
“Natale in casa Cupiello” nel 2020 in casa Rai, non è un semplice film è un’operazione di rilancio culturale incredibile. Se siete sintonizzati su questa frequenza d’onda, sarete in grado di lasciarvi portare per mano all’interno di questa pellicola. Il lavoro è stato “ripulito” del carattere comico che ha dato Eduardo per riportarci a casa di Luca Cupiello, chiedendoci come viveva realmente quel sognatore di valori che nel mondo moderno usava ancora rispetto verso il presepe. Questa prospettiva ha trasportato la commedia eduardiana fuori dal teatro per farne una cronaca famigliare che si sposasse al meglio con la recitazione cinematografica molto più detrattiva per antonomasia di quella teatrale.
“Natale in casa Cupiello” al giorno d’oggi è il risveglio di un capolavoro di Eduardo De Filippo, da lui prende la sceneggiatura, a lui richiamano lontanamente l’eco delle battute pronunciate dagli eroi sotto il mirino killer delle camere. Bisogna essere degli eroi per accettare una sceneggiatura del genere, perché Eduardo prima che lo tocchi sei già morto. Il maestro è immortale, ti sopravviverà sempre. Il paragone è dietro l’angolo, anzi è come un fucile carico di precisione che ti illumina un puntino rosso e nitido perfettamente al centro della fronte. I napoletani del cast lo sanno bene, ma anche gli altri lo sanno. Lo sa il regista, i figuranti zampognari, Enzo Avitabile. Lo sanno tutti. Ed è infatti con rispetto che tutte le maestranze si sono approcciate a questo capolavoro, creando quella che potremmo definire una versione propagandistica, nel senso migliore del termine.
“Natale in casa Cupiello” 2020 per ricordare e conoscere Eduardo De Filippo
Ritorno al concetto di operazione marcando lo scopo fortemente divulgativo che il “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Angelis assume. Per un ragazzo del 2000 che non conosce Eduardo De Filippo è come scoprire la luce di una stella lontana che viene da un tempo ignoto e che fino ad allora aveva dormito. Enzo Avitabile compone “‘E duorme Stella”, il testo del maestro mischiato alla maestria di ambientazioni sonore ci porta per mano al cuore del messaggio. “A vita dint all’acqua raggia scagna tutt e culur” com’è vero al giorno d’oggi, quanto abbiamo confuso i contorni dei valori importanti per l’umanità, quelli che Eduardo ha cristallizzato bene, ha esaltato in tradizione. Ma “’A vita nasce da’ ‘a vita oggi dimani e sempre” e così De Angelis ci ricorda che c’è stato Eduardo De Filippo, c’è stato un faro a tracciare il cammino.
Così un ragazzo del 2000 partendo dal film, potrà chiedersi chi erano quegli attori che lo hanno ispirato, cos’erano quelle storie e perché qualcuno ha amato il film fortemente e qualcun altro ha storto il naso. Ed è all’interno di questa forbice che quel ragazzo andrà a scavare e magari scoprirà il grande Eduardo De Filippo, quello che lo stesso Castellitto non da ultimo paragona a Shakespeare.
Un ponte con la tradizione passata
È una Napoli che torna a parlare, torna a far parlare di sé e può tornare a fare da caposcuola, da mela che si fa prendere a morsi, diversamente dalla grande mela di New York. Più piccola, magari una mela annurca, ma piena di devozione – come si suol dire in partenopeo – con i suoi nodi da sciogliere, ognuno denso di vita. Salterei per questo i paralleli inutili, sterili improduttivi. Questo film è un ponte, tra quelli che siamo diventati e quelli che eravamo.
Sicchè se lo percorriamo sulla corsia della malinconia avremo perso in partenza, se lo percorriamo sulla corsia della ricerca, della curiosità invece, potremo arrivare da chi eravamo e tornare attraverso chi siamo, chi non vogliamo essere, verso chi possiamo veramente diventare. La fotografia di questo film colpisce fortemente, le sue ambientazioni, i suoi chiaroscuri e l’alta definizione (così odiosa quando vogliamo sognare), con l’apertura focale giusta sa bene cosa sgranare e cosa inquadrare, quali tagli dare alla realtà. Ferma il tempo perché ci suggerisce un’epoca, ce la rimanda, ma non la chiama in gioco mai apertamente. Questo consente alla pellicola di non paragonarsi e di non proiettarsi nemmeno troppo in avanti, troppo nel presente, ma vivere appunto in un’atmosfera siderale dove ogni tanto brilla qualche stella.
“Natale in casa Cupiello” 2020. Con Eduardo De Angelis non è un film comico
Guardando al cast, il colpo d’occhio lo da in maniera lampante la stella di Pantaleo che è si tra quelli autorizzati a scherzare, a far passare qualche battuta per il lato comico della faccenda. Il comico che è quasi trascurato in questo film e sembra usato solo ad hoc per aumentare l’effetto commozione. La regia è in HD, non è una tragicomica esperienza teatrale dove tutto può essere estremizzato, non è nemmeno una modulazione della comicità di scarpettiana memoria che scorre ufficiosamente nelle vene di Eduardo. Ma già, Scarpetta, chi sarà?
Il personaggio di Pantaleo è sintomatico del film, anche lui, può portare all’estremo determinate situazioni, nutrendo comunque un discreto senso della misura che si perde solo al momento opportuno. E infatti tutta la versione 2020 del “Natale in casa Cupiello” è così, rischiando di risultare affettato, contenuto, costretto, ma vuole e riesce in buona parte a dare un grande senso di realtà al lavoro di Eduardo.
Sergio Castellitto. Critiche o riconoscimenti? La verità nel mezzo
I gradi di espressionismo vanno a scemare man mano che si passa da Pantaleo alla sempre puntuale Marina Confalonieri fino a Sergio Castellitto. Lui può spaziare su più registri interpretativi, ci mette se stesso discostandosi dall’originale ma mantenendo la sua impronta. Chi lo conosce ne riconosce le mosse sanguigne, gli sguardi indagatori e filosofici, i sussurrati come gli urlati. Castellitto si toglie la coppola davanti ad Eduardo, gli chiede la benedizione, e solo allora si permette di riprodurre e quando può, negli angoli che il regista ha scucito, rifare il vestito di Luca Cupiello.
Se prendi Maradona, gli dai una palla e gli indichi l’incrocio dei pali, da qualsiasi angolazione lui la metterà nel set, sempre, all’infinito. Castellitto non è Maradona però sa dove far passare la palla, sa dare l’assist ai compagni per andare in rete e quindi insieme ad Eduardo de Angelis cuce la trama, orchestra. E alla sua presenza anche gli attori che magari hanno brillato di meno riescono a contribuire verso quello che comunque non ci fa definire questo film un capolavoro.
Eduardo De Filippo non è più intoccabile
La metafora dell’universo è interessante, ma va da sé che non ci si aspettava di arrivare sulla Luna, va altresì detto a quelli che prospettavano una fine del viaggio prima che iniziasse, che questo film ha dato parecchie risposte e su tutto ha mostrato che Eduardo De Filippo non è intoccabile. Si può essere onesti anche prendendosi qualche spicchio qua e là e dando una direzione pulita, non dico inglese, ma cinematografica alla storia. Certo Eduardo è un caleidoscopio, uno stakanovista, un cesellatore impeccabile, altrimenti non si spiega perché il pubblico continuava a rivedere gli stessi spettacoli anche più volte di fila. Si sarebbero persi sempre qualche particolare e lui lo sapeva bene. Il presepe amava costruirlo ad arte e non permetteva a nessuno di toccarlo, di inquinarlo.
Il presepe non si tocca però ogni tanto vi si può entrare dentro, come un ficca-naso che oltre non può andare perché la faccia lo blocca. Lo blocca il fatto di essere umano, Eduardo invece era un extraterrestre che era riuscito a visitare talmente bene la stella Teatro da trovarci un universo. Ed aveva avuto l’abilità di portare con sé sulla terra qualche frammento di meteorita nel viaggio di ritorno.
Dunque una scenografia senza tempo, una regia sospesa tra modernità e passato. Gli attori e la colonna sonora densa al punto rendono il film un lavoro da vedere. Poi è ovvio la palla all’incrocio dei pali a occhi chiusi è un’utopia, ma se ci si sfronda dai paralleli si riesce a vivere un’esperienza significativa. Un film che poteva rendere di più certamente, ma che non commette l’errore di scimmiottare o destrutturare un Eduardo De Filippo di cui nutre sicuramente un gran rispetto.