Patrick Zaki non verrà rilasciato, il tribunale respinge il ricorso

Patrick Zaki

15 febbrario 2020, sono le nove del mattino e tutta l’attenzione internazionale è rivolta a Mansura, una piccola, calda città sul Delta del Nilo. Perché lì sta per essere presa una decisione importante per le sorti del giovane Patrick Zaki. 

L’udienza

La saletta laterale della corte di Mansura era piccola, ma piena di diplomatici, poliziotti, impiegati e giornalisti. Il ragazzo egiziano, studente a Bologna, è entrato in aula in manette. Alle domande dei giornalisti, che si informavano sul suo stato di salute ha risposto: “Tutto bene”. E in effetti il ragazzo appariva ai giornalisti delle maggiori testate italiane evidentemente spaventato, ma le sue condizioni di salute sembravano migliorate rispetto a giovedì, quando ha incontrato i genitori.
L’udienza è durata persino meno di dieci minuti.

Hanno presenziato gli Ambasciatori di vari Paesi, tra cui quelli italiani e dell’Unione Europea in Egitto. I legali di Zaki hanno ricordato tutto il percorso di detenzione illegale ed il lunghissimo interrogatorio successivo, ugualmente illegale. Hanno anche sottolineato le torture e le umiliazioni a cui è stato sottopostolo studente, e dichiarato che Zaki «è stato fermato sulla base di prove false, di post pubblicati su un account Facebook che non appartiene a lui. Ed è stato picchiato, bendato, interrogato per ore senza un legale.»

Patrick, durante la sua deposizione, ha dichiarato:

«Mi hanno tenuto bendato per 12 ore. Mi hanno picchiato in viso. Mi hanno fatto spogliare e mi hanno chiesto della mia ong e di alcuni post su Facebook, ma io non ho fatto nulla.»

Poi, prima di essere riportato in cella riesce a parlare con un’inviata di Repubblica a cui racconta: «Mi tengono in un posto terribile: una cella con 35 detenuti e un solo bagno. Un grande stanzone con una porta piccolissima.»

Purtroppo tutti gli sforzi sono stati vani. Alla fine, il giudice ha deciso che Zaki non  sarebbe uscito. La delusione è stata palpabile. Il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, ammette che la speranza in una scarcerazione era grande, proprio per via della presenza di molti diplomatici, tra cui quelli italiani. Subito dopo però dichiara che la campagna di protesta contro il governo egiziano sarà intensificata, in vista della prossima udienza, prevista per il 22 febbraio.

Le accuse mosse a Patrick Zaki

Patrick Zaki è un promettente studente egiziano che, dallo scorso agosto si trovava a Bologna per frequentare il master “Gemma” dell’erasmus mundus sugli studi di genere. Era tornato qualche giorno in Egitto per rivedere la sua famiglia. L’8 Febbraio è stato fermato alle 4 del mattino nell’aeroporto del Cairo e posto in custodia cautelare per 15 giorni. Sembrerebbe, tuttavia, che le indagini su di lui fossero in corso già dal settembre 2019.

L’accusa è quella di diffusione di notizie false, incitamento a manifestazioni, tentativo di rovesciare il regime, l’uso dei social media contro la sicurezza dell’Egitto, propaganda per gruppi terroristici e uso della violenza.

Ma le reali cause della condanna sembrerebbero risiedere nelle sue posizioni critiche nei confronti dell’Egitto sul tema dell’omosessualità. Almeno questa sembra essere l’opinione di Nashat Dahi, noto conduttore egiziano, che lavora per un’emittente finanziata dal governo. Dahi ha infatti dichiarato pochi giorni fa su TenTv.

«È andato a fare un master sull’omosessualità, questo è l’oggetto della sua tesi. Il ragazzo è andato a studiare queste cose all’estero, all’università di Bologna. E’ attivo all’estero per fare una cosa sola, insultare lo stato egiziano, attaccare lo stato egiziano, incitare contro lo stato egiziano.»

In effetti è stato proprio a settembre che Patrick George Zaki aveva scritto un articolo sulla violazione dei diritti lgtb nel suo Paese. Patrick era un giovane determinato e profondamente sensibile alle violazioni dei diritti umani di cui si macchiava il suo paese natio. Come Giulio Regeni raccoglieva informazioni e dati che poi diffondeva all’estero, questi sono verosimilmente i motivi per cui è risultato tanto inviso al governo di un paese rigidamente repressivo.

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