Chi ha scritto “Pastorale americana”? Philip Roth realizza il libro più bello della letteratura americana
“Pastorale americana” di Philip Roth è stato così definito da Baricco «il libro più bello degli ultimi anni della letteratura americana». Premiato col Pulitzer l’anno successivo la pubblicazione (1997), è il primo della cosiddetta trilogia di Zuckerman, personaggio alter ego di Roth. Il romanzo è uno dei migliori ritratti dell’America del passato e contemporanea. Avete presente l’attacco al Campidoglio del 6 Gennaio 2021? “Pastorale Americana” è così attuale da potere essere stato scritto il giorno seguente.
La narrazione si estende per un arco temporale che copre gli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta, molto centrali e critici per gli USA in tema di sommosse, violenze e scandali politici. Le parole di Zuckerman e i flussi di coscienza dello Svedese, il vero protagonista, riflettono sulla guerra in Vietnam e gli scontri dei gruppi insurrezionalisti, fino al Watergate.
Un’America sotto inchiesta quella al centro della narrazione di Roth. Non sembra essere casuale che, nel medesimo anno di pubblicazione di “Pastorale Americana”, vide la luce anche il capolavoro di Don DeLillo “Underworld”. Le comuni riflessioni sulla società americana e la sua storia, sul futuro che l’attende e le sempiterne contraddizioni caratterizzano ambedue le opere, così lucide da adattarsi anche al nostro presente.
I personaggi nella “Pastorale americana” di Philip Roth. Lo Svedese simbolo dell’Americanità
Ad introdurci in questo contesto è, in un primo tempo, Nathan Zuckerman, il quale dopo vari anni rientra in contatto con Seymour Levov – alias lo Svedese – suo compagno di scuola. Lo Svedese è il simbolo del prototipo americano per eccellenza, l’americanità fatta uomo. D’origine ebraica, campione sportivo, eredita l’industria di guanti del padre, sposa una reginetta di bellezza, forma una famiglia. Si potrebbe dire che ami la sua patria, e così è in fin dei conti. Zuckerman, che la vede dal di fuori, la definisce una vita «molto semplice e molto comune, e perciò bellissima, perfettamente americana». Lo Svedese ha realizzato il sogno americano.
In seguito ad una serie di eventi inaspettati, il narratore è chiamato a scriverne una biografia, che potremmo definire fittizia. Ciò che verrà scritto su Seymour Levov non è che frutto delle ipotesi e dell’intuito di Zuckerman-Roth, che ne disegna un ritratto interessante dal nucleo più piccolo e familiare della vita dello Svedese sino al suo rapporto con l’esterno, con il mondo e la società americani. Poco importa se non tutto è andato, per Seymour, come il narratore descrive. Vi dev’essere un dettaglio o anche solo un’idea che coincida con la sua vita, tanto simile a quella degli altri americani, sia nelle gioie sia nelle tragedie.
Nella vita nulla ha senso per Philip Roth e lo Svedese. La crisi familiare
L’autore non può prescindere, per questa biografia, dall’osservazione della società americana degli anni Sessanta e Settanta, dove risiede il germe delle teorie complottiste degli anni a venire fino ai giorni nostri. In un periodo di difficoltà, in politica estera come in quella interna, intuisce il divario crescente tra una generazione ed un’altra, tra genitori e figli, e la mette al centro di una prima analisi sociologica.
Lo Svedese non vede al di là dei singoli elementi che costituiscono la sua vita. Crede di conoscere i componenti della sua famiglia ma, quando scopre che nel profondo sono ben diversi da come li immaginava, ne rimane talmente deluso da voler a tutti i costi cercare la causa scatenante di una vera crisi familiare.
«L’immagine che abbiamo l’uno dell’altro. Strati e strati d’incomprensione. L’immagine che abbiamo di noi stessi. Vana. Presuntuosa. Completamente distorta. Ma noi tiriamo diritto e viviamo di queste immagini. “Lei è così, lui è così, io sono così. È successo questo, è successo per questi motivi…”».
Preoccupato a dare una forma a qualunque cosa, un senso ad ogni azione, Levov cade in una trappola da lui stesso congegnata. A furia di ragionare in modo logico, si dimentica delle svolte irrazionali della vita finché proprie queste non lo vengono a cercare. Quando l’idealizzazione delle moglie e della figlia comincerà a mostrare i primi segni di cedimento, si troverà costretto ad accettare una lezione durissima: che nella vita nulla ha senso.
Seymour Levov è la “Pastorale americana”: analisi di un sogno spezzato da un’America violenta
Nella “Pastorale Americana” non c’è, però, solo la prospettiva familiare, bensì un’ombra di pessimismo si espande anche nel rapporto tra Levov e la patria. All’inizio del romanzo – dunque, della sua biografia -, Seymour Levov è un soddisfatto imprenditore, che rispetta ed ama il suo Paese. Certo, sono anni intensi, lui stesso si fa critico della guerra del Vietnam, ma senza prendere una posizione netta. Dopo essersi indignato un po’, torna a condurre la sua esistenza tranquilla. Per questo sua figlia Merry, vera oppositrice della guerra, gli rimprovera di essere il tipico WASP – White Anglo-Saxon Protestant – di classe borghese.
Seymour Levov è la pastorale americana, il buonsenso e le buone intenzioni, mentre sua figlia è la contro-pastorale, il caos di rabbia incistata in ogni americano. Le delusioni della famiglia e di una patria, che conduce guerre folli, nutre terroristi interni e si fa teatro di attentati, spingono lo Svedese ad abbandonare l’idea di un futuro migliore. I complotti, da cui originano azioni folli e omicide, gli mostrano quanto facilmente possa sopraggiungere la morte, quanto la solitudine sia un morbo comune e la normalità una perfetta illusione. Basta una stortura che gli eventi precipitano e il sogno svanisce.