
Colgo il movimento delle labbra.
E so – non parlerà per primo.
«Non mi amate?» – «No, ti amo.» –
«Non amate!» – «Ma mi tormento,
ma sono ubriaco, sono distrutto.
(Scrutando come un’aquila il posto):
Scusate, ma questa è una casa?» –
«La casa è nel mio cuore.» – «Letteratura!
L’amore è carne e sangue.
Fiore innaffiato del proprio sangue.
Voi credete che l’amore sia
discorrere davanti a un tavolino?
Un’oretta – e poi a casa?
Come quei signori e quelle dame?
L’amore, questo vuol dire…»
«Un tempio?
Bambina, sostituite con una cicatrice
la cicatrice!» – «Sotto lo sguardo dei servi
e degli ubriaconi? (Io, senza suono:
L’amore vuol dire: un arco
teso: l’arco: la separazione).
L’amore vuol dire – legame.
Per noi tutto è separato: le bocche e le vite.»
(Te l’avevo pur chiesto: non dare il malocchio!
In quell’ora, segreta, vicina,
in quell’ora sulla cima della montagna
e della passione. Il memento è uno svaporare:
l’amore vuol dire tutti i doni
nel rogo – e sempre per nulla!)
La cavità a conchiglia della bocca
è pallida. Non sogghigno – inventario.
«E prima di tutto un solo
letto.»
«Un solo abisso, volevate
dire?» – Tamburo battente
delle dita. – «Non smuovere montagne!
L’amore vuol dire…» –
«Mio.
Vi capisco. Deduzione?»
Il tamburo battente delle dita
cresce (Patibolo e piazza.)
«Partiremo». – «E io: moriremo,
speravo. È più semplice!
Basta con i bassi prezzi,
rime, rotaie, alberghi, stazioni…»
«L’amore vuol dire: vita.»
«No, in altro modo era chiamato
dagli antichi…» –
«E così?
(Un brandello
di fazzoletto nel pugno, come un pesce).
Così, partiremo?» – «Il vostro itinerario?
Veleno, rotaie, piombo – a scelta!
La morte – e nessuna installazione!»
– «La vita!» – Come un condottiero romano,
scrutando aquilino delle truppe
i resti.
– «Allora ci diremo addio.»
– “Poema della fine, 5 ” di Marina Cvetaeva
Traduzione di Pietro a Zveteremich