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Norwegian Wood – Tokyo Blues di Haruki Murakami sul ritrovarsi

By Camilla Elleboro
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Norwegian Wood - Tokyo Blues di Haruki Murakami

Un lungo flashback che dura tutto un volo aereo. Se fosse necessario dover riassumere “Norwegian Wood” di Haruki Murakami – in Italia pubblicato anche col titolo “Tokyo Blues” – forse è così che si potrebbe fare.  

«Trascorsi i tre giorni che seguirono con la strana sensazione di stare camminando sul fondo del mare. Se gli altri mi parlavano io non riuscivo a sentirli e se ero io a rivolgermi a loro, loro non sentivano me. Era come se fossi avvolti in una membrana che aderiva perfettamente al mio corpo, impedendomi di comunicare con il mondo esterno e impedendo agli altri di toccarmi. Non solo io stesso ero impotente, ma finché ero in quello stato anche gli altri non potevano fare niente per me.» – Haruki Murakami

Haruki Murukami e la forza dei ricordi

Tra le stazioni, i campus universitari e la movida di Tokyo da un lato, e gli ambienti intimi e silenziosi di una casa di cura ed una libreria dall’altro, Haruki Murakami ci accompagna passo per passo in un romanzo sentimentale e malinconico. Pubblicato nel 1987, ma ambientato negli anni delle rivolte studentesche tra il ’68 ed il ‘70, il romanzo è introdotto e narrato in prima persona dal protagonista stesso, Watanabe Toru, un uomo di trentasette anni. Mentre viaggia su un Boeing 747, avverte una musica, soffice ed ovattata, ma per lui violenta come un pugno allo stomaco: “Norwegian Wood” dei Beatles. È irretito ed agitato. Quelle note, quel canto, lo catturano e lo bloccano, riportandolo con la mente a diciotto anni prima. 

La storia ha inizio nel momento in cui Watanabe, seguendo la melodia dei Beatles, visualizza mentalmente un episodio della sua giovinezza, che costituirà il punto di partenza per una narrazione costantemente in analessi. Da qui la memoria del ragazzo lavora vivace, esplorando ogni attimo delle sue esperienze giovanili. L’accidentata ed intensa relazione con la fragile Naoko, traumatizzata dall’improvvisa morte suicida del suo primo amore – nonché migliore amico di Watanabe – ed in seguito l’incontro con Midori, acuta ed esuberante compagna di corso del protagonista, saranno cause di dubbi intimi e cupi. Il conflitto interiore di Toru scava maggiormente dentro di lui dal momento in cui la presenza delle due ragazze si fa più invadente nei suoi pensieri o nel quotidiano. Entrambe, pur essendo l’una l’opposto dell’altra, esercitano un notevole fascino sull’indeciso ragazzo. Alla fine, nonostante i rimorsi ed i dissidi interni, la vita aiuterà Watanabe a prendere una decisione. 

La ricerca di se stessi tramite il contatto con il mondo esterno

“Norwegian Wood – Tokyo Blues” non è solo un romanzo d’amore, né si limita a banali punti di vista sui sentimenti. Seppure i tipici elementi della scrittura di Murakami – come l’onirico e l’irrazionale – non ricorrano, lo scrittore giapponese indaga comunque i temi a lui cari dell’abbandono e della solitudine. Per questo la storia di Watanabe e dei personaggi che gli gravitano intorno è complessa ed avvolta da una rete di eventi che si intreccia, a volte, in modo indistricabile.

Watanabe, studente universitario disilluso, ambisce ansiosamente ad una crescita personale. Perciò esita spesso a chiedersi quale sia la strada giusta e quella sbagliata, alimentando il suo senso di giustizia. Non stupisce, perciò, il paragone con il personaggio di Holden di J.D. Salinger, fedele alla stessa ricerca di autenticità e moralità, pur circondato da un mondo corrotto. Tuttavia, il nostro protagonista non è un modello indiscutibile di comportamento, ed anzi, spesso si sente sconfitto o in trappola, il che lo avvicina al Gatsby di F.S. Fitzgerald, più volte citato nel romanzo. Subisce il richiamo nostalgico e mesto di Naoko, legame con una vita passata, ed al contempo è incuriosito dalla possibile prospettiva futura con la stessa, con la quale condivide la passione per la musica come tentativo di evasione. Allo stesso modo, è attratto dal mondo eccentrico, ma forte e complesso di Midori. Quest’ultima rappresenta la realtà, perché è concreta nei suoi tormenti e dolori anch’essi tangibili, e non ha paura di nascondere una notevole emotività. 

Norwegian Wood – Tokyo Blues di Haruki Murakami. Un nuovo mondo

Haruki Murakami colloca i ragazzi di “Norwegian Wood – Tokyo Blues” in uno scenario socioculturale giapponese, ancora fortemente scosso dal secondo conflitto mondiale. In particolare, i protagonisti sono tutti molto lontani dalla mentalità dei genitori o degli adulti, caratterizzati dalla sfiducia verso il mondo occidentale. Tale visione è ribaltata dalla nuova generazione, aperta verso l’Europa e l’America, come si evince dai richiami culturali dell’autore. Questa provoca in Watanabe un’accesa malinconia, dovuta al forte spaesamento e all’impaccio di fronte a bivi e scelte di vita. L’autore presenta un racconto ampio e dalle mille sfaccettature, che porta il lettore ad esplorare ogni angolo del proprio animo e di quello del protagonista, e a riflettere attentamente su come il passato avvinca ogni personaggio a sé.

letteratura contemporanea
Author

Camilla Elleboro

Studentessa di latino e greco per vocazione, cameriera per ispirazione. Lettrice per devozione e amore.

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“Il buio oltre la siepe” di Harper Lee. Un capolavoro senza tempo

By Claudia Gaetano
"Il buio oltre la siepe" di Harper Lee

“Il buio oltre la siepe” di Harper Lee – altrimenti conosciuto in inglese “How to kill a Mockingbird” – è il capolavoro del 1960 della famosa scrittrice statunitense. Romanzo contemporaneo dal grande valore e insegnamento socio-culturale, rappresenta un classico della letteratura americana. Fin dalla sua prima uscita guadagnò un successo senza tempo vincendo il premio Pulitzer per la narrativa.

Ancora oggi è uno dei libri più assegnati nelle scuole occidentali, merito dello stile di scrittura fluido e lucido adatto a qualsiasi età. Permette di immergersi completamente in ogni pagina fin quasi a credere di vivere in prima persona le avventure della piccola cittadina dell’Alabama. Ma ciò che ancora più stupisce è la qualità del contenuto morale, celato dalla narrazione vista dagli occhi dei bambini protagonisti, dietro la quale si nasconde l’amara verità che ha tenuto schiava l’America durante gli anni della grande depressione.

“Il buio oltre la siepe” di Harper Lee. Il significato nascosto del titolo

Nell’immaginaria cittadina di Maycomb vige ancora una netta separazione tra cittadini bianchi e neri. Forte è il sentimento d’odio causato principalmente dall’ignoranza, soprattutto tra i più analfabeti. La società sente il diritto di trattarli come reietti al margine della dignità umana, fino ad usarli facilmente come capro espiatorio per crimini mai commessi. Fu per questo motivo che venne scelto il titolo originario “How To Kill a Mockingbird” che in italiano viene tradotto “Come uccidere un usignolo”. Un gioco di parole che rappresenta la facilità con cui vengono additati i più deboli e indifesi, paragonabili a degli uccellini.

Nel libro di fatti vengono utilizzati più volte riferimenti. Ad esempio il padre dei due bambini protagonisti, Atticus, un avvocato che si batte fortemente affinché i suoi figli abbiano un’educazione corretta, non danneggiata dai forti pregiudizi della società. Il tema principale del romanzo è dunque il razzismo ed ecco perché, a distanza di anni, il testo rimane una guida avanguardista e dai valori ineccepibili che scoraggia questo tipo di inclinazioni che ancora oggi sono una piaga fin troppo diffusa.

Le diverse chiavi di lettura

«Il buio oltre la siepe diede vita ad una storia indimenticabile di coraggio e convinzione, sul fare quel che è giusto, a qualunque prezzo.» – Presidente Obama

La parte più straordinaria del romanzo è sicuramente la chiave di lettura che ci fornisce più percorsi narrativi. Gli eventi, che si svolgono nel giro di tre anni, vengono narrati in prima persona dalla bambina protagonista Scout, che racconta delle estati passate con suo fratello maggiore Jem e il loro amico Dill. Insieme si divertono a inventare storie fantasiose e spesso a organizzare scorribande, soprattutto per indagare sul loro strano vicino “Boo” Radley. La sua casa rappresenta l’ignoto più assoluto, non lo hanno mai incontrato e si dice fosse stato segregato dai genitori in casa. Nella loro giovane ma ingegnosa fantasia, viene rimodellato nelle sembianze di un fantasma che crea allo stesso tempo una curiosità mista a paura.

Un mondo dominato dal razzismo

Contemporaneamente e quasi in sordina, nuovi eventi vengono alla luce. Nella città è stato commesso un crimine ed un bracciante nero viene accusato di stupro nei confronti di una ragazza bianca. A questo punto si scopre la seconda linea narrativa, che tratterà del processo del pover uomo difeso proprio dal padre dei due ragazzi, l’avvocato Atticus Finch. La vicenda scoprirà, agli occhi dei due bambini, tutto il disprezzo nascosto sotto la tranquilla facciata della cittadina. Atticus verrà accusato di “negrofilia” e sarà minacciato di essere ucciso. Ma la curiosa ingenuità, indole dei bambini Finch, giocherà un ruolo fondamentale sciogliendo per un momento la repulsione per la diversità e ricordando che, in fin dei conti, si è tutti concittadini di un’unica terra.

La storia purtroppo non ha lieto fine. Stanco e sfiduciato da un processo aspro e ingiusto, il povero lavoratore tenterà la fuga dal carcere, venendo di conseguenza ucciso dai fucili delle guardie come un uccellino indifeso. I due bambini, invece, scopriranno che per tutto il tempo erano stati tenuti d’occhio da Boo Radley, che ha in realtà vegliato su di loro per tre anni. La piccola Scout capirà che non sempre la giustizia può cambiare dal giorno alla notte, ma che può mettere radici nel cuore delle piccole menti e crescere, per formare, un giorno, un mondo migliore.

“Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg. Il legame della parola

By Camilla Elleboro
"Lessico famigliare" di Natalia Ginzburg

Cercare e trovare una definizione soddisfacente per il concetto di “famiglia” è un’impresa vera e propria.A provare di delinearne una ci si perde nei vortici delle più disparate possibilità e combinazioni. In questo marasma di riflessioni si inserisce “Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg. Ci sono voluti solo paio di mesi – come ha dichiarato a più riprese la stessa autrice – per creare le fondamente concettuali del romanzo. Edito nel 1963, ha avuto uno straordinario successo non solo in Italia. Un fatto molto curioso se pensiamo che moltissime espressioni nel romanzo sono in forma dialettale!

“Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg parte dalla parola

Per comprendere il punto di vista di Ginzburg sul tema “famiglia”, non bisogna andar molto lontano. La risposta è nel titolo. Così a caratterizzare il suo nucleo d’origine è proprio il lessico. La scelta delle parole, la coloritura dialettale e le frasi ricorrenti sono il vero cuore del romanzo. Tutto è racchiuso qui. Vivere e osservare la propria famiglia, esserci e al tempo stesso estraniarsi per valutare o capire: questo è il fulcro principale.

È fondamentale sottolineare che ci si trova di fronte ad un romanzo da capo a piedi. Tanto che nel corso della lettura lo si potrebbe confondere con una cronaca. Tuttavia al centro non vi sono tutte le vicende della famiglia d’origine dell’autrice – la famiglia Levi -, ma solo alcune storie selezionate dalla memoria di chi le ha vissute in prima persona. Questo modus operandi è ben chiaro in una sorta di precisazione che la Ginzburg fa sul suo scritto.

«Nel corso della mia infanzia e adolescenza mi proponevo sempre di scrivere un libro che raccontasse delle persone che vivevano, allora, intorno a me. Questo è, in parte, quel libro: ma solo in parte, perché la memoria è labile, e perché i libri tratti dalla realtà non sono spesso che esili barlumi e schegge di quanto abbiamo visto e udito.» 

L’infanzia come luogo delle prime prove linguistiche

A partire dall’infanzia fino agli anni cruciali della Seconda guerra mondiale, ci si accorge che l’essenza della sua famiglia risiede in quelle piccole espressioni ricorrenti, dialettali e molto simpatiche, che colorano tutto il romanzo. Certamente l’esperimento linguistico è arduo da portare a termine. Potrebbe sembrare infatti che Ginzburg non abbia risposto ad alcuna logica narrativa, prediligendo la ricerca lessicale. Questo primo impatto si smentisce dopo poche pagine. Ogni personaggio ha la propria storia e il proprio vissuto, l’autrice stessa mette un po’ di sé e al tempo stesso porta avanti con coerenza il proprio punto di vista. Per lei la sua famiglia è il modo in cui si esprime.

«Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c’incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti, o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase, una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia […], per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole.»

Proprio il tempo dell’infanzia è quello che sembra ricevere maggiori premure dall’autrice, che rispolvera con un lieve tocco ciò che ha visto e vissuto. Ogni situazione e frase ascoltata viene messa nero su bianco e brilla di una luce nuova per effetto della magia più antica del mondo: la scrittura. Nonostante la presenza ingombrante e assoluta dell’esercizio mnemonico, chi legge “Lessico Famigliare” non si trova escluso da un gruppo familiare a cui non appartiene per nascita.  

L’estraniamento dal romanzo e la memoria protagonista

Proprio qui si inserisce un’altra grande prova autoriale. Natalia, bambina, ragazza o madre, non emerge mai. Forse non è nemmeno mai davvero presente. Preferisce valutare da un angoletto le sensazioni antiche anziché buttarsi a capofitto in quella che in fin dei conti è anche la sua storia. Non è mai invadente, e per questo chi legge la sente al suo fianco e non in una posizione di onnisciente e costante presenza.

Così se da un lato lascia al resto dei personaggi la possibilità di emergere, dall’altro tira le redini anche per loro. La Torino antifascista ospita gli esponenti culturali del XX secolo. Eppure leggendo non si ha mai la percezione di una penetrazione totale negli ambienti torinesi. Benché si svelino il linguaggio e le dinamiche interne dei componenti della famiglia Levi, la loro psicologia non viene mai fuori. Semplicemente non importa. La scrittura di Ginzburg è fatta di piccoli impulsi mnemonici, di attimi di ricordo, quelli che bisognerebbe afferrare una volta per non lasciarli andare mai più.

“Lessico Famigliare” di Natalia Ginzburg è un romanzo che non si risparmia nel parlare di eventi traumatici del secolo scorso. L’ascesa del fascismo, le persecuzioni e poi la guerra. Al tempo stesso celebra anche i piccoli momenti di vita domestica. È un romanzo che sa stare al mondo, ma che ogni tanto sente il bisogno di chiudersi un po’ nel proprio universo personale. Il modo più autentico per farlo è attraverso l’attenzione al linguaggio. La famiglia, per Natalia Ginzburg, è tale quando i componenti condividono espressioni distinguibili anche a chilometri di distanza.

1 Comment
    Alex Denisov says:
    Ottobre 22nd 2019, 7:30 pm

    There is cеrtainly a great deal to learn on thiѕ subject.
    I just ⅼike all the points you have made.

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