Louis Armstrong. Il pionere del jazz dalle facce buffe

Louis Armstrong jazz

Quando si parla genericamente di Louis Armstrong, le immediate associazioni sono: la luna o la musica. Restiamo con i piedi sulla terra e cerchiamo di avvicinarci all’Armstrong musicista, uno dei geni musicali più importanti del Novecento, a cui il jazz scorreva nelle vene come una linfa vitale.

Louis Armstrong nasce a New Orleans il 4 agosto 1901 in una famiglia povera con i nonni schiavi, e trascorre l’infanzia in una zona altrettanto degradata nota come “il campo di battaglia” a causa del gioco d’azzardo e delle sparatorie. Se è vero che il posto dove si nasce influenzi quello che ognuno di noi sarà, questo caso non fa eccezione. È in questo clima di sofferenza e discriminazioni razziali che Louis comincia a sviluppare una forte attrazione per la musica nera che all’epoca veniva chiamata ragtime.

«Ogni volta che chiudo gli occhi per soffiare nella mia tromba, guardo nel cuore della buona vecchia New Orleans… Mi ha dato qualcosa per cui vivere»

Le origini di Louis Armstrong e i primi passi di Mister Jazz 

A 12 anni entra in riformatorio perché sorpreso con un revolver in mano, secondo alcuni ciò avveniva durante la celebrazione di un Capodanno, per altri durante uno scontro tra gang rivali. In riformatorio entra nella banda dell’istituto e riceve la prima istruzione musicale con il maestro Peter Davis, che gli insegna i rudimenti della tromba.

Terminato il periodo trascorso lì, Louis inizia a suonare i pezzi dell’epoca come “When He Saints Go Marchin’in”, che diventerà poi uno dei suoi cavalli di battaglia alle sfilate, ai funerali e sui riverboats, i battelli che solcavano il Mississippi. Le orchestre di New Orleans di quei tempi si esibivano per le strade a bordo di camion, sfidandosi tra loro fino all’ultima nota. Un giorno Armstrong incrocia il camion di uno dei trombettisti più famosi del tempo, che vedendolo con una tromba gli chiese a chi la stesse portando. «A nessuno, è mia», risponde Louis. Nessuno gli crede ma, appena comincia a suonare, lo imbarcano sul camion.

Negli anni seguenti Louis Armstrong costruisce la sua carriera prima a New Orleans e a Chicago, dove il jazz era diventato di casa (anche nei locali di proprietà di Al Capone) poi a New York e a Los Angeles. Nel 1929, l’anno del crollo di Wall Street, gli viene offerto di incidere “Ain’t Misbehavin”, canzone con cui si impone sulla scena musicale dando il via ad un susseguirsi di successi, tanto che la sua fama varca l’oceano per affermarsi anche nelle platee del vecchio continente.

Da autodidatta a pioniere del jazz

“Mister Jazz”, come lo ha definito Duke Ellington, è stato un pioniere del jazz. Da appassionato autodidatta mutò profondamente il corso di questo stile musicale, diffondendolo in tutto il mondo. Le sue esibizioni, sempre più virtuose fecero della tromba uno strumento solista d’eccellenza nel jazz. Ma anche il suo stile vocale passò alla storia, così elegante da ispirare personaggi come Frank Sinatra. Purtroppo la pressione con cui era solito suonare gli provocò un danno alla bocca costringendolo ad interrompere l’attività per un periodo di tempo. Si divertiva a giocare con la sua voce “sporcandola”, aggiungendo effetti sempre diversi. Alcune volte cantava con frasi molto brevi e veloci, rilasciando alla fine una specie di sospiro rumoroso tipico di una persona molto emozionata; ciò provocava un forte impatto sugli ascoltatori, abituati alle voci pulite e chiare di quei tempi.

Proprio da questo suo continuo giocare e improvvisare, nasce lo scat, l’uso casuale di sillabe senza senso. Sembra che durante la registrazione del pezzo, Heebie Jeebies dimenticò le parole della canzone, ma volendo portare a termine il brano intonò una serie di vocalizzi non-senses. Con questa tecnica Armstrong dimostra che non era importante cosa suonasse, ma come lo suonasse, con una rappresentazione visiva, quasi teatrale, che prevaleva nel contatto con l’ascoltatore. Questa capacità di dialogare con il pubblico, usando battute, smorfie, gesti, espressioni facciali, che era un tratto essenziale della musicalità afroamericana, in Armstrong raggiunge livelli quasi esagerati.

Ella Fitzgerald e Louis Armstrong. Alcune celebri collaborazioni

La sua carriera, costellata di successi, lo ha visto anche duettare con altri grandi del jazz: Bing Crosby, Duke Ellington, Fletcher Henderson, Bessie Smith, e soprattutto Ella Fitzgerald. Louis e Ella erano praticamente una “coppia delle meraviglie” che ha regalato al mondo pagine indimenticabili. Le loro voci erano molto diverse, ma allo stesso tempo complementari. Ella con una voce “pulita”, una dizione impeccabile e aderente alla composizione originale; Armstrong invece con il doppio ruolo di suonare la tromba e cantare, porta la sua voce “sporca”, una dizione imprecisa e parole spesso deformate, distaccandosi a volte anche dalla melodia originale. Ma i risultati di questo connubio ci hanno regalato perle come “Cheeck to Cheeck” o “Dream a little dream of me”.

Luois duettò anche con un’altra grande voce femminile: Barbra Streisand con il brano “Hello, Dolly!”. Armstrong, in occasione dell’esordio dell’omonimo musical a Broadway, raggiunse con la sua interpretazione originale la vetta della classifica americana, spodestando addirittura i Beatles, che dominavano la prima posizione da 14 settimane consecutive. Fu il suo più grande successo commerciale in tutta la sua carriera e con i suoi 63 anni fu il cantante più anziano di sempre a salire in vetta alla classifica americana.

Louis Armstrong: What a wonderful world!

Alla maturità si deve anche forse il suo più famoso successo: “What a Wonderful World”, incisa nel 1967. È uno dei brani più strani e particolari della carriera del trombettista, essendo infatti una ballata lenta, lontana dal jazz e dallo swing. Il brano però aveva in un significato politico: pur parlando di cieli azzurri e paesaggi rasserenanti, uscì in un periodo di grandi tensioni razziali e l’intento era infatti quello di offrire una visione ottimistica del futuro in un periodo in cui tutte le certezze sembravano crollare.

Nel 1968, approda anche in Italia, duettando al Festival di Sanremo con l’amica Lara Saint Paul. Era il primo Festival di Pippo Baudo, che si trovò costretto ad interrompere con la forza l’esibizione di Armstrong, visto che il trombettista si era lanciato in una delle sue performance, non avendo capito che il cachet ricevuto era per una sola canzone.

Pops per gli amici, Satchmo per il jazz

New Orleans è dove Louis Armstrong è nato e cresciuto, qui ha preso per la prima volta in mano una tromba. Il sobborgo del Queens a New York invece è stato la sua vera casa, quella che la sua quarta moglie Lucille Wilson, ballerina del Cotton Club di Harlem, comprò pensando che fosse una sistemazione provvisoria. È in questo quartiere che Armstrong provò davvero cosa significasse vivere in famiglia. Andava dal barbiere dietro l’angolo, la chiesa era a due soli isolati e i vicini erano operai, famiglie di migranti, i cui figli si ammassavano sulla scala d’ingresso per radunarsi attorno a lui. Anche artisti come Ella Fitzgerald, Billie Holiday, John Coltrane e Count Basie abitavano lì e non di rado capitava che uno dei suoi amici trombettisti passasse da lui per giocare a carte.

Loius era una persona molto socievole, i suoi amici lo chiamavano “Pops”, mentre in arte era conosciuto come “Satchmo”, abbreviazione di “Satchel mouth” – che in inglese significa “bocca a sacco” -, per il suo ampio sorriso contagioso, o secondo altri dalle enormi guance che aveva fatto esplodere suonando la tromba. Proprio per questa sua immagine del nero bonaccione, venne accusato di “ziotommismo” ma ingiustamente, dato che era molto attento alle problematiche sociali, soprattutto della popolazione afroamericana. Si ricorda infatti che finanziò la campagna di Martin Luther King, ma sempre da dietro le quinte non amando il clamore, e annullò un tour in Unione Sovietica, dove era atteso con trepidazione, perché non poteva rappresentare un governo in lotta contro la gente di colore.

Il lutto del jazz con la morte di Luois Armstrong

È morto nella sua casa nel Queens il 6 luglio del 1971 per un infarto, proprio undici mesi dopo aver calcato il palco per l’ultima volta all’Empire Room del Waldorf-Astoria.  Il poeta russo Evtusenko nel dedicargli un epitaffio, raccomandò all’arcangelo Gabriele di

«…dare ad Armstrong una tromba, perché rallegri gli angeli e i peccatori all’inferno abbiano alleviate le loro pene»

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