“Old boy” di Park Chan-wook. Un neo-noir politico e di vendetta

"Old boy" di Park Chan-wook

“Old boy” di Park Chan-wook è una pietra miliare del cinema coreano. Lodato da pubblico e critica, ha ricevuto diversi riconoscimenti, fra cui il Grand Prix della giuria a Cannes, oltre ad aver incassato l’approvazione di Quentin Tarantino che l’ha definito “Il film che avrebbe sempre voluto fare”.

«La vendetta non è mai una strada dritta: è una foresta. E in una foresta è facile smarrirsi. Non sai dove sei né da dove sei partito.» -Hattori Hanzo (Kill Bill vol.1)

“Old boy” è il capitolo centrale della “trilogia della vendetta” diretta da Park Chan-wook. Ricollegandosi a “Mr. Vendetta”, primo film della trilogia, “Old boy” riflette sul concetto di vendetta, sul fascino che esercita sugli esseri umani e su quanto sia in realtà futile, addirittura dannosa. La vendetta corrode l’animo dei personaggi fino a trasformarli in dei mostri, capaci di commettere atti di indicibile crudeltà in nome di una sedicente giustizia. Park Chan-wook inserisce saggiamente il tema all’interno di un contesto culturale e politico moralmente ambiguo in cui emergono le debolezze di una società costruita sull’ipocrisia e la disuguaglianza, oltre a quelle dei protagonisti.

“Old boy” di Park Chan-wook. Un neo-noir politico sulla società coreana

La vendetta non è l’unico tema principale di “Old boy”. La commistione di generi cinematografici incontra un intreccio complesso, con diversi livelli di lettura. Il sottotesto politico e sociale rende l’opera di Park Chan-wook un film di analisi e critica della società coreana. Oh Dae-su, il protagonista della vicenda, è un antieroe tormentato tipico del genere neo-noir, ma è anche la personificazione della storia politica contemporanea della Corea del sud. Osservando attentamente è facile tracciare un parallelismo fra le vicende di Dae-su e la nazione in cui il film si sviluppa, la Corea del sud.

Se Dae-su è imprigionato per quindici anni -dal 1987 al 2003-, anche la Corea nello stesso periodo è stata ostaggio di una politica che ha illuso il Paese di poter raggiungere un benessere economico di fatto mai realizzato. Come testimoniano i programmi televisivi che accompagnano Dae-su durante il suo isolamento, la Corea ha vissuto dei momenti di crescita interrotti dalla crisi economica del 1997 e dai numerosi casi di corruzione della classe politica negli anni ’80 e ’90. Allo stesso modo Dae-su ha vissuto nell’iniziale illusione di poter essere presto liberato dal suo rapitore, salvo poi rendersi conto che la libertà fosse più lontana di quello che avrebbe potuto immaginare.

Una volta rilasciato, Dae-su capisce presto di essere soltanto in una prigione più grande. Non solo è ancora coinvolto negli intrighi del suo rapitore, ma è anche di fatto diventato un reietto. I 15 anni di reclusione lo hanno reso un essere mostruoso e rancoroso. Inoltre in quei 15 anni il mondo è andato avanti, mentre Dae-su è rimasto sospeso in una realtà alternativa a causa della sua prigionia. Una volta reintrodotto nel mondo reale, il protagonista si sente estraneo all’ambiente che lo circonda.

Riflessione e critica sociale

Nel suo “Old boy” Park Chan-wook si scaglia anche contro le differenze sociali in Corea del sud. La differenza sociale tra Dae-su e Lee Woo-jin -il rapitore in questione-, non è casuale. Woo-jin rappresenta l’élite dispotica che, forte di una maggiore potenza economica, calpesta impunemente le fasce più disagiate della società. Dae-su al contrario incarna la “vergogna” della società. Il suo alcolismo e la sua miserabile condizione economica sono problemi estremamente comuni in Corea del sud che, nonostante il progresso, non sono stati ancora completamente risolti.

Attraverso di loro Park Chan-wook intende criticare lo strapotere della classe ricca e l’indifferenza verso i soggetti più disagiati. Woo-jin è libero di tramare la sua vendetta ai danni di Dae-su, sicuro di poter facilmente aggirare la legge grazie al denaro. Quindi il regista denuncia anche la facilità per i più ricchi di corrompere la giustizia e manipolare gli altri a proprio piacimento al fine di raggiungere i propri torbidi obiettivi.

«Ricorda, sia un granello di sabbia che una roccia nell’acqua affondano allo stesso modo.» – Woo-jin

Tuttavia Park Chan-wook inserisce un’ulteriore riflessione in questo quadro dicotomico. Sebbene Woo-jin sia ricco e potente, non può combattere il dolore che prova per la morte di sua sorella. Il denaro non può comprare la sua pace mentale, irrimediabilmente compromessa dal desiderio di vendetta. In questo aspetto si può facilmente accostare a Dae-su. Entrambi sono trascinati nell’abisso della disperazione e la loro diversa condizione economica non li differenzia in alcun modo. La spirale di vendetta e violenza li consuma alla stessa maniera.

Gli indizi simbolici lasciati da Park Chan-wook in “Old boy”

Park Chan-wook utilizza abilmente ogni mezzo tecnico a sua disposizione per manipolare la percezione della realtà in “Old boy”. La verità è sconvolgente proprio perché giunge inaspettata. Park Chan-wook dissemina degli indizi nel corso del film, ma sono difficilmente interpretabili e per questo ignorati. Solo quando il mistero è risolto, tutti gli indizi si ricollegano e il cerchio si chiude. Fino a quel momento, regia, fotografia e montaggio contribuiscono ad annebbiare la realtà, tenendola nascosta per la svolta finale. I colori brillanti e i toni da commedia nera traggono in inganno, mentre i numerosi primi piani sui volti dei personaggi portano a concentrarsi maggiormente sui sentimenti dei protagonisti.

Gli indizi sono volutamente confinati a margine, ma sono fondamentali. In particolare i colori viola, verde e rosso sono importanti indizi lasciati dal regista. Il viola è il colore della vendetta: la scatola viola che contiene le prove della vera identità di Mi-do e il filtro adottato per tutte le scene che motrano l’origine dell’odio di Woo-jin e il motivo della sua vendetta.

«Se fai le domande sbagliate, non troverai mai la risposta giusta. La domanda non è “Perché Woo-Jin mi ha imprigionato?” ma “Perché mi ha rilasciato?”» – Woo-jin

Quando verde e rosso compaiono insieme sono  legati all’inganno (sia nei vestiti dei personaggi che nelle scenografie). Spesso sono associati a motivi geometrici intricati per indicare l’artificiosità del mondo. La scelta finale di Dae-su di farsi cancellare la memoria per vivere inconsapevole del suo incesto è la prova definitiva del fatto che lui si sia trasformato in Woo-jin, il mostro che voleva sconfiggere.

Fascino e futilità della vendetta

Due personaggi all’interno del film fanno della vendetta la propria ragione di vita e Park Chan-wook ne esamina i risvolti disastrosi. Woo-jin insegue la vendetta per la maggior parte della sua vita. Tuttavia, una volta ottenuto ciò che cercava è assalito dal dolore. La vendetta perfetta non ha lenito la sofferenza per la perdita di sua sorella. Al contrario, insieme al trionfo per la riuscita del suo piano, ritrova la consapevolezza della sua responsabilità: è colpevole tanto quanto Dae-su. 

«Vendicarsi fa bene alla salute, ma che succede una volta che ti sei vendicato? Scommetto che il dolore tornerà a cercarti.» – Woo-jin

Anche Dae-su è corrotto dal suo desiderio di vendetta. La sua parabola discendente comincia durante la sua prigionia. inizia a covare in sé il risentimento verso il misterioso rapitore. Una volta liberato userà ogni mezzo a sua disposizione per vendicarsi, ma l’odio corrompe il suo animo semplice trasformandolo nel mostro che cercava di combattere.

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