
Sterminata è la produzione letteraria di Alda Merini. È riuscita a trasformare la triste esperienza del manicomio, che ha intervallato la sua vita, in cruda e drammatica poesia.
«Sono nata il ventuno a primavera,
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar la tempesta.»
Alda Merini attraverso una vita di sofferenze
La sua è un’infanzia di guerra, l’esperienza del terrore delle bombe e della casa distrutta. Ma anche un inizio della vita divisa tra l’affetto di un padre colto e sensibile, che la avvia alla lettura ed allo studio, e quello di una madre distante, pragmatica, che vede per lei solo un futuro di moglie e di madre. Iniziano allora le prime crisi mistiche, il cilicio, le messe, il desiderio di farsi suora, osteggiato dalla madre che invece la iscrive alla scuola di avviamento al lavoro. Intanto le prime esperienze poetiche, i versi apprezzati e recensiti dal poeta e critico Giacinto Spagnoletti, ma la giovane poetessa si scontra con la realtà di un padre che, anziché sostenerla, straccia la recensione di Spagnoletti perché la poesia “non dà pane”.
Nel 1947 il primo approccio con la malattia mentale , il ricovero nella clinica Villa Turro a Milano dove le viene diagnosticato un disturbo bipolare. Inizia il calvario di Alda che in seguito la condurrà a diversi ricoveri in manicomio, la “croce senza giustizia” che peserà come un macigno sulle sue spalle ma che paradossalmente aggiungerà nuova linfa poetica.
Il matrimonio con Ettore Carniti, operaio e sindacalista, nel 1953, rappresenta una via di fuga dall’amara realtà domestica. Infatti ebbe a scrivere «sono andata col primo che mi è capitato perché non ce la facevo più». Ma fu anche il dipanarsi di un amore grande e tormentato che tra un ricovero in manicomio a l’altro le darà quattro figlie.
Anche la maternità per la Merini è sofferenza, incapacità di amare nel modo giusto, tormento interiore. Le figlie infatti le saranno tolte e cresciute da altre famiglie.
«La maternità è una sofferenza, una gioia molto sofferta. Da un amante ci si può staccare, ma da un figlio non riesci.»
«Per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara»
La poesia è la vera passione di Alda Merini, le ha permesso di esprimere la sua interiorità. I suoi versi stillano vita vissuta e lei viveva attraverso la sua poesia. Le diedero fama, riconoscibilità, soldi e le fecero conoscere personaggi famosi, ma così come spese la sua vita a piene mani, spese le sue sostanze in favore degli umili, degli ultimi, ai quali dedicò molti dei suoi versi. Infine si ridusse ad una casa sui Navigli a Milano e a fare ricorso alla Legge Bacchelli.
La sconvolgente esperienza dell’ospedale psichiatrico che segnò la sua vita fu anche all’origine di quello che la scrittrice e critica letteraria Maria Corti definì il suo capolavoro: “La Terra Santa” le varrà nel 1993 il Premio Librex Montale. Con l’editore Vanni Scheiwiller pubblica il suo primo libro in prosa, “L’altra verità. Diario di una diversa”, nel quale tratteggia con squarci esasperati, ma anche teneramente malinconici, i suoi anni di manicomio, i tormenti di una reclusione alienante, le esperienze sue e dei compagni di pena e sofferenza.
«La poesia è la pelle del poeta» – Alda Merini
Ad un certo punto la produzione letteraria della Merini approda agli aforismi, lapidari pensieri che racchiudono il mondo interiore della poetessa, un mondo che urla il dolore, la tempesta dell’anima, gli amori intensi e dolorosi, la fede nella vita.
La passione per la vita non l’abbandonerà mai, anche nei momenti più bui e nei letti d’ospedale. La “piccola ape furibonda” non cessa di volare, di stillare miele di parole inesauribili, di poesia che si fa carne, di delirio che sa di intelligenza, di smisurato desiderio di vivere. Anche l’esperienza manicomiale diventa poesia. Un dono che Alda Merini consegna agli sconosciuti, ma anche a persone con cui si ritrova ad avere a che fare nel corso della sua vita. Al pediatra di sua figlia, ai compagni di manicomio, ai medici che la curano, agli uomini che ha amato.
Notevole anche la vena mistica nella poetica della Merini, che fin da ragazza sentiva il desiderio di farsi monaca. Una vena che scorre per anni come un fiume sotterraneo che pulsa rabbioso e dolce alla ricerca di quel “Dio crudele” amato, ricercato, temuto e a volte odiato. L’incontro e l’amicizia con Arnoldo Mosca Mondadori stimola l’afflato mistico con la scrittura di altri libri “L’anima innamorata”, “Poema della croce”, “ Francesco, canto di una creatura”. Nel 2002 pubblica “Magnificat. Un incontro con Maria”, rappresentato a Macerata con Valentina Cortese protagonista.
«Insoluta io stessa per la vita»
Ancora tanto si potrebbe scrivere sulla vita, sull’oceanica produzione letteraria, sulla poetica, anzi sulle tante poetiche di Alda Merini. Un’anima irrisolta – come lei si riteneva – ma che ha vissuto pienamente ogni gioia, ogni dolore, ogni innamoramento, ogni delirio, germinandolo nell’unione tra l’inchiostro e la pagina.