
Come è noto, Napoli fu capitale musicale nel ‘700 e proseguì in questo suo primato per tutto il secolo successivo, quando grandi compositori del melodramma nazionale furono presenti come autori di nuove opere e direttori artistici del real Teatro San Carlo. Parliamo di musicisti del calibro di V. Bellini, G. Rossini, G. Verdi ed in particolare di un noto compositore bergamasco: Gaetano Donizetti.
Restato a Napoli tra i suoi andirivieni per più di una decina d’anni, per il Regio napoletano compose nel 1835 la famosa “Lucia di Lammermoor”. Affidatagli la direzione artistica del teatro San Carlo dal 1822 al 1838 – mentre in realtà avrebbe voluto la carica di direttore dell’allora Conservatorio San Pietro a Majella – Gaetano Donizetti ebbe molte amicizie tra i mecenati dei più pregiati salotti partenopei del tempo. Ecco perché pur lombardo di nascita, gli furono richieste nuove canzoni alla napoletana che riecheggiassero nelle feste e nelle sale della città. Per dovere compositivo e per evitare di incrinare i rapporti amicali con i signori del tempo, Donizetti lasciò diverse arie da camera con testo napoletano accontentando così i suoi ammiratori e sostenitori.
Le più famose arie napoletane di Gaetano Donizetti
L’aria alla napoletana più famosa composta dal maestro Donizetti è “Me voglio fa’ ‘casa”. Un delizioso e allegro valzerino che racconta di una casa in mezzo al mare fatta di cose belle e preziose, liddove la cosa più rara e più abbagliante è chi la abita, la sua Nennella. Quando lei si affaccia al balcone sembra che sia uscito finalmente il sole.
«Quanno Nennella mia se va a affacciare, ognuno dice mo’ spunta lu’ sole.»
Altre arie della produzione napoletana donizettiana furono sicuramente “Lu tradimiento” e “La conocchia” apportando in esse un valore aggiunto alla tradizione classica partenopea, che voleva interprete della canzone la voce maschile che inneggiava all’amore per una donna, per lo più mera musa ispiratrice. In questi due casi specifici invece, Gaetano Donizetti affida le arie napolitane a due voci femminili.
La prima è il lamento di una donna tradita che augura stessa sorte o ciorta – come si dice in vernacolo – a chi in quel momento le procuri sofferenza e lacrime, mentre la seconda di tutt’altro temperamento racconta l’espediente che una donna dovrà inventarsi per attaccare bottone con il suo corteggiatore timido, tutti i giorni a passeggio sotto la sua finestra ma nulla più. E allora lei apre questa benedetta finestra, fa finta di filare e quando vede da lontano che lui sta per passare, spezza il filo e lo butta dalla finestra in strada. Lo pregherà di raccoglierle il filo e finalmente così riusciranno a parlarsi.
«quanno a lu bellu mio voglio parlare – che spisso me ne vene lo’ gulio – alla fenesta me metto a filare, quanno allu bellu mio voglio parlare»
Te voglio bene assaje
Nella tradizione classica napoletana il nome di Donizetti è legato per lo più ad un famosissimo brano: “Te voglio bene assaje”. Attribuita al compositore bergamasco, in realtaà la canzone fu composta da due napoletani per la kermesse canora tenutasi durante la festa di Piedigrotta nel settembre 1839. Filippo Campanella ne scrisse la musica e un ottico, Raffaele Sacco, compose invece il famosissimo testo.
«Io te voglio bene assaje ma tu, nun pienze a me»
Un ritornello che riecheggiò persino nelle chiese di quel tempo con testi diversi atti a mostrare il grande successo avuto dal brano. Pare che fosse stato proprio lo stesso Raffaele Sacco a darsi delle arie mettendo in giro la voce che sarebbe stato il maestro Donizetti ad aver musicato le sue parole, ma Donizetti in quel periodo era in Francia. Dopo una serie di gravi lutti a catena che gli portarono via genitori, figli e moglie in poco tempo per il colera, il maestro decise di lasciare definitivamente l’Italia, cercando ristoro per le sue pene e adoprandosi in nuovi progetti musicali che lo avessero distolto dal suo attanagliante dolore. Gli furono compagne una vita poco generosa divenuta dissoluta negli anni parigini ed una difficile carriera musicale.
«Senza padre, senza madre, senza moglie, senza figli… per chi lavoro dunque ? … Tutto, tutto ho perduto»
Compositivamente Gaetano Donizetti è stato da sempre considerato il vero precursore di Verdi.
Autore: Cira Scoppa