un felice quarto d’ora nella mia vita».

Stabat Mater: testo tradotto

Immersa in angoscia mortale
la Madre dell’Unigenito
geme nell’intimo del cuore
trafitto da una spada.

RIT. Stabat Mater Dolorosa
Iuxta Crucem Lacrimosa
Dum Pendebat Filius

Piange la Madre pietosa
contemplando le sue piaghe:
chi potrà trattenere il pianto
davanti a tanto tormento.

RIT.

Per il peccato del mondo
vide il Figlio tra i tormenti,
vide il suo dolce nato
quando emise lo spirito.

RIT.

Foto: Vetrata nella Casina delle Civette ad opera del Laboratorio Picchiarini 

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