Il carteggio “Perché la guerra?” tra Sigmund Freud e Albert Einstein (“Warum Krieg?” – 1932) nasce da un’iniziativa della Società delle Nazioni che propose un dibattito epistolare su temi di interesse generale tra le personalità più significative del periodo. Fu Albert Einstein ad essere invitato e a suggerire Sigmund Freud come corrispondente.
Carteggio “Perché la guerra?” di Einstein e Freud. Riassunto dei punti salienti
La prima lettera ricevuta da Freud risale all’agosto del ’32. Così ha inizio il forte scambio di opinioni e dissertazioni tra due delle menti più geniale del tempo. È singolare come lo stesso padre della psicoanalisi avesse detto di Einstein che era «vivace, sicuro di sé, piacevole. Di psicologia ne capisce quanto io di fisica, tanto che abbiamo avuto una conversazione molto scherzosa», però poi ammise di aver considerato “noioso e sterile” quel “cosiddetto colloquio” epistolare. I due, entrambi ebrei, si confrontarono sul tema dell’aggressività umana e sulla natura della guerra, che di lì a poco sarebbe inevitabilmente esplosa.
«La guerra a cui non volevamo credere è scoppiata, e ci ha portato… la delusione.»
Il tema scelto dal fisico doveva essere urgente e di interesse universale, quindi scelse di parlare delle cause che portano gli esseri umani a farsi guerra tra loro e di come «liberare gli uomini dalla fatalità della guerra». Einstein riconobbe che il suo campo di studi non gli permetteva di trovare una soluzione, che magari avrebbe potuto trovare il suo corrispondente grazie alla conoscenza della “vita istintiva umana”.
«Caro Signor Freud […] la domanda è: c’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?»
Le domande di Albert Einstein. Come resistere all’odio?
Albert Einstein pensa alla creazione di un’autorità legislativa e giudiziaria che possa mettere fine ai conflitti tra gli stati. In effetti in quegli anni le Nazioni Unite non erano ancora nate (26 giugno 1945), ma a tal fine esisteva già dal 1919 La Società delle Nazioni, che però falliva nel suo intento. Il motivo del suo fallimento viene identificato da Einstein nell’essere un’istituzione umana che «quanto meno è in grado di far rispettare le proprie decisioni, tanto più soccombe alle pressioni stragiudiziali».
Ci sono dunque dei «forti fattori psicologici che paralizzano gli sforzi», come la sete di potere delle classi dominanti, che manipolano la stampa e la massa, e le organizzazioni religiose, che riescono ad «infiammare con i [propri] mezzi fino al furore e all’olocausto di sé [la massa]». L’ultima domanda che Einstein pone a Freud è quindi se sia possibile o meno indirizzare l’evoluzione mentale degli uomini affinché possano resistere alle «psicosi dell’odio e della distruzione».
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Le risposte di Sigmund Freud. Il rapporto tra diritto e violenza
Perché la guerra? La risposta di Sigmund Freud non tarda ad arrivare, sorpreso del fatto che il fisico non abbia richiesto una soluzione pratica per eliminare ogni guerra, ma solo per tenere lontano gli uomini da quella fatalità. L’epistola dello psicoanalista presenta un’argomentazione esaustiva e finissima. Analizza velocemente quello che è il rapporto tra diritto e forza, dove alla parola “forza” suggerisce di sostituire “violenza”, chiarendo come l’una si sia sviluppata dall’altra a partire dal regno animale.
«La forza muscolare viene accresciuta o sostituita mediante l’uso di strumenti; vince chi ha le armi migliori o le adopera più abilmente»
Alla forza muscolare e gli strumenti si aggiunge l’intelletto e nella lotta tra forti e deboli si comincia a risparmiare il nemico per renderlo servo. Si parla del “predominio del più forte” e la strada che porta dalla violenza al diritto, secondo Freud, è l’opposizione dell’unione dei più deboli allo strapotere del più forte.
«Vediamo così che il diritto è la potenza di una comunità»
In queste pagine di riflessione c’è anche una critica alle rivoluzioni che sono fallite nei secoli, ovvero la realizzazione che se l’unione non è stabile ed è fatta solamente per combattere il potente di turno, ci vorrà poco perché il prossimo signore si insedi sul trono. Per questo motivo la comunità deve organizzarsi e creare delle leggi da osservare tramite anche l’utilizzo di atti di violenza. Ma l’equilibrio e questa pace sono pensabili solo teoricamente, perché la pluralità dei soggetti che costituiscono la comunità basano anche le loro relazioni su rapporti di forza.
Perché la guerra? La soluzione
Ripercorre poi le elucubrazioni del periodo tra “pulsioni erotiche” e “pulsioni di morte”, ricordando che la pulsione all’autoconservazione si colloca in un binomio dove c’è necessariamente e simbioticamente quella dell’aggressività. Queste pulsioni poi si mescolano anche ad altri impulsi distruttivi e costruttivi. Freud spiega che la pulsione di morte diventa pulsione distruttiva quando viene incanalata in oggetti esterni. È così che l’uomo concepisce la difesa della propria vita solo con la distruzione di un’altra a sé estranea.
«Per gli scopi che ci siamo proposti, […] ricaviamo la conclusione che non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini. Si dice che in contrade felici, dove la natura offre a profusione tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno, ci sono popoli la cui vita scorre nella mietezza, presso cui la coercizione e l’aggressione sono sconosciute. Posso a malapena crederci; mi piacerebbe saperne di più, su questi popoli felici.»
Il rimedio che Freud propone alla fine del carteggio è l’altra faccia della medaglia.
«Se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio ricorrere all’antagonista di questa pulsione: l’Eros. Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini deve agire contro la guerra»
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